"Ero straniero e mi avete accolto": Il significato nel Vangelo
Il Vangelo, buona notizia, è il modello a cui tentare di conformarci. In questo articolo, cercheremo di meditare insieme sull’accoglienza cristiana, secondo l’umanità vissuta e insegnata da Gesù stesso.
Le radici bibliche dell’accoglienza
L'accoglienza nella sua etimologia contiene un programma di vita, cioè vicino, l’uno all’altro, verso”.
Ma questo non è forse il cammino di noi umani sulla terra? Camminare insieme verso il bene comune, verso la gioia condivisa. L’alleanza con lui? Siete stati stranieri in terra d’Egitto”.
Questo concetto è ripreso da Gesù. Ricordiamo che ogni credente dovrebbe ricordarlo: siamo tutti stranieri, pellegrini su questa terra.
L'accoglienza nei primi cristiani
Lo scritto a Diogneto dovrebbe essere ben più meditato da quanti si dicono, appunto, cristiani. I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per abiti. Essi sottostanno come stranieri. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite. Sono perseguitati. Sono insultati, benedicono; offesi, rispondono con rispetto. Puniti come malfattori ricevono la vita. Abitano nel mondo, ma non provengono dal mondo.
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Chi è straniero e pellegrino? Chi non è un cristiano nel mondo, è invece mondano senza essere di Cristo. Non essere del mondo”, proprio come lo è stato lui.
Accogliere: Un Modello di Santità
Potremmo anche parlare di “santità accogliente”. “[Zaccheo] lo accolse, lo ospitò pieno di gioia”. Poi i ricchi come Zaccheo e Giuseppe di Arimatea; gli stranieri come il centurione e la donna siro-fenicia; giusti come Natanaele presso i quali alloggiava e con i quali condivideva la tavola.
Gesù non guarda al peccatore, ma a ogni membro dell’umanità, uguale in dignità a ogni altro umano. Gesù offre uno spazio di prossimità e di accoglienza. Quando Gesù riconosce la fede-fiducia già presente in ogni umano, allora Gesù può affermare: “La tua fede ti ha salvato”. Grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”. Non è la fede di Gesù che guarisce, ma la fede-fiducia di chi a lui si rivolge.
Gesù ci indica un mondo nel quale ogni relazione era aperta alla comunione. Non dobbiamo inventarci nulla. Gesù sa superare gli schemi e sa sempre rinnovare il miracolo dell’incontro.
Le Opere di Misericordia Corporale
“Ero malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo vestito? Quando ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. Gesù ci ricorda le opere di misericordia corporali, che tante volte sentirete menzionare in quest’anno santo. Le nostre azioni vissute qui e ora mettono in gioco la nostra prassi o non prassi dell’accoglienza. Accogliete gli altri come anche Cristo ha accolto voi, per la gloria di Dio”. “Siate ospitali gli uni verso gli altri senza mormorare”.
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Accogliere è vivere e insegnare come Gesù. Nulla di più semplice, nulla di più esigente…
La sfida dell'accoglienza
Cosa significa non accogliere? Significa ascoltare i discepoli dire: “Ero straniero e non mi avete accolto”! Significa non trattare l'altro come fratello o sorella. Gli stranieri sono capaci di destare le più irrazionali paure, mettendo a rischio la convivenza civile. Accogliere lo straniero è un bivio tra civiltà e barbarie.
Dio dice: “Vattene dalla tua terra, verso la terra che io ti farò vedere”. Abramo acquistò un terreno per collocare il sepolcro per la moglie Sara e per sé, sentendosi stranieri. Alcuni, praticando l'accoglienza, senza saperlo hanno accolto degli angeli”. “Ero straniero (xenós) e mi avete accolto”. Questa non è solo una frase della traduzione italiana della CEI, ma in realtà alla lettera l’Apostolo dice: “Perseguite la philoxenía”! Come possiamo essere xenofobi noi che per vocazione siamo xenofili? Dobbiamo affrettare quel giorno, incarnando la nostra fede. Dobbiamo vivere fianco a fianco tra loro e in mezzo a noi.
Paura e Incontro
La convergenza simultanea di diversi flussi migratori verso l’Europa impone alcuni interrogativi: “Perché vengono da noi? Perché così numerosi? Che ne sarà del nostro modo di vivere e di convivere?”. L'arrivo di persone straniere nei nostri paesi europei crea delle gravi difficoltà. La paura nasce perché lo straniero è sconosciuto e ora me lo trovo accanto. Dietro lo straniero c'è la paura: paure a confronto! Dobbiamo affrontare la paura assumendola, non rimuovendola. La paura è dovuta a una minaccia reale o presunta all’identità culturale o religiosa. Senza gli altri, i diversi, gli stranieri, non possiamo vivere umanizzandoci. Perché fatichiamo tanto a capirlo? L'assenza di umanità è il terreno in cui l’unica pianta in grado di crescere è la barbarie.
