Antica Norma Alloggio Turistico: Storia e Applicazione
Il turismo culturale tocca in profondità assetti importanti della geografia e dell’economia nazionale, delineando scene che oggettivano un fitto quadro di cornici istituzionali e territoriali, dove appare in primo piano la trasformazione di luoghi e persone. Entro queste coordinate, il turismo attiva dunque processi reinterpretativi dei confini culturali dei territori, corroborati in particolare da un complessivo passaggio dal turismo delle città al turismo delle località.
In questo saggio si cercherà di individuare tale dinamica per poi passare ad analizzare alcuni aspetti propri della scena turistica ‘creativa’ più recente. Si prenderà in esame come la produzione culturale dei nuovi spazi si attivi per miti antropologici, che riconnettono differenti epoche storiche e propongono forme di riaggregazione di spazi, quali i parchi, i megaeventi e gli ecomusei, oppure prospettive di seriazione territoriale tramite percorsi quali le cultural routes o gli oulet villages.
Il Turismo Culturale in Italia: Numeri e Tendenze
L’Italia è la quinta destinazione del turismo mondiale, e nel 2011 più di 11 milioni di persone hanno scelto di trascorrere le vacanze nelle città d’arte italiane; il settore è ben rappresentato, costituendo il 2,6% del PIL nazionale e dando occupazione a più di 500.000 persone. Secondo solo al turismo balneare, il turismo culturale domestico ammonta a più del 60%, mentre il restante 40% è riferito al turismo estero.
Gli italiani che scelgono in particolare le città d’arte superano il 22%; Venezia registra più di 2 milioni di presenze, Roma 1,5 milioni, Firenze 733.000, con una media di permanenza di poco meno di tre giorni e con effetti di trascinamento areale e regionale. I musei, i monumenti e le aree archeologiche sono le maggiori attrazioni, primi fra tutti i Musei vaticani, gli scavi di Pompei, gli Uffizi, il Palazzo ducale a Venezia, l’Acquario di Genova, la Galleria dell’Accademia e il complesso di Santa Croce a Firenze (Ministero per i Beni e le Attività culturali, Minicifre della cultura 2011, 2011; Rapporto sul turismo Italiano 2011-2012, a cura di E. Becheri, G. Maggiore, 2013).
Si tratta dei ‘turisti culturali generali’, giovani mossi da interesse verso la dimensione culturale del viaggio, e spesso contrapposti a quei ‘turisti culturali specifici’ che invece risultano maggiormente scolarizzati e attratti da siti di heritage: negli anni Novanta il mercato turistico europeo registrava un segmento di circa 3,5 milioni di unità di questi ultimi, cioè circa un decimo rispetto ai 31 milioni e più dei primi (Cultural tourism in Europe, ed. G. Richards, 1996; B. McKercher, H. du Cros, Cultural tourism.
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La notazione è importante, perché oggi la differenza fra ‘generale’ e ‘specifico’ è divenuta molto più sfumata, in ragione dell’attuale crollo della distinzione fra tempo libero e tempo di lavoro, che fa del turismo una forma di esperienza culturale tout court, caratterizzata da una vivace dinamica competitiva fra domanda e offerta da parte di diverse arene locali. La generalizzazione del consumo odierno consolida la tesi che il turismo culturale possa includere in sé tutte le attività umane, dal privilegiare un’atmosfera a scegliere un paesaggio, a gustare un cibo. Gli esiti non sono univoci.
Tale tendenza può condurre alla possibile perdita di autenticità locale (‘macdonaldizzazione’ e altri fenomeni analoghi), ma anche a forme di resistenza locale che promuovono un nuovo ‘tradizionale’ o si appropriano di elementi di culture ‘alte’ a favore di un ‘vernacolare’.
