La Percentuale di Calciatori Stranieri in Serie A: Un'Analisi Approfondita
Il 15 dicembre 1995 rappresenta una data storica per l’intero movimento calcistico europeo. In quel giorno la Corte di Giustizia dell’Unione Europea accolse le istanze del calciatore belga Jean-Marc Bosman al quale l’allora società di appartenenza (Liegi) aveva negato la possibilità di trasferirsi in un’altra squadra.
La Sentenza Bosman e le sue Conseguenze
Bosman fu il primo calciatore a mettere in evidenza una contraddizione fondamentale nell’essere cittadino dell’UE: l’impossibilità di svolgere il proprio lavoro in armonia con il concetto della libera circolazione e in contrasto con l’articolo 39 del Trattato di Roma del 1957. Il calciatore belga vinse la causa ma la sentenza andò ben oltre. In particolar modo, a tutti i calciatori dell’Unione Europea venne permesso di trasferirsi gratuitamente alla fine del loro contratto, nel caso di un trasferimento da un club dell’Unione Europea a un altro. Inoltre, i calciatori furono in grado di acquisire la facoltà legale di firmare un pre-contratto con un altro club, sempre a titolo gratuito, se il contratto che in quel momento lo vincolava aveva una durata residua inferiore o uguale ai sei mesi.
Ma la sentenza ha avuto altre importanti conseguenze. Un calciatore è ora considerato un lavoratore come gli altri e può circolare liberamente in tutta Europa, senza restrizioni relative alla nazionalità se appartenente a Paesi dell’Unione Europea. Di conseguenza, le varie Federazioni calcistiche non potevano più limitare il tetto di calciatori stranieri comunitari in campo; fino ad allora erano infatti consentiti nella rosa tre giocatori stranieri ad eccezione dell’Inghilterra che considerava britannici i giocatori inglesi, gallesi, scozzesi o irlandesi.
La principale conseguenza della sentenza è stata quella di spingere molti giocatori a trasferirsi in campionati esteri, attratti principalmente da ingaggi più elevati. I campionati delle varie Federazioni europee hanno così perso progressivamente le proprie peculiarità: la presenza in campo di giocatori indigeni diventa l’eccezione, non la regola.
L'Aumento dei Calciatori Stranieri nei Campionati Europei
Ciò emerge in misura incontrovertibile analizzando l’andamento della quota dei giocatori stranieri rispetto al totale dal campionato 1992-1993 a quello più recente nei cinque campionati europei più importanti. Da valori relativamente modesti (il più basso si registra in Italia, nel campionato 1992-1993, con il 13,7%), tale quota aumenta progressivamente, in particolar modo, nel nostro Paese dal campionato 2006/2007 al 2017/2018.
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Nel campionato appena trascorso, la serie A si posiziona al secondo posto (59,1%), di pochi decimali inferiore rispetto alla Premier League (59,7%), per numero di stranieri presenti nelle rose. Virtuosa appare invece la Liga con poco meno del 40% di stranieri schierati in campo durante il campionato 2023/2024. In particolar modo, riguardo al campionato appena iniziato, colpisce il fatto che “la Liga per la prima volta sia cominciata con meno di 200 stranieri, a testimonianza di una produzione di vivai che non si ferma mai, né dal punto di vista della qualità, né della quantità”. In questo contesto, il calciatore italiano di serie A sembra essere “una specie in lenta ma costante estinzione”.
Analizzando il nostro campionato, l’incidenza dei calciatori stranieri sul totale potrebbe essere anche più elevata se prendessimo in considerazione i relativi minuti e le partite effettivamente giocate: questa è però solamente un’ipotesi che non può essere comprovata sul piano empirico (dal sito www.Transfermarkt.it queste informazioni possono essere ricavate ma presuppongono elaborazioni complesse riguardanti ogni singolo calciatore).
Il Ruolo del Decreto Crescita
Il Decreto crescita del 2019, noto come Decreto “rientro dei cervelli”, prevedendo forti agevolazioni di carattere fiscale (esenzione IRPEF fino al 70% a favore dei calciatori) e delle squadre di club, ha generato un’ulteriore spinta alla partecipazione di calciatori stranieri nel campionato di serie A. La principale finalità, secondo la normativa, era quella di attrarre giocatori di elevato valore incrementando in tal modo la competitività delle nostre squadre di club nelle principali competizioni europee e fornendo uno stimolo alla crescita dei giovani calciatori italiani.
