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Il Trattato di Schengen: Storia, Principi e Sfide

L'area Schengen è una zona di libera circolazione senza controlli alle frontiere interne, istituita il 14 giugno 1985 con l’accordo che prende il nome dall’omonima cittadina lussemburghese in cui venne sottoscritto da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi. L'accordo di Schengen, ufficialmente nato come Accordo fra i governi degli Stati dell'Unione economica del Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese, riguarda l'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni.

La Storia del Trattato

Il trattato di Schengen fu concluso nel giugno 1985, da Francia, Germania (allora quella dell’Ovest), Belgio, Olanda e Lussemburgo: i cinque Paesi decidevano di adoperarsi per l’abolizione dei controlli sulle persone alla frontiera. L’importante documento fu firmato a Schengen, tranquilla cittadina sulle rive della Mosella, situata in un luogo molto simbolico: in Lussemburgo, al confine con la Francia e con la Germania.

L'accordo era costituito da una dichiarazione di princìpi e obiettivi, che fu completata nel 1990 da una Convenzione di applicazione, entrata in vigore nel 1995. L'accordo di Schengen fu completato successivamente con la firma, da parte degli stessi Stati, della Convenzione di Schengen del 19 giugno del 1990, entrata in vigore nel 1995.

Schengen diventò, in seguito, parte della legislazione europea con il trattato di Amsterdam del 1997 (in vigore dal 1999). Nel frattempo altri Stati si aggiungevano ai cinque originari e andavano a formare lo “spazio Schengen”, territorio libero dai controlli di documenti.

Negli anni successivi all’entrata in vigore, gli altri Stati membri della UE hanno progressivamente aderito agli accordi di S. (Italia 1990, Portogallo e Spagna 1991, Grecia 1992, Austria 1995, Danimarca, Finlandia e Svezia 1996), con l’eccezione della Gran Bretagna e dell’Irlanda. Nel 1996 è stata anche consentita la partecipazione allo spazio S.

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Nel tempo altri Paesi hanno aderito al Trattato: l'Italia nel 1990, la Spagna e il Portogallo nel 1991, la Grecia nel 1992, l'Austria nel 1995, la Svezia, la Finlandia e la Danimarca nel 1996. Anche l'Islanda e la Norvegia, pur non essendo Stati membri dell'Unione europea, fanno parte dello spazio Schengen in quanto con questi due Paesi l'UE ha firmato il 18 maggio del 1999 un accordo che li designa come "Paesi associati" e pertanto partecipano in forma limitata al processo decisionale. Successivamente hanno aderito anche altri Stati membri dell'Ue: Estonia, Repubblica ceca, Lituania, Ungheria, Lettonia, Malta, Polonia, Slovacchia e Slovenia.

Da quando è stato integrato nell’Unione Europea, l’acquis di S. è vincolante per i nuovi entranti sin dalla data dell’adesione. Alla fine del 2007, il Consiglio ha ammesso allo spazio S. tutti gli Stati che avevano fatto il loro ingresso nel 2004 (Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria), a eccezione di Cipro.

In pratica, degli Stati che hanno aderito all'UE, soltanto Romania, Bulgaria e Cipro, insieme a Irlanda e Regno Unito (legati tra loro da una Common Travel Area) non fanno parte degli Accordi di Schengen.

Oggi aderiscono all’accordo 26 Paesi, di cui 22 sono membri dell’Ue e quattro no (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera), mentre due membri dell’Unione, Regno Unito e Irlanda, non ne fanno parte. Lo spazio Schengen è attualmente composto da 26 paesi, di cui 22 membri dell’Unione europea e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Non ne fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania, per cui il trattato non è ancora entrato in vigore, e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione esercitando la cosiddetta clausola di esclusione (opt-out).

Cosa Prevede il Trattato

E' un trattato internazionale firmato a Schengen il 14 giugno 1985 tra Benelux, Germania Ovest e Francia, che prevedeva la creazione di uno spazio comune, tramite una progressiva eliminazione dei controlli alle frontiere comuni tra i cinque Stati interessati, sia delle merci sia delle persone. Nel 1990 gli stessi Stati hanno firmato la Convenzione di Schengen, che definisce le condizioni di applicazione dell'Accordo e a cui hanno in seguito aderito altri Stati.

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Il trattato intende conciliare la libertà e la sicurezza, anche dopo l’apertura delle frontiere. All’atto pratico, all’interno di questa zona i cittadini dell’Unione europea e quelli di paesi terzi possono spostarsi liberamente senza essere sottoposti a controlli alle frontiere.

