Cosa Stabilisce il Trattato di Schengen
Lo spazio Schengen, uno degli avanzamenti più concreti dell’Unione Europea, è una zona di libera circolazione dove i controlli alle frontiere sono stati aboliti per tutti i viaggiatori, salvo circostanze eccezionali. All’atto pratico, all’interno di questa zona i cittadini dell’Unione Europea e quelli di paesi terzi possono spostarsi liberamente senza essere sottoposti a controlli alle frontiere.
Oggi aderiscono all’accordo 26 Paesi, di cui 22 sono membri dell’Ue e quattro no (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera), mentre due membri dell’Unione, Regno Unito e Irlanda, non ne fanno parte. Non ne fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania, per cui il trattato non è ancora entrato in vigore, e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione esercitando la cosiddetta clausola di esclusione (opt-out). Dal primo gennaio 2023, inoltre, anche la Croazia ha aderito pienamente all’acquis di Schengen, eliminando i controlli sulle persone alle frontiere interne sia terrestri che marittime a partire dal 26 marzo 2023. Bulgaria, Cipro e Romania aderiranno presto allo spazio Schengen mentre invece, l’Irlanda, è il solo unico Paese membro che non rientra nel suddetto spazio.
La Storia del Trattato di Schengen
Il trattato di Schengen fu concluso nel giugno 1985, da Francia, Germania (allora quella dell’Ovest), Belgio, Olanda e Lussemburgo: i cinque Paesi decidevano di adoperarsi per l’abolizione dei controlli sulle persone alla frontiera. L’importante documento fu firmato a Schengen, tranquilla cittadina sulle rive della Mosella, situata in un luogo molto simbolico: in Lussemburgo, al confine con la Francia e con la Germania.
L’area di libera circolazione è entrata progressivamente in vigore a partire dal 1985, data di un accordo di massima concluso da un gruppo di governi europei nella località lussemburghese di Schengen. La prima soppressione effettiva dei controlli alle frontiere è arrivata nel 1995 tra Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Portogallo. L’accordo era costituito da una dichiarazione di princìpi e obiettivi, che fu completata nel 1990 da una Convenzione di applicazione, entrata in vigore nel 1995. Schengen diventò, in seguito, parte della legislazione europea con il trattato di Amsterdam del 1997 (in vigore dal 1999).
Nel frattempo altri Stati si aggiungevano ai cinque originari e andavano a formare lo “spazio Schengen”, territorio libero dai controlli di documenti. In quegli anni nasceva e cresceva l’Unione europea, i cui pilastri erano rappresentati, appunto, dalla libertà di movimento delle persone, delle merci, dei capitali fra gli Stati.
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Cosa Prevede il Trattato
Il trattato intende conciliare la libertà e la sicurezza, anche dopo l’apertura delle frontiere. Fra le misure previste, c’è la collaborazione tra le forze di polizia e il coordinamento degli Stati nella lotta alla criminalità organizzata (mafia, traffico d'armi, droga, immigrazione clandestina). La caduta delle frontiere interne ha per corollario il rafforzamento delle frontiere esterne dello spazio Schengen.
Un capitolo fondamentale dell’accordo riguarda l’integrazione delle banche dati delle forze di sicurezza, realizzata attraverso il “Sistema di informazione Schengen” (Sis), per gestire dati che consentono agli Stati Schengen di scambiarsi notizie sull’identità di determinate categorie di persone e sulla proprietà dei beni. Per consentire la libera circolazione senza che ciò turbi l’ordine pubblico, la convenzione prevede il rimando a norme comuni sui visti e sul diritto d’asilo, quelle che oggi regolano i due settori in tutti i nostri Paesi. Nel 1990 venne poi creata una frontiera esterna unica, lungo la quale i controlli all’ingresso dello spazio Schengen erano e sono tutt’ora effettuati secondo procedure identiche.
Gli stati membri che si trovano ai suoi confini hanno dunque la responsabilità di organizzare controlli rigorosi alle frontiere e assegnare all’occorrenza visti di breve durata alle persone che vi fanno ingresso. L’appartenenza a Schengen implica una cooperazione di polizia tra tutti i membri per combattere la criminalità organizzata o il terrorismo, attraverso una condivisione dei dati (per esempio con il sistema d’informazione condiviso Schengen, o Sis). Una delle conseguenze di questa cooperazione è il cosiddetto “inseguimento transfrontaliero”, ovvero il diritto della polizia di inseguire un sospetto in un altro stato Schengen in caso di flagranza di reato per infrazioni gravi.
Eccezioni al Trattato di Schengen
Anche se le frontiere interne dovrebbero esistere soltanto sulla carta, i membri dello spazio Schengen hanno comunque la possibilità di ristabilire controlli eccezionali e temporanei. Questa decisione dev’essere giustificata da una “minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna” o da “gravi lacune relative al controllo delle frontiere esterne” che potrebbero mettere in pericolo “il funzionamento generale dello spazio Schengen”, come si legge nella documentazione della Commissione europea.