L’eliminazione di tali agevolazioni a partire dall’inizio del 2024 ha generato un malcontento diffuso da parte soprattutto di molti club di serie A che, non potendo più contare su forti risparmi fiscali, hanno sottolineato il rischio legato a un possibile minor grado di attrattività del nostro campionato e alla conseguente perdita di competitività. Ma ciò corrisponde a verità? A livello europeo, al di là del “Triplete” vinto dall’Inter nel 2010, i risultati raggiunti sono stati alquanto modesti anche se deve registrarsi un parziale successo delle squadre italiane giunte alle finali delle tre competizioni europee (nessuna vinta) nel 2023 e di due finali europee nel 2024 (Europa League, vinta dall’Atalanta, e Conference League nuovamente persa dalla Fiorentina).
Stranieri e Performance delle Squadre
Analizzando invece i risultati dell’ultimo campionato, si può sostenere che un numero maggiore di calciatori stranieri nella rosa non sembra avere condotto a un miglioramento della performance della squadra; ciò può essere attribuibile anche agli stipendi relativamente bassi dei calciatori stranieri che giocano in Italia, a confronto soprattutto con l’Arabia, la Spagna e l’Inghilterra, che spingono pochi fuoriclasse a giocare nel nostro campionato.
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A fare la differenza, quindi, non è tanto il numero di stranieri quanto e, soprattutto, il valore degli atleti. Sorgono quindi alcune domande: quanti sono i giocatori stranieri che hanno migliorato effettivamente il rendimento e la competitività di una squadra? E, ancora, perché molte squadre di club preferiscono giocatori stranieri di esperienza ma non sempre di elevate qualità tecniche non credendo e, quindi, non investendo nei giovani provenienti dal proprio vivaio?
Investimenti nei Vivai Giovanili
Al riguardo, alcuni numeri dipingono un quadro impietoso: le squadre italiane in generale investono poco nei vivai; secondo una recente analisi di cui riportiamo alcuni estratti, “mediamente una società di serie A investe nel proprio vivaio una cifra che ruota attorno all’1% del proprio bilancio totale, mentre all’estero sono presenti realtà che investono annualmente una quota di bilancio stimata dal 5% al 10%: ad esempio, il Barcellona, per garantire la migliore qualità possibile alla gestione e allo sviluppo della propria cantera, spende mediamente quindici milioni di euro ogni anno, a fronte dei cinquanta spesi da tutte le società di Serie A insieme considerate.”
Le ragioni di tali strategie non sono legate necessariamente agli effetti della sentenza Bosman quanto invece a precise “scelte commerciali e volontarie dei club italiani, attratti dal desiderio di vincere nel breve periodo attraverso l’acquisto di campioni stranieri già affermati. Diversamente, altri Paesi come Germania e Spagna hanno scelto di puntare e investire sulla formazione dei giovani nei vivai, adottando dei progetti a medio-lungo termine che si sono rivelati vincenti.”
Altri numeri, purtroppo, confermano le conseguenze di queste scelte. Sulla base di uno studio del CIES Football Observatory Monthly, relativamente al secondo semestre del 2021, la quota percentuale di minuti giocati da giocatori tra i 15 e i 21 anni che hanno giocato per almeno tre stagioni nel vivaio sul totale dei minuti giocati dall’intera rosa, è sensibilmente più bassa in Italia (7,4%) a confronto con il campionato inglese e, soprattutto, con quello spagnolo.
La Situazione nelle Categorie Inferiori e nelle Squadre Primavera
Vi è, a nostro parere, un ulteriore dato sconfortante su cui occorrerebbe fare una profonda riflessione: l’elevata e crescente partecipazione di calciatori stranieri (il dato si riferisce al campionato 2023/2024) non riguarda solamente la Serie A ma anche, con valori decrescenti, le categorie inferiori e le squadre Primavera.