Dentro al territorio dei Paesi firmatari, denominato ‘spazio S.’, si applicano regole e procedure comuni in materia di visti, soggiorni brevi, richieste d’asilo e controlli alle frontiere. Nel 1990 venne poi creata una frontiera esterna unica, lungo la quale i controlli all’ingresso dello spazio Schengen erano e sono tutt’ora effettuati secondo procedure identiche.

Contestualmente, al fine di garantire la sicurezza all’interno dello spazio, si tende al potenziamento della cooperazione e al coordinamento tra i servizi di polizia e le autorità giudiziarie, al fine di preservare la sicurezza interna degli Stati facenti parte degli accordi e, in particolare, per lottare efficacemente contro la criminalità organizzata. Fra le misure previste, c’è la collaborazione tra le forze di polizia e il coordinamento degli Stati nella lotta alla criminalità organizzata (mafia, traffico d'armi, droga, immigrazione clandestina).

Il rafforzamento della cooperazione giudiziaria è attuato mediante un sistema di estradizione più rapido e una migliore trasmissione dell’esecuzione delle sentenze giudiziarie, mentre quello della cooperazione di polizia prevede l’istituzione di un diritto di osservazione e di inseguimento transfrontaliero per gli agenti degli ‘Stati Schengen’. Una delle conseguenze di questa cooperazione è il cosiddetto “inseguimento transfrontaliero”, ovvero il diritto della polizia di inseguire un sospetto in un altro stato Schengen in caso di flagranza di reato per infrazioni gravi.

Un capitolo fondamentale dell’accordo riguarda l’integrazione delle banche dati delle forze di sicurezza, realizzata attraverso il “Sistema di informazione Schengen” (Sis), per gestire dati che consentono agli Stati Schengen di scambiarsi notizie sull’identità di determinate categorie di persone e sulla proprietà dei beni.

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Infine, è stato adottato il Sistema d’Informazione S. (SIS), utilizzato dalle autorità di frontiera, doganali, giudiziarie e di polizia dell’intero spazio. Il SIS è una banca dati contenente informazioni su persone ricercate, scomparse e che non hanno il diritto di accedere in un territorio dello spazio S. e/o di risiedervi; esso è alimentato dagli Stati membri per il tramite di reti nazionali (N-SIS), collegate a un sistema centrale (C-SIS).

Per consentire la libera circolazione senza che ciò turbi l’ordine pubblico, la convenzione prevede il rimando a norme comuni sui visti e sul diritto d’asilo, quelle che oggi regolano i due settori in tutti i nostri Paesi. Gli stati membri che si trovano ai suoi confini hanno dunque la responsabilità di organizzare controlli rigorosi alle frontiere e assegnare all’occorrenza visti di breve durata alle persone che vi fanno ingresso.

Di contro, un volo interno all’Ue che collega uno stato Schengen a uno stato non-Schengen è sottoposto a controlli alle frontiere.

La creazione di uno spazio senza frontiere interne, dove persone, merci, capitali e servizi potessero circolare liberamente, era prevista dall’Atto Unico Europeo (➔). Gli Stati si trovavano però in disaccordo sui mezzi con i quali realizzare tale obiettivo; così i 5 Paesi menzionati hanno deciso di procedere attraverso gli accordi di Schengen.

Il Trattato di Amsterdam (➔ Trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione Europea e i Trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi) del 1997 ha ricondotto il cosiddetto ‘acquis di S.’ nel quadro della UE. Il Protocollo a esso dedicato realizza una cooperazione rafforzata, per permettere agli Stati che vi aderiscono di avvalersi delle istituzioni dell’Unione al fine di gestire la cooperazione instaurata dagli accordi di Schengen. La Gran Bretagna e l’Irlanda, pur continuando a rimanere estranee all’insieme dell’acquis di S., ne hanno accettato alcuni aspetti, secondo le condizioni previste dal Protocollo.

Le Eccezioni

Il codice frontiere, che è parte dell’acquis Schengen, stabilisce che per esigenze di ordine pubblico e sicurezza nazionale uno Stato può ripristinare i controlli alle proprie frontiere, adeguati alla situazione di emergenza. Anche se le frontiere interne dovrebbero esistere soltanto sulla carta, i membri dello spazio Schengen hanno comunque la possibilità di ristabilire controlli eccezionali e temporanei.

Inoltre, il Reg. UE n. 1051/2013 prevede questa opzione anche nei casi di gravi lacune nei controlli esterni all’Area, ma in tali situazioni l’iniziativa spetta agli organi UE (Consiglio e Commissione). Questa decisione dev’essere giustificata da una “minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna” o da “gravi lacune relative al controllo delle frontiere esterne” che potrebbero mettere in pericolo “il funzionamento generale dello spazio Schengen”, come si legge nella documentazione della Commissione europea.