Il Turismo Rurale e la Nuova Ruralità
Le aree rurali sono divenute negli anni sempre più significative dal punto di vista economico e turistico, per l’aumento di mobilità della popolazione, l’erosione dell’autonomia delle comunità locali, la delocalizzazione produttiva e l’eterogeneità delle zone economiche di appartenenza. In questa complessa dinamica la novità risiede nella crescita di nuove reti di relazioni fra utenti non rurali (visitatori o neoresidenti) e popolazioni locali, che trasformano in profondità le campagne. La ‘nuova ruralità’ richiama rinnovate relazioni natura-società, dove gli spazi dell’accoglienza esaltano la multifunzionalità tradizionale del paese, più che la specializzazione metropolitana; e le esperienze maturano nella dimensione innovativa delle ‘buone pratiche’ del sé che si riappropriano della triplice dimensione dello spazio («rappresentato», «vissuto» e «praticato»), già individuata dal filosofo Henri Lefebvre (1901-1991).
La svolta nel turismo rurale richiede un nuovo rapporto dei turisti con l’ambiente (‘geografie ibride’), in cui umani, non-umani, discorsi e tecnologie costituiscono una complessa catena di agency, ritmata su nuovi percorsi sensoriali.
La tesi di fondo è che i primi anni del 21° sec. hanno visto gli artisti e gli intellettuali concentrarsi in città connotate da vivacità e mobilità culturale, creando una ‘classe creativa‘ (i talenti) in grado di attrarre risorse finanziarie grazie al vantaggio competitivo derivato da un uso ottimale di tecnologie e sollecitazioni innovative. Le tesi enunciate dall’economia creativa, in verità, rivelano spesso un impianto pesantemente ideologico, con un’accezione tutta statunitense di ‘laurea’, ‘tolleranza’ e ‛capitale sociale’, esemplata dal circolo vizioso fra luogo e talento.
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Non sono tuttavia prive di ricche intuizioni, giacché, superando nozioni di generico globalismo, quali ‘società della conoscenza’ o ‘città diffusa’, recuperano la dimensione importante della ‘territorialità’, anche se i più recenti studi che hanno tentato di calcolare la ‘densità di industria creativa’ delle varie unità territoriali considerate (provincia, regione e così via) non risultano affatto esaltanti. Si mostrano invece decisamente più utili e interessanti per la dimensione non urbana (o rurale) soprattutto in ambito italiano (Rapporto sul turismo italiano 2008-2009, a cura di E. Becheri, 2009, pp.
Il Caso dell'Arcipelago Toscano: Un Esempio di Valorizzazione del Territorio
L’ipotesi forte pertanto è che l’heritage sia una ‘proprietà collettiva creativa’ necessaria al turismo per determinare i destini delle località secondo linee nazionali o areali (per es. Costruire in maniera rigorosa il destino di una località significa definire lo spazio, la storia interna e anche la determinazione delle risorse in termini di ‘narrazione’.
Si pongono a questo punto alcuni problemi teorici: che cosa è un arcipelago e che cosa lo distingue da un’isola? Definire un’isola non è compito semplice, salvo un generico rimando ad alcune caratteristiche quali la scala ridotta, l’isolamento e la presenza di un’economia debole. Soprattutto un qualche carattere di separatezza e differenza può connotarla: fisicamente dislocata o politicamente separata dalla terraferma o dalla madrepatria, fa nascere aspettative particolari di leisure, clima differente, ambiente fisico e cultura. Come scrive suggestivamente Predrag Matvejević, la nozione di ‘isola’ varia per contrasti: «È, da un lato, luogo di pace e di raccoglimento, d’amore, di felicità e di beatitudine; dall’altro, è invece un luogo di esilio o di reclusione, di castigo, di espiazione e perfino di penitenza» (Mediterraneo. Un nuovo breviario, 1997, p.