Questo è ciò che siamo chiamati a vivere nell’incontro con ogni altro, quando scegliamo di avvicinarci allo straniero. L'incontro deve essere gratuito, deve riconoscere l'irripetibile unicità dell'altro nella sua massima densità.
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La Parabola del Buon Samaritano
L'esempio per eccellenza di accoglienza è quella del samaritano. Un dottore della Legge mise Gesù alla prova, dicendo: “Maestro, facendo che cosa erediterò la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. L'uomo rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso”. Gesù replicò: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”.
Gesù ci invita ad agire, a fare azioni d’amore, senza tante discorsi. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti, che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, avendolo visto, passò oltre dalla parte opposta. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. (Lc 10,30-32).
Compassione e Prossimità
Gesù ci mostra la compassione e la prossimità verso il bisogno del prossimo. Ma un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, lo vide e ne ebbe viscerale compassione. Si fece a lui vicino, prossimo. Questo è il vertice teologico e antropologico dell’insegnamento di Gesù. Qualcuno potrebbe chiedere: “Ma chi è il mio prossimo?”. La domanda giusta è: “Io, mi faccio prossimo?”. Questa è la vera domanda! La parabola del samaritano ci mostra come, davanti alla logica dell’occhio contro occhio, si decide la relazione. Tutto si racchiude in un verbo, già evocato: “fu preso da viscerale compassione”. La compassione indica un sentire non solo con il cuore, ma con le viscere. La domanda è: siamo capaci oggi di viscerale compassione? Abbiamo un cuore di carne oppure di pietra? Il samaritano si fece vicino all'uomo, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò in una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più te lo rifonderò al mio ritorno”. (Lc 10,37).
Gesù conclude la parabola del samaritano, chiamando ad essere misericordiosi. Gesù chiede: chi è il prossimo? La risposta è: va’ e anche tu fa’ lo stesso”.
Cosa fare di concreto?
Dobbiamo rimetterci in piedi. Dobbiamo liberarci dai nostri schemi prestabiliti. Dobbiamo smetterla di essere tristi. Dobbiamo guardare agli altri e non a se stessi. Non dobbiamo essere servi troppo rigidi! Alla fine della parabola del samaritano, potremmo anche mutare leggermente l’ultima parte della parabola …Passa un samaritano. Egli è privo di giumento, non ha né olio, né vino, né bende, né soldi. Il samaritano ha solo la sete. Non ha altre possibilità, è privo di ogni bene. Allora prende quell’uomo tra le sue braccia. Questo è il comandamento dell’Apostolo: accogli ogni tentazione di indifferenza, e io sarò sempre con te”. Questa è la quotidiana, eterna domanda.
Gesù e il Giudizio Universale
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (25,40).
Quel Dio che nel giorno ultimo appare in tutto il suo splendore, nel tempo della storia si nasconde, la sua gloria non è affatto visibile. Si nasconde nelle pieghe della vita quotidiana e assume la veste dei più piccoli tra gli uomini, quelli che sono meno considerati o quelli che vengono disprezzati. Quello che nella traduzione italiana è presentato come “i più piccoli”, in greco è un superlativo [eláchistos] che può essere tradotto con piccolissimi. Un Dio che si fa piccolo e si nasconde nei più piccoli. Dio si fa piccolo per amore. E ci chiede di amarlo e servirlo nelle persone che non hanno alcuna considerazione sociale. Un tale amore non può che essere totalmente gratuito. Tutti siamo bravi a fare favori alle persone potenti, pochi sono quelli che scelgono di servire i poveri. La nostra carità non nasce dalla benevolenza o da una generica solidarietà ma dall’amore per Lui, il Dio fatto uomo. Per questo Gesù può dire: “ L’avete fatto a me”. La carità diventa così l’immediata espressione della fede. La fede apre gli occhi e ci fa riconoscere nelle persone più deboli il volto stesso di Gesù.
Accoglienza e Società
Stiamo vivendo un tempo di prova e di preoccupazione riguardo il presente e il futuro. Dobbiamo manifestare con la nostra fede che “il Signore ci guiderà sempre”.
L'immigrazione di intere popolazioni straniere nei nostri paesi europei suscita da un lato interesse, dall'altro timore e sospetto. Dobbiamo chiederci se questo è un "problema" oppure un'"opportunità"? Dobbiamo guardare a questi eventi come un "segno dei tempi"? Cosa il Signore ci sta chiedendo? Quale atteggiamento la comunità e ciascuno di noi, deve assumere per rimanere fedele all'evangelo? Dobbiamo passare accanto a nessuno in modo indifferente. Dobbiamo scoprire che il volto di ogni fratello che bussa alla mia porta è un'opportunità di incontro!
Il Giudizio Universale
La parabola del giudizio universale dà la risposta ad entrambe le questioni. Cogliamone gli elementi essenziali. "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria". Il Figlio dell'uomo separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere non mi avete visitato».