Prima dell’iniziativa di Berlino il ripristino temporaneo dei controlli frontalieri si era già verificato una ventina di volte dal 1995 e sei volte dal 2013. Tuttavia “è la prima volta che le frontiere vengono chiuse a causa della pressione migratoria”, ha precisato una fonte comunitaria.

Crisi di Schengen

Gli accordi sulla libera circolazione delle persone hanno funzionato “in condizioni normali”, sulla base delle sole regole. Ma con lo sviluppo impetuoso delle correnti migratorie (e anche a seguito delle minacce terroristiche) le sole regole, in assenza di un potere esecutivo europeo capace di farle rispettare, hanno mostrato la loro fragilità. Se non c’è un controllo europeo diretto delle frontiere esterne, diventa inevitabile che ogni Stato membro voglia ristabilire il controllo sulle frontiere interne.

Negli ultimi mesi l’hanno fatto in molti: la Francia dopo gli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre 2015, la Germania, l’Austria, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia per contrastare l’arrivo dei richiedenti asilo. Al vertice di Amsterdam dello scorso 25 gennaio 2016, alcuni Stati hanno chiesto alla Commissione europea di avviare la procedura per il prolungamento di questi controlli, fino a un massimo di due anni, come previsto dall’articolo 26 del codice.

La Commissione ha per ora denunciato la situazione della Grecia che sarebbe venuta meno ai doveri di controllo sul suo perimetro esterno, che coincide con quello dell’Unione. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel solo mese di gennaio 2016, sono arrivati sulle coste del Paese più di 31 mila migranti. Questa grave mancanza da parte del Paese potrebbe legittimare l’estensione delle verifiche ai propri confini da parte degli altri Stati europei.

I Costi della Non-Schengen

Secondo France Strategie, un autorevole think-tank governativo francese, la fine di Schengen costerebbe, a regime, annualmente 100 miliardi di euro, pari allo 0,8% del PIL europeo. Ma anche un intervento soft e ridotto nel tempo avrebbe effetti notevoli sul turismo nei week-end, i lavoratori transfrontalieri ed il trasporto merci: ad esempio, i trasportatori, solo a causa dei ritardi che si accumulerebbero alla frontiera per i necessari controlli, avrebbero un costo di 55 € per ora.

Oggi la mobilità e flessibilità operativa sono essenziali ai fini della ricerca del lavoro, specie giovanile e la reintroduzione dei controlli alle frontiere sarebbe un serio problema. Secondo il think tank Bruegel nel 2014 quasi 1,7 milioni di residenti dell’Area Schengen hanno oltrepassato i confini nazionali e nel 2013 sono stati effettuati 218 milioni di viaggi notturni oltreconfine, di cui 25 milioni per motivi di lavoro.

Da un punto di vista economico appare intuitivo che, in una fase di ripresa minima dalla recessione, la cosa meno intelligente sia quella di imporre restrizioni alla libertà di movimento delle persone. Per i ventenni di oggi è fuori da ogni razionalità dover tirare fuori il documento per passare il confine. E chi vuole andare a trovare il figlio in Erasmus di certo non ha tempo da perdere con la polizia di frontiera.

Ma il costo maggiore di una crisi-Schengen non è economico, bensì politico. Se mettiamo in discussione Schengen, i controlli torneranno ad essere la norma e non l’eccezione, come accade oggi. Distruggere Schengen significa fare a pezzi un simbolo dell’Europa unita.

Oltre Schengen

Le regole non bastano, ci vogliono istituzioni europee che le facciano rispettare, anche contro la volontà degli Stati. Cominciando dalla struttura Frontex, che dovrebbe dar vita ad un corpo di polizia di frontiera e a una guardia costiera europea, come da proposta della Commissione (dicembre 2015). Il nuovo corpo avrebbe mezzi e personale superiori rispetto a Frontex e, in situazioni urgenti, dovrebbe intervenire sul territorio di uno Stato per garantire che siano prese le misure adeguate, anche nel caso in cui non ci sia una richiesta di aiuto da parte del Paese coinvolto.

È un punto difficile, ma decisivo, perché mette in piena luce un passaggio di sovranità sul terreno della sicurezza. Lo dimostra la cautela con la quale la Commissione si sta muovendo, prevedendo il diritto di intervenire al termine di un processo graduale, in caso di “persistenza” dei ritardi e delle omissioni nei controlli alle frontiere da parte dei paesi coinvolti.

Ogni anno i cittadini europei effettuano più di 1,25 miliardi di viaggi nello spazio Schengen, attraversando le frontiere interne senza controlli. Su proposta della Commissione Europea è stato avviato un processo di revisione del funzionamento del sistema Schengen.

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