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"Ero straniero e non mi avete accolto" (Matteo 25:43): Riflessioni sull'Accoglienza Cristiana

Il versetto "Ero straniero e non mi avete accolto" (Mt 25,43) risuona come un monito per i discepoli di Cristo. Questo ci invita a una profonda riflessione sull'accoglienza cristiana, soprattutto nel contesto delle sfide migratorie che stiamo vivendo.

Le Radici Bibliche dell’Accoglienza

L'accoglienza, nella sua etimologia, contiene un programma di vita: "camminare insieme verso il bene comune, verso la gioia condivisa". Ma questo non è forse il cammino di noi umani sulla terra? L'Antico Testamento ci ricorda: "siete stati stranieri in terra d’Egitto" (Dt 10,34). Dio stesso si rivela come colui che ascolta il grido dello straniero e si prende cura di lui.

L'alleanza con Dio implica l'accoglienza dell'altro, come ripreso da Gesù (cf. (Lv 19,18). Abramo stesso, obbedendo al comando divino "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti farò vedere" (Gen 12,1), e praticandola, senza saperlo ha accolto degli angeli” (Eb 13,2), fatti sedere alla sua tavola (cf. Gen 18,1-8). Ma ogni credente dovrebbe ricordarlo.

La Philoxenía

Dovremmo affrettare quel giorno, incarnando la nostra fede. Come possiamo essere xenofobi noi che per vocazione siamo xenofili? Non dovremmo farvi complessi discorsi biblici o teologici; la traduzione italiana della CEI, ma in realtà alla lettera l’Apostolo dice: “Perseguite la philoxenía”!

Noi e gli Stranieri: Emblema della Diversità da Accogliere

La convergenza simultanea di diversi flussi migratori verso l’Europa impone alcune constatazioni. Essa porta con sé interrogativi: “Perché vengono da noi? Perché così numerosi? Che ne sarà del nostro modo di vivere e di convivere?”.

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Lo straniero è la paura, perché era sconosciuto e ora me lo trovo accanto. Paure a confronto! La paura dell'altro nasce dalla minaccia, reale o presunta all’identità culturale o religiosa. Ma non possiamo vivere umanizzandoci, se non possiamo superare gli schemi e sa sempre rinnovare il miracolo dell’incontro.

Questo è ciò che siamo chiamati a vivere nell’incontro con ogni altro, quando scegliamo di avvicinarci allo straniero. Questo è spazio di prossimità e di accoglienza gratuita, irripetibile unicità, nella sua massima densità.

Gesù, quella del samaritano (cf. Lc 10,30-37) ci mostra un modello di accoglienza per eccellenza. Di fronte alla domanda: “Maestro, facendo che cosa erediterò la vita eterna?”, Gesù risponde: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. E alla risposta “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18), Gesù conclude: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”.

Agire, fare azioni d’amore, senza tante discorsi. Il samaritano, mosso da viscerale compassione, si fa a lui vicino, prossimo. Tutto in un verbo, già evocato: “fu preso da viscerale compassione”. E, fattosi vicino, "fasci gli piaghe, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò in una locanda e si prese cura di lui".

La domanda fondamentale diventa: “Chi è il mio prossimo?” o meglio "Come faccio prossimo?”. Questa è la vera domanda! L'Apostolo ci invita ad accogliere gli altri come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio” (Rm 15,7). Nulla di più semplice, nulla di più esigente… accogliere.

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Accogliere: Un Imperativo Cristiano

Gesù stesso si identifica con lo straniero: “Ero straniero e non mi avete accolto” (Mt 25,43)! Dobbiamo accogliere l'altro come fratello o sorella. L'accoglienza dello straniero in virtù di una fratellanza universale è qualcosa che attraversa i millenni e le culture, perché si tratta di un’istanza profondamente radicata nella natura del nostro essere umani.

Gesù oggi sbarca sulle nostre coste, entra nelle nostre città; e cosa trova? Trova muri, fili spinati, gas lacrimogeni, pallottole di carta, etc. Questo perché non crediamo nel progetto di convivenza tra diversi!

Opere di Misericordia

Accogliere gli stranieri è una delle sette opere di misericordia corporale che il Catechismo della chiesa cattolica ancora registra. Già Lattanzio, nel terzo secolo, aveva notato che, con queste parole, Dio aveva esplicitamente indicato agli uomini qual era la via del bene: “Il principale vincolo che unisce gli uomini fra loro è l’umanità, siamo fratelli, e a motivo della fratellanza che ci unisce Dio ci insegna a fare sempre il bene e non il male.

I semplici gesti di aiuto, carità e vicinanza espressi in Mt 25,31-46 (dar da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete, vestire chi è nudo, visitare chi è in carcere e chi è malato, vestire chi è nudo, accogliere chi è straniero) costituiscono una sorta di grammatica elementare dell’umana relazione con l’altro. Una grammatica senza la quale non si potrà mai comporre una frase veramente cristiana.

La Paura e l'Indifferenza: Ostacoli all'Accoglienza

Il mondo oggi è spesso abitato dalla paura e dalla rabbia, che è una sorella della paura. L’atmosfera di paura può contagiare anche i cristiani che, come quel servo della parabola, nascondono il dono ricevuto. Per questo Papa Francesco chiede di ripensare la globalizzazione.

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La fuga in atto dall’Africa e dal Medio Oriente ha cause ben precise, anche storiche, che sono di origine economica, un’economia distorta che uccide e provoca guerre. Siamo pienamente coinvolti, nel bene e nel male. Da una parte facciamo salvataggi, dall’altra esportiamo bombe. E dunque, in definitiva, piantiamo semi di guerra e raccogliamo rifugiati.

La nostra indifferenza è ‘pesante’, nel senso che avrà conseguenze devastanti e concrete su quel poveraccio tramortito: lo farà morire. Ovviamente questa indifferenza non è frutto della casualità o della fatalità, ma è ‘figlia’ di un disegno politico che viene da lontano.

Superare la Paura: Vedere gli Stranieri

Di fronte al fenomeno migratorio, sarebbe più sensato considerarlo un’inevitabile conseguenza di fattori legati ai nostri comportamenti, a cominciare da guerre, sete di potere e sfruttamento iniquo delle risorse del pianeta. Da sempre è la fame che va verso il pane, non viceversa, e non ci sono né muri né mari capaci di fermare chi è talmente disperato da considerare un viaggio senza speranza preferibile alla certezza di una morte atroce nella propria terra.

“Vedere gli stranieri” da lontano significa lungimiranza sulle cause che li muovono. Significa capacità di pensare in grande per agire “politicamente” in senso forte e responsabile, così da colpire poteri e persone che prosperano sulla morte degli altri, dai trafficanti di armi a quelli di esseri umani.

Non dovrebbe essere difficile per noi applicare questo paradigma, la nostra “stranierità” è ancor oggi riscontrabile e vissuta. Lo straniero è lo specchio della stranierità che ci abita, è la faccia nascosta della nostra identità. Riconoscendo la stranierità in noi, possiamo compiere un cammino che non rimuove, non teme, non demonizza il forestiero.

Giunto da lontano, lo straniero è radicalmente altro. È altro da me: era lontano e ora mi è vicino. Ora compete a me farmi suo prossimo, avvicinarmi a lui. Ma proprio in questo incontro emerge la paura. Anzi, due paure: la mia paura e quella dello straniero.

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