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L’elevata presenza di calciatori stranieri nelle squadre Primavera (emblematico è il caso del Lecce che, nell’ultimo campionato Primavera 1-A, ha in rosa il 76,5% di giocatori provenienti dall’estero sul totale schierando spesso dall’inizio della gara il 100% di stranieri) tende ovviamente a limitare l’utilizzo dei giovani calciatori italiani con effetti negativi sulle squadre nazionali giovanili e, nel lungo periodo, sulla nostra Nazionale. In particolar modo, il fallimento della Nazionale agli ultimi Europei e la mancata partecipazione agli ultimi due Mondiali potrebbero essere attribuibili, almeno parzialmente, al modesto impiego dei nostri giovani calciatori a partire dai campionati inferiori (a causa della massiccia presenza di calciatori di altre nazionalità) e alla mancanza di un nocciolo consistente di giocatori italiani nella squadra partecipante al campionato di serie A (non è un caso che la Nazionale azzurra vincitrice ai Mondiali 1982 e 2006 abbia schierato, nella finale, rispettivamente, 7 e 5 calciatori della Juventus).
La controprova è fornita dagli incredibili successi della Nazionale spagnola di quest’ultimo decennio che, almeno parzialmente, potrebbe essere attribuibile all’esplosione di alcuni giovanissimi calciatori, frutto a sua volta di investimenti massicci nei vivai e del minore utilizzo di giocatori provenienti dall’estero.
Investire nei vivai giovanili diventa quindi un passo obbligato per dare maggiore solidità e garantire un futuro al calcio italiano sia a livello di club che di Nazionale; al di là però di maggiori risorse da investire occorrerebbe però modificare drasticamente la nostra filosofia. Come sostiene Azzola “è innegabile che in Italia si voglia vincere anche nei campionati giovanili; nelle youth academies delle maggiori realtà europee, invece, l’obiettivo principale è formare al meglio i giovani talenti, per farli trovare pronti al momento dell’esordio in prima squadra. Uno dei metodi di lavoro più utilizzati nei migliori settori giovanili europei, per aiutare i ragazzi a comprendere i loro compiti in campo, è quello di formare i giovani calciatori in funzione del ruolo che potranno ricoprire in futuro negli schemi tattici della prima squadra.
Esterofilia nel Calcio Italiano
Da diversi anni, anzi da diversi decenni, si parla dell’esterofilia del calcio italiano. Di una presunta tendenza, da parte degli operatori di mercato di Serie A, a operare sul mercato straniero. Ecco, possiamo togliere l’aggettivo presunta: gli ultimi dati raccolti dall’osservatorio calcistico CIES confermano che la Serie A, tra tutte le leghe top in Europa, è quella che concede maggior spazio agli stranieri. L’ultimo report ha rilevato che nel nostro campionato, tra tutti i giocatori che hanno disputato almeno una partita di questa stagione, il 61,3% gioca al di fuori dei confini della Federazione in cui è cresciuto.
Se guardiamo agli altri grandi campionati europei, l’unica percentuale similare è quella della Premier League: il 60,6% dei calciatori del massimo campionato inglese è infatti straniero. Le altre leghe top 5 hanno delle percentuali decisamente più basse: la Bundesliga è al 47,7%, la Ligue 1 è al 43,8% e la Liga, infine, arriva al 37,5%. Se guardiamo alle singole squadre delle cinque leghe top, scopriamo che l’Udinese è quella che offre meno spazio ai giocatori nazionali: il numero di stranieri utilizzati in questa stagione è pari all’81,3% del totale; al secondo e al terzo posto ci sono due squadre di Premier League, vale a dire il Liverpool e Wolverhampton (entrambe al 79,2%).
La redazione di Affidabile.org ha voluto investigare sul tema, confrontando i dati italiani con quelli di Premier League, La Liga, Bundesliga e Ligue 1. Sono sempre più i giocatori che scelgono di far parte di squadre estere, spesso motivati da ingaggi più elevati e remunerativi rispetto a quelli offerti dai club dei paesi di provenienza. Dalla fine degli anni Novanta a oggi, complice il calciomercato, il fenomeno del trasferimento dei calciatori verso società straniere è aumentato in modo esponenziale.