Il codice frontiere, che è parte dell’acquis Schengen, stabilisce che per esigenze di ordine pubblico e sicurezza nazionale uno Stato può ripristinare i controlli alle proprie frontiere, adeguati alla situazione di emergenza. Inoltre, il Reg. UE n. 1051/2013 prevede questa opzione anche nei casi di gravi lacune nei controlli esterni all’Area, ma in tali situazioni l’iniziativa spetta agli organi UE (Consiglio e Commissione).
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Gli accordi sulla libera circolazione delle persone hanno funzionato “in condizioni normali”, sulla base delle sole regole. Ma con lo sviluppo impetuoso delle correnti migratorie (e anche a seguito delle minacce terroristiche) le sole regole, in assenza di un potere esecutivo europeo capace di farle rispettare, hanno mostrato la loro fragilità. Se non c’è un controllo europeo diretto delle frontiere esterne, diventa inevitabile che ogni Stato membro voglia ristabilire il controllo sulle frontiere interne.
Esempi di Sospensione Temporanea
- La Francia dopo gli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre 2015.
- La Germania, l’Austria, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia per contrastare l’arrivo dei richiedenti asilo.
- L’Italia in occasione del G8 di Genova (14-21 luglio 2001), per il G8 dell’Aquila (28 giugno-15 luglio 2009) e, più di recente, per il G7 di Bari e Taormina (10 maggio-30 maggio 2017).
I Costi della Non-Schengen
Secondo France Strategie, un autorevole think-tank governativo francese, la fine di Schengen costerebbe, a regime, annualmente 100 miliardi di euro, pari allo 0,8% del PIL europeo. Ma anche un intervento soft e ridotto nel tempo avrebbe effetti notevoli sul turismo nei week-end, i lavoratori transfrontalieri ed il trasporto merci: ad esempio, i trasportatori, solo a causa dei ritardi che si accumulerebbero alla frontiera per i necessari controlli, avrebbero un costo di 55 € per ora.
Oggi la mobilità e flessibilità operativa sono essenziali ai fini della ricerca del lavoro, specie giovanile e la reintroduzione dei controlli alle frontiere sarebbe un serio problema. Secondo il think tank Bruegel nel 2014 quasi 1,7 milioni di residenti dell’Area Schengen hanno oltrepassato i confini nazionali e nel 2013 sono stati effettuati 218 milioni di viaggi notturni oltreconfine, di cui 25 milioni per motivi di lavoro.
Da un punto di vista economico appare intuitivo che, in una fase di ripresa minima dalla recessione, la cosa meno intelligente sia quella di imporre restrizioni alla libertà di movimento delle persone. Per i ventenni di oggi è fuori da ogni razionalità dover tirare fuori il documento per passare il confine. E chi vuole andare a trovare il figlio in Erasmus di certo non ha tempo da perdere con la polizia di frontiera.
Ma il costo maggiore di una crisi-Schengen non è economico, bensì politico. Se mettiamo in discussione Schengen, i controlli torneranno ad essere la norma e non l’eccezione, come accade oggi. Distruggere Schengen significa fare a pezzi un simbolo dell’Europa unita.
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Oltre Schengen: Verso un Controllo Europeo delle Frontiere
Le regole non bastano, ci vogliono istituzioni europee che le facciano rispettare, anche contro la volontà degli Stati. Cominciando dalla struttura Frontex, che dovrebbe dar vita ad un corpo di polizia di frontiera e a una guardia costiera europea, come da proposta della Commissione (dicembre 2015). Il nuovo corpo avrebbe mezzi e personale superiori rispetto a Frontex e, in situazioni urgenti, dovrebbe intervenire sul territorio di uno Stato per garantire che siano prese le misure adeguate, anche nel caso in cui non ci sia una richiesta di aiuto da parte del Paese coinvolto.
È un punto difficile, ma decisivo, perché mette in piena luce un passaggio di sovranità sul terreno della sicurezza. Lo dimostra la cautela con la quale la Commissione si sta muovendo, prevedendo il diritto di intervenire al termine di un processo graduale, in caso di “persistenza” dei ritardi e delle omissioni nei controlli alle frontiere da parte dei paesi coinvolti.
Paesi Membri dello Spazio Schengen
Attualmente, lo spazio Schengen comprende 26 paesi, di cui 22 membri dell'Unione Europea e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Di seguito, una tabella riassuntiva:
Stato Membro | Appartenenza all'UE |
---|---|
Austria | Sì |
Belgio | Sì |
Repubblica Ceca | Sì |
Danimarca | Sì |
Estonia | Sì |
Finlandia | Sì |
Francia | Sì |
Germania | Sì |
Grecia | Sì |
Ungheria | Sì |
Islanda | No |
Italia | Sì |
Lettonia | Sì |
Liechtenstein | No |
Lituania | Sì |
Lussemburgo | Sì |
Malta | Sì |
Paesi Bassi | Sì |
Norvegia | No |
Polonia | Sì |
Portogallo | Sì |
Slovacchia | Sì |
Slovenia | Sì |
Spagna | Sì |
Svezia | Sì |
Svizzera | No |
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