Calciatori Stranieri in Italia dal 1980: Storia e Statistiche di un'Epoca Trasformativa
Nella storia del calcio italiano, le vicende legate ai giocatori stranieri hanno avuto una notevole rilevanza, non solo dal punto di vista strettamente sportivo. La loro presenza in Italia ha suscitato passioni contrastanti e alimentato polemiche politiche; ha condizionato gli equilibri economici del mondo del pallone e dato vita a contese giuridiche; ha rappresentato talvolta una cartina di tornasole degli atteggiamenti delle istituzioni e dell’opinione pubblica nei confronti degli stranieri in generale. Questo contributo intende ricostruire un segmento di questa storia che portò alla riapertura delle frontiere calcistiche italiane nel 1980.
Le Origini: Dagli Inglesi Pionieri al "Veto Andreotti"
Alla fine dell’Ottocento, una pattuglia di inglesi, svizzeri, mitteleuropei - giunti nel nostro Paese a vario titolo, come imprenditori, agenti di compagnie commerciali, rappresentanti di compagnie di navigazione, ingegneri, tecnici - diede un contributo decisivo alla nascita del calcio italiano. All’indomani del secondo conflitto mondiale gli atleti stranieri ritornarono nel campionato italiano. Inizialmente alle società fu concesso di tesserare due calciatori provenienti da altre Federazioni.
La corsa al campione straniero «divenne frenetica, configurando l’assurdo di un paese stremato dal conflitto, con un cambio della valuta sfavorevolissimo, e insieme Mecca del calcio migratorio». Convinti di elevare il tasso tecnico del calcio italiano con l’innesto di elementi di altri Paesi, nel 1947 i dirigenti federali autorizzarono i club ad ingaggiare cinque calciatori stranieri, due dei quali dovevano essere «oriundi», giocatori nati all’estero ma figli di genitori italiani. Questo succedersi di modifiche normative si interruppe nel 1953 con il cosiddetto «veto Andreotti».
In seguito ad una serie di deludenti prestazioni della nazionale, mentre montava la polemica sull’acquisto dei campioni stranieri che impediva la crescita di promesse italiane, l’arrivo di atleti appartenenti ad altre federazioni fu bloccato per iniziativa di Giulio Andreotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Andreotti diramò agli organi di polizia una disposizione nella quale si vietava la concessione di permessi di soggiorno a stranieri che lo avessero chiesto «per svolgere l’attività di giocatore nelle squadre di campionato», con la sola eccezione dei «giocatori di provenienza estera» ma di «nazionalità italiana per essere figli di italiani».
Dei quaranta stranieri che militavano nel campionato italiano a metà degli anni Sessanta, alla fine del decennio successivo ne rimaneva solo uno. L’Italia era l’unico Paese della Comunità Economica Europea che manteneva il blocco totale.
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La Lunga Marcia Verso la Riapertura (1970s)
Contando su un’imminente riapertura delle frontiere calcistiche italiane, per rafforzare la squadra e attirare pubblico allo stadio Mantero decise di puntare sull’ingaggio di un calciatore straniero. La Federazione avviò inoltre un’inchiesta per verificare se la querelle Mantero-Donà fosse stata alimentata ad arte «con l’appoggio e dietro sollecitazione di un club calcistico interessato alla riapertura delle frontiere».
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, grazie alla crescente popolarità del calcio le entrate delle società erano aumentate, ma i club spendevano più di quanto incassavano. La crisi economica internazionale pesava anche sul bilancio del calcio: come altri settori fortemente indebitati e con scarsa redditività, il mondo del pallone subiva «la crisi inflazionistica che con il rialzo dei tassi di interesse rese sempre più soffocanti gli oneri finanziari». Quanto ai risultati sportivi, dopo il secondo posto ai mondiali del Messico nel 1970 il calcio italiano stentava ad affermarsi sul piano internazionale sia con gli azzurri che nelle competizioni per club.
All’inizio del 1976 Franchi indicava alcuni motivi che rendevano inopportuna l’apertura. In primo luogo, il calcio moderno era sempre più improntato sul collettivo e sarebbe stato quindi «un non senso» puntare tutte le risorse economiche e tecniche su un solo «asso» acquistato tra gli stranieri. Il loro arrivo avrebbe inoltre comportato una corsa al rialzo degli ingaggi, mentre per risanare il calcio occorreva andare nella direzione opposta.