La maggiore parte delle isole vive nell’attesa di un evento, il ricongiungimento con la terraferma; ma ciò che più conta è che ogni isola rischia di perdere la propria identità, a meno che non raggiunga una sua ‘universalità’: l’arcipelago può aiutarla in tale intento. Per il termine arcipelago aumentano i problemi definitori, se non altro per la complicazione dei rapporti fra le varie isole e per la storia trascorsa, rispetto alla quale le singole comunità dovrebbero essere adeguatamente rappresentate nelle rispettive diversità e peculiarità.
Basti pensare ai diversi ritmi dell’antropomorfizzazione di alcune isole dell’Arcipelago toscano: Pianosa, Capraia e Gorgona, legate all’esperienza delle carceri e quindi a popolazioni variabili e a destini diversi; il Giglio, isola di pescatori in larga parte storicamente immigrati; oppure l’Elba, microcosmo di tradizioni miste, tra impegno industriale e attaccamento terragno. Tratto fondamentale della prospettiva è quindi la rappresentazione di mondi compartecipanti, eppure differenti per natura e storia, tramite le diverse coniugazioni che legano e insieme oppongono le innovazioni, introdotte da una modernizzazione tutt’altro che lineare, alle antiche risorse isolane. Si tratta di ricostruire un’identità plurale di persone e luoghi, tramite immagini e azioni che colgano i residenti quali protagonisti.
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La caleidoscopica natura dell’arcipelago obbliga a immaginare un nuovo insieme di circuiti che rivelino le tracce umane stratificate sul territorio e la loro integrazione entro un continuum natura-cultura, garante di una nuova percorribilità e valorizzazione delle forme di vita e dei contesti ecologici.
Risorse dell'Arcipelago Toscano
Dal punto di vista demoantropologico, emergono tre ambiti peculiari: l’agricoltura, il mare, le miniere.
- Agricoltura: rimanda a una pratica tradizionale di uso della terra, nel passato spesso mista alla pesca, di piccola scala, a conduzione familiare, sulle zone collinari, da inserire nel più vasto contesto olio-viticolo toscano-meridionale e agrosilvopastorale delle regioni più interne.
- Mare: riguarda la risorsa della pesca, che, seppure mai risorsa primaria isolana, ha concorso alla formazione del reddito locale. L’attività più antica è l’avvistamento dei tonni; esiste una flottiglia di pescatori meridionali e motopescherecci operanti sull’Alto Tirreno, che si disloca tra Portoferraio e Cavo, fra scali commerciali e industriali, porti minerari e piccoli porti turistici.
- Miniere: la cultura più nota del recente passato riguarda però il mondo minerario. Collocate in un repertorio su cartografia, le miniere vanno poste in sezione e collegate in un sistema interattivo, in cui inserire la storia dei transiti degli operai dai paesi in cui vivevano ai luoghi di lavoro, nonché i tracciati delle vie interne ai siti minerari, visto che solo a fine secolo i cavatori percorrevano giornalmente dai quattro agli otto chilometri per raggiungere le miniere. In genere si trattava di cave a cielo aperto su bacini di minerale disposto su gradinate. In questa prospettiva le miniere costituiscono un sistema integrato di luoghi di storia umana, e quindi di possibili attrattive distintive.
Collegate alle miniere sono le strade. Le strade ferrate minerarie, in particolare, sono un complesso insieme di reti private a scartamento ridotto, che collegano i siti minerari alla Maremma e all’Arcipelago. Cifre di intensa veicolazione di merci e di uomini, esse restituiscono tratti di storia sociale profonda (‘la storia segreta dei minatori’) che accomuna il destino dell’entroterra all’Arcipelago.
La Necessità del Mito
Per cogliere con visione sinottica i complessi problemi ecologici attuali è utile ricorrere alle principali narrazioni mitologiche che attraversano l’Arcipelago, giacché anche i miti di un tempo aiutano a cogliere le nervature di una ‘regione’ che si rinnova nella sua autorappresentazione (B. Lincoln, Discourse and the construction of society.