Il metro di giudizio sono le "opere di misericordia corporale": dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, accogliere gli stranieri, vestire i nudi, visitare gli ammalati e i prigionieri. Non conta altro, ad esempio la fede o il culto, ma il fatto di averlo fatto o non fatto a lui, proprio al giudice stesso: "L'avete fatto non l'avete fatto a me".
Il Vangelo invita invece ad entrare nella logica della prossimità, dell'ospitare, del soccorrere il prossimo facendosi prossimo, dando il primato alla persona e non all'assistenzialismo. L'accoglienza è un'opportunità di crescita per tutti: loro e noi. Accogliere non è facile, e credo lo sarà per molto tempo. Lo straniero è "altro" da noi, diverso, e questa paura non deve essere ignorata. Dobbiamo cercare un'armonia, come non lo è neppure il nuovo radicamento. L'accoglienza non deve essere fatta a caso (in base a cosa?) senza distinzione, razze, culture, religioni, perché questo potrebbe creare dei disturbi.
La casa, che è il mondo, non è nostra: essa appartiene a Dio, perché ospitato ciascuno di noi deve a sua volta ospitare. Dobbiamo ricordarci sempre dello straniero. Dobbiamo ricordarci che siamo tutti ospiti vicendevoli e mai padroni.
Come agire nell'immediato?
Il Signore non esige nulla di eroico. Dobbiamo vincere le nostre paure. Dobbiamo pregare per la giusta accoglienza, senza discriminazioni di sorta, minacciati nella loro dignità e nei loro diritti. Dobbiamo accogliere ogni persona a prescindere dalla sua provenienza o religione diversa dalla nostra. Accogliere significa riconoscere che siamo tutti "ad immagine e somiglianza" di Dio. Accogliere è un gesto di gioia. Accogliere significa aiutare chi ha bisogno. Accogliere è aiutare i più deboli e indifesi. Accogliere significa aiutare gli altri a sentire Dio più vicino.
L’azione cristiana rimane nascosta, senza responsabilità sociale. Una Chiesa di frontiera, protesa verso i bisogni dell’uomo, non di vertice. La frontiera è fuori dal tempio. La vita è un cammino, un essere in cammino. La vita è essere attraversato e andare verso nuove terre, luoghi a volte sconosciuti. La frontiera è sempre stata il luogo degli arrivi e delle partenze. È il luogo dell’imprevisto, dell’inedito, il luogo dell’originale, sempre nuovo e sempre in attesa di una patria. La frontiera è l’azione politica.
Dobbiamo stare vicino ai bisognosi, annunciargli il Vangelo, cioè la salvezza e la felicità. Per fare questo, i precetti diventano totalmente secondari di fronte al dolore degli uomini. Vuoti dogmatismi e di ipocrisie non salvano più uomini. Una Chiesa non di vertice, istituzionalmente lontana, ma di frontiera. La frontiera è fuori dal tempio, è un luogo di arrivi e di partenze, è il luogo dell’imprevisto, dell’inedito. La Chiesa deve pregare per la pace, deve difendere la sovranità popolare e per rendere sempre attiva la libertà personale. La Chiesa deve condannare le intollerabili povertà di certe categorie sociali, intervenendo nelle forme più attente ed efficaci, e le fa vivere di speranza. Senza chiedere nulla in cambio. La Chiesa non deve appartenere a un solo partito, né rappresentare la libertà della Chiesa. La Chiesa non deve usare la religione in termini ideologici e opportunistici, preferendo l’ossequio formale alle spinte della libertà interiore.
Il Discorso di Gesù nel Vangelo di Matteo (Mt 25,31-46)
Gesù dice alle folle: Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere non mi avete visitato». Anch'essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me». E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Questo lungo discorso di Gesù si trova solamente nel vangelo secondo Matteo, il quale scrive per una comunità cristiana ancora fortemente legata al giudaismo. L'identificazione fra Gesù e coloro che non hanno nulla e non hanno nessuno in questa narrazione è totale. Esporsi all'altro spaventa, lasciarci toccare fa paura. Ma non è forse proprio questo il senso, la forza che risiede in questa Parola viva? La paura, che trova il suo falso antidoto in una formalità disumanizzante, burocratica e giuridica, è un sentimento del tutto normale. Eppure, sembra dirci Gesù, questa paura si supera solamente con l'avvicinarsi a ciò che mi spaventa, nel farsi prossimo a coloro che versano in condizioni di reale necessità, assoluta solitudine, perché in ognuno di loro si rileva il volto di Cristo: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».
Questo modo di con-formare la propria esistenza alle parole di Gesù è tutt'altro che buonismo, anzi esso è il vero antidoto al buonismo, da una parte, e all'indifferenza dall'altra. Solamente esponendosi, aprendosi a questo altro che è radicalmente solo, si può acquisire la capacità di discernere, che è una forma di saggezza. Come sarebbe possibile, altrimenti, cercare di comprendere il tutt'Altro che chiamiamo Dio, se non ci si lascia toccare dall'altro uomo? Da quell'altro in cui va trovato il Volto di Cristo?
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