Secondo Carraro - che si faceva interprete delle posizioni delle società di A e di B, in quel momento in maggioranza contro l’apertura, ed era stato chiamato alla guida della Lega con il compito di cercare nuove soluzioni per la disastrosa situazione finanziaria del calcio - la difficile fase economica attraversata dal Paese «ed il pauroso disavanzo della bilancia commerciale» dovevano indurre «i responsabili del calcio a valutare il problema anche sotto il profilo psicologico».
Tra le 16 società di serie A alcune premevano per avere la possibilità di ingaggiare almeno un giocatore nel mercato europeo: la presenza di un campione straniero avrebbe consentito di fare un salto di qualità tecnico alla squadra e attirato il pubblico allo stadio con un vantaggioso ritorno in termini di incassi. Il sindacato dei giocatori intendeva difendere il patrimonio calcistico nazionale - un arrivo incontrollato di atleti da altri Paesi avrebbe comportato una perdita di «posti di lavoro» per i calciatori italiani.
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Pur moderata, controllata, la riapertura delle frontiere era auspicabile per rinfocolare l'interesse popolare e non inaridire i vivai. Teniamoci realisticamente ai fatti. E i fatti suggeriscono una «riapertura», pur moderata, pur controllata. In modo che non crei inciampi ai giovani.
Le Decisioni di Bruxelles e le Reazioni in Italia
Dopo una serie di incontri tra i presidenti delle Federazioni dei Paesi aderenti al Mercato Comune Europeo per cercare una soluzione di compromesso sul numero di stranieri e sui tempi della riapertura, il 23 febbraio 1978 a Bruxelles Etienne D’Avignon, membro della commissione CEE per l’industria e il lavoro, comunicò ai dirigenti federali le disposizioni comunitarie definitive in materia di calciatori stranieri: eliminazione di qualsiasi restrizione alla libera circolazione dei calciatori, possibilità quindi di tesserare giocatori dell’area comune europea in numero illimitato, impiegandone però inizialmente non più di due.
Al termine di un periodo transitorio, era prevista la totale liberalizzazione. Le decisioni prese a Bruxelles andavano oltre quanto auspicato dalla maggior parte degli ambienti calcistici italiani e suscitavano forti preoccupazioni per gli effetti di una piena liberalizzazione degli scambi dei calciatori. Il dibattito coinvolse anche le forze politiche, esponenti del governo e del mondo economico.
Tra il 1978 e il 1979 i dirigenti delle società si divisero, tra infruttuose discussioni, tentativi di patteggiamento, personalismi e repentini e opportunistici voltafaccia. Nel frattempo si era aperta la «caccia» ai calciatori stranieri che ritornarono a calcare i campi degli stadi italiani nel campionato 1980-81.
La Riapertura del 1980 e il Cambiamento Epocale
All’alba degli anni Ottanta, la riapertura delle frontiere calcistiche, ponendo fine al lungo blocco delle importazioni, segnalava «un epocale cambiamento di tendenza» e si inseriva in una fase di profonda trasformazione del mondo del calcio italiano. La libera circolazione dei calciatori nello spazio europeo venne sancita definitivamente il 15 dicembre 1995 con la celebre sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, nota come «sentenza Bosman».
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Ma fu, soprattutto, il primo campionato dopo il totonero e dopo il 9 maggio del 1980, quando il Consiglio Federale prese la decisione di riaccogliere i calciatori stranieri in serie A. Era dal 1966 che non accadeva una cosa del genere, dopo l’amara delusione dei campionati mondiali con la sconfitta contro la Corea del Nord. La norma approvata stabiliva un solo straniero per squadra, ma cinque delle sedici formazioni di serie A - Ascoli, Brescia, Cagliari, Catanzaro e Como - si affidarono a calciatori italiani, tutto il resto sarebbe avvenuto dopo.