Lo spostamento di giocatori verso club esteri inizia in modo diffuso dopo la sentenza storica del 15 dicembre 1995, quando la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha accolto le istanze del giocatore belga Jean-Marc Bosman. La principale conseguenza della sentenza è stato l’abbattimento del limite massimo di calciatori stranieri in campo, che fino ad allora erano tre al massimo.
I valori iniziali di giocatori stranieri in campo sono piuttosto contenuti nei primi anni Novanta: il picco più basso, ovvero il 12,2% di presenze, si è registrato in Italia durante il campionato 1994-1995. A seguire, la quota ha iniziato progressivamente a salire, fino ai livelli attuali. Nel campionato appena trascorso, ad esempio, la Serie A, con un 59,1% di presenze di giocatori stranieri, si piazza al secondo posto tra le competizioni europee, appena dopo la Premier League (59,7% di stranieri nelle rose). La Ligue 1 si attesta a un valore pari al 55,2%, mentre la Bundesliga supera di poco il 50%. Per quanto riguarda la stagione attuale, si registra un record di calciatori stranieri nei massimi campionati europei.
E i flop? Ce ne sono davvero tantissimi. Del resto ogni anno i club prendono dall’estero una grande quantità di giocatori stranieri, senza un vero criterio, solo perché costano meno. Secondo me no, questa idea che ci debba essere una sorta di protezionismo nei confronti dei giocatori italiani la trovo insensata.
Beh, considera che nei campionati europei Under-19 o Under-17, anche a livello mondiale, siamo tra i più competitivi. Il nostro problema è il salto dal settore giovanile alle primavere, alle prime squadre. In questa fase spesso si blocca il processo di crescita dei nostri ragazzi. Da questo punto di vista c’è una netta differenza rispetto a quello che può succedere in Spagna. Ci vorrebbe a volte un filo di coraggio in più. Per esempio in Italia proprio in questi giorni Thiago Motta sta dimostrando di non aver problemi a lanciare giovani ragazzi che magari noi non conosciamo. Di ragazzi bravi e capaci ce ne sono anche qui.
Qualche eccezione? Beh, ripeto, anche la scorsa estate noi a livello di Under-19 e Under-17 abbiamo dimostrato di avere giocatori di prima fascia da Camarda in su. Un’ultima domanda: la percentuale di minuti giocati dai calciatori tra i 15 e i 21 anni, rispetto al totale dei minuti giocati dall’intera rosa, in Italia è del 7,4% . Nella Liga arriva al 17,5%. Le cose sono due. Un po’ da noi si tende a sfruttare l’usato sicuro: è più facile che un tecnico punti su giocatori più esperti e più avanti con l’età perché ti danno più garanzie. Altrove, come nel caso del Real Madrid, è un po’ più semplice puntare sul giovane talento perché ci sono squadre dove i campioni abbondano e mettere un giovane di fianco ai big fa da buon acceleratore. Aggiungo, inoltre, che a livello di strutture siamo un po’ più indietro rispetto al passato.
Il Cies, l'Osservatorio del calcio, ha analizzato la percentuale di stranieri utilizzata nei campionati europei. Il club che primeggia tra le 31 migliori divisioni calcistiche UEFA in questa speciale graduatoria è l'Udinese, con l'88% dei suoi giocatori che provengono dall'estero. Al secondo posto il Chelsea, che per l’86,8% dei minuti disponibili ha schierato solamente calciatori non inglesi. Chiude il podio l’Atalanta (86,3%), mentre il quarto posto è occupato dal Torino (83,7%). Guardando alla top10 delle migliori leghe europee, oltre a tre club italiani sono presenti quattro società di Premier League (oltre al Chelsea anche Wolverhampton, Manchester City e Watford), una spagnola (Atletico Madrid) una francese (Lille) e una tedesca (Lipsia).
Nella lista completa della Serie A, riferita a un limite temporale fissato non oltre il 30 settembre, solo due squadre si mantengono sotto il 50% (e quindi schierano maggioranza azzurra): Empoli e Genoa.
Tabella: Percentuale di Stranieri nelle Prime 6 Giornate di Serie A
Squadra | Percentuale di Stranieri |
---|---|
Udinese | 88% |
Chelsea | 86.8% |
Atalanta | 86.3% |
Torino | 83.7% |
Empoli | Sotto il 50% |
Genoa | Sotto il 50% |