Il primo mito di fondazione è la Venere tirrenica. Narra un’antica affabulazione esiodea che, quando la Vergine tirrenica, consanguinea all’ellena Afrodite, emerse dal grembo profondo delle acque spumose, dal suo collo si staccò un ricco monile le cui gemme, precipitando in mare, si trasformarono in altrettante isole.
Il secondo mito è il ferro. Si narra che gli Argonauti, antichi cercatori dell’antichità, per riparare le navi, sbarcassero sulla Spiaggia delle ghiaie di Portoferraio, luogo famoso per un minerale, il ferro, ben noto a Plinio il Vecchio e a Diodoro Siculo, che permise ai Romani di sconfiggere il ferro dolce delle spade barbare, ma ancora prima, secondo più ardite leggende, di forgiare le armi degli Achei assedianti Troia. Così, il ferro rappresenta la sostanza salvifica e quasi divina che attraversa la vocazione dell’isola.
In un’altra antica affabulazione si narra che era così agevole estrarre il ferro affiorante dal suolo isolano, che si credeva a una riproduzione spontanea del minerale dallo stesso vuoto operato dai cavatori («l’isola prodiga degli inesauribili metalli dei Calibi», cantava Virgilio, dell’Ilva-Elba, «isola dei mille fuochi», Eneide X, 268). La metallurgia è un motivo centrale che attraversa l’Elba, perla maggiore del monile di Venere e metonimia dell’intera regione.
Il terzo mito, infine, è costituito dai minerali. Questa splendida terra del Tirreno […] è un museo naturale nel quale si trova adunato e come preordinato da una mente superiore a vantaggio dei cultori delle scienze geologiche e mineralogiche, tutto il materiale necessario ai loro studi, non raccolto o disposto in sistemi artificiali, ma in quelle precise sue condizioni naturali in cui se ne può leggere la storia e risalirne le origini (Descrizione geologica dell’Isola d’Elba, 1886, p.
Tale natura rappresenta il quarto mito, il parco. L’attuale normativa del parco comprende la zona protetta marina e terrestre più estesa d’Europa con una serie di vincoli per la maggior parte delle superfici isolane e marine, a esclusione di quasi tutte le aree urbane e agricole. Tale forte assetto normativo incontra inesorabili problemi di connessione fra ecosistemi complessi e fragili, gruppi di residenza distinti, attività economiche differenziate, tradizioni particolari, sistemi di trasporto e di transito.
In ogni caso, il problema maggiore della gestione è nella capacità di delimitare l’azione umana, senza compromettere il milieu, la vita associata e il passato storico dei territori. Il parco marino con la nuova progettazione può attualmente recuperare però un tratto antico della storia dell’Arcipelago, e divenire il nuovo collante storico e naturalistico fra isole e penisola.
Il Parco trae linfa dalla sua originale funzione di ponte tra il sistema sardo-corso e la penisola italiana, uno dei più importanti corridoi faunistici dell’intero bacino del Mediterraneo, ove sostano e nidificano innumerevoli specie di uccelli in migrazione tra il continente e l’Africa. Al centro dell’opera è dunque un’idea complessa di habitat, nel duplice senso di ambiente naturale e di ambiente storico-culturale.
Cultura e Natura
L’idea modernista di parco nasce dalla convinzione che il senso della storia si possa cogliere solo a partire da quei luoghi e quegli eventi centrali che costituiscono un modello per le periferie. In realtà, oggi, sono le periferie a proporre le sfide più risolute a un centro sempre più in affanno: affrontare la questione della esauribilità delle risorse, ripensare il passato in maniera non pregiudiziale, decostruire l’ideologia del soggetto puramente razionale.
Il parco è una comunità che dispone di specifiche relazionalità di accoglienza, partecipazione e valorizzazione, che si misurano in base all’individuazione dei bisogni degli utenti/compartecipanti e all’armonico bilanciamento del diritto di tutte le specie a potere vivere (codice etico). La questione più acuta si pone...