Nell’estate del 1980 giunsero in Italia Luis Silvio Danuello del Palmeiras. Ma occorre dire che la Serie A, il nostro campionato, assumeva un altro volto, cambiava tutto, si può dire, eravamo entrati nel calcio globale e ci apprestavamo addirittura a vincere il campionato del mondo (1982). Nell’estate del 1980 arrivò Michel Van de Korput (difensore olandese), tre stagioni nel Torino, una finale di Coppa Italia. Gran colpaccio della Juventus che riuscì a prendere dall’Arsenal un grande regista: Liam Brady (irlandese) che portò a Torino due scudetti.
L’Inter si accordò per l’austriaco Herbert Prohaska, che, poi, giunse a Roma. A Napoli nel 1980 fu il momento di Ruud Krol, olandese, libero e regista, dell’Ajax (tre Coppe dei Campioni, una dietro l’altra). Intanto, era partito il campionato di serie A (1980-1981), la 79ª edizione della massima serie, la 49ª a girone unico che si concluse con la vittoria della Juventus, al suo diciannovesimo titolo.
I primi a sbarcare in serie A furono Paulo Roberto Falcao che prese la strada per Roma dopo che Giulio Andreotti convinse Ivanoe Fraizzoli, presidente dell’Inter, a rinunciare al brasiliano (dirottandolo sull'austriaco Herbert Prohaska) con cui aveva già raggiunto l’accordo, e Luis Silvio Danuello, finito alla Pistoiese. Il primo viene ricordato come uno dei più grandi stranieri mai calati in Italia, l’altro fu definito il Re dei bidoni.
Anche l’Udinese di Teo Sanson e Franco Dal Cinb allenata da Marino Perani detto “prezzemolo”, ingaggiò il suo straniero, Herbert Neumann. Dal Cin lo scovò nel Colonia, di cui il giocatore era stato una stella di primo firmamento. Giunse in Friuli a 27 anni, accompagnato dalla splendida moglie Anita (di origini portoghese) e i suoi eleganti movimenti, la folta chioma bionda, trassero un po’ tutti in inganno.
I sudamericani Juary all’Avellino, Falcao alla Roma, Bertoni alla Fiorentina, Luis Silvio alla Pistoiese, Fortunato al Perugia, Eneas al Bologna; gli europei Prohaska all’Inter, Brady alla Juventus, Krol al Napoli, Van de Korput al Torino e Neumann all’Udinese. Furono questi i primi 11 stranieri ad essere tesserati dalle nostre squadre di serie A (mentre Ascoli, Brescia, Cagliari, Catanzaro e Como decisero di restare orgogliosamente autarchiche) nella stagione 1980/81, alla riapertura delle frontiere, con un solo giocatore “non italiano” consentito per squadra.
Undici stranieri destinati a crescere velocemente: due anni dopo la Federcalcio ne permise il tesseramento di due per squadra (e arrivarono i vari Platini, Boniek, Zico, e poi poco dopo Maradona, Van Basten, Gullit), nel 1988/89 diventarono tre fino all’alluvione consentita dalla sentenza Bosman del 1995.
A quarant’anni da quel 1980 spartiacque, Alberto Pallotta, si è divertito a mettere in tutti fila gli stranieri arrivati nella nostra serie A fino al 2000. Dal finlandese Aaltonen fino al polacco Zmuda, ci sono proprio tutti, dai grandi come Ronaldo il “Fenomeno” e Diego Maradona ai dimenticati come Escalona, Ibertsberger, Carr, Tejera… Circa cinquecento ritratti, arricchiti da statistiche anno per anno, che raccontano grandi prodezze e leggende incontrollabili, a disegnare il grande romanzo degli stranieri del nostro calcio.
Tabella: I Primi Stranieri Tesserati in Serie A nel 1980/81
Squadra | Giocatore | Nazionalità |
---|---|---|
Avellino | Juary | Brasiliana |
Roma | Falcao | Brasiliana |
Fiorentina | Bertoni | Argentina |
Pistoiese | Luis Silvio | Brasiliana |
Perugia | Fortunato | Argentina |
Bologna | Eneas | Brasiliana |
Inter | Prohaska | Austriaca |
Juventus | Brady | Irlandese |
Napoli | Krol | Olandese |
Torino | Van de Korput | Olandese |
Udinese | Neumann | Tedesca |