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Il Viaggiatore Meravigliato: Esplorazione del Significato nella Letteratura di Viaggio

La complessità della “scrittura di viaggio” risiede nel concetto stesso di viaggio e nel suo legame fondativo con la narrazione. L'altrove viene da sempre raccontato, tanto che, in alcune lingue, “viaggio” ha significato sia l'esperienza che la sua narrazione: “Viaggi diconsi le descrizioni dei luoghi, dei costumi ecc., fatte da alcun viaggiatore, e pubblicate per ammaestramento degli altri”.

Se il viaggiatore e lo scrittore nascono insieme, è anche vero che le motivazioni che spingono l'uomo a viaggiare sono sempre state molteplici e hanno trovato naturalmente nella molteplicità delle forme, degli stili e delle tematiche soluzioni adeguate, rispondenti agli stimoli e alle esigenze di una tipologia altrettanto varia di viaggiatori: dal pellegrino e dal mercante del Medioevo all'esploratore e naturalista dell'Età Moderna, dal Grand-tourist del XVII e XVIII secolo al Wanderer romantico, dal reporter di viaggio contemporaneo al turista di massa.

Ogni singolo scritto odeporico occuperà così una sua posizione all'interno del campo della scrittura di viaggio in un particolare contesto storico-culturale. Il carattere eminentemente proteiforme di questo campo disciplinare si coglie nella varietà delle tipologie testuali che lo compongono: guide, itinerari, resoconti, descrizioni, memorie, lettere, relazioni di missioni, giornali di bordo, appunti privati, narrazioni di naufragi, di conquiste e di esplorazioni, libri di viaggio, romanzi di viaggio e viaggi immaginari, poesia, trattati etnografici, geografici, antropologici, persino road movies, mappe e fotografie.

Data questa estrema variabilità dei suoi componenti, “La scrittura di viaggio si potrebbe [dunque] immaginare come un campo di forze interattive con tre punti di fuga: la realtà referenziale, la soggettività del traveller e le convenzioni espressive di genere. Tre istanze reciprocamente funzionali, che configurano equilibri variabili tanto da un punto di vista tipologico, quanto in una prospettiva storica”.

Un'esigenza condivisa riguarda l'individuazione, all'interno di questa “constellation of many different types of writing and/or text”, di un ambito di ricerca più circoscritto e coerente, di un corpus testuale più uniforme e rappresentativo della scrittura di viaggio, che preservandone la complessità ne favorisca l'approccio e la riconoscibilità disciplinare. Questo nucleo centrale accoglie testi che condividono alcuni requisiti minimi: un “racconto [riferito] a uno spostamento reale, effettivamente avvenuto, per quanto possa essere rielaborato e anche in parte 'reinventato' nel racconto dell'autore”, cioè di “una figura reale, che racconta un'esperienza compiuta in prima persona”.

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Detto altrimenti: “Central to the genre [i. e. La “Letteratura di viaggio” si distingue così dalla letteratura d'invenzione quand'anche il viaggio ne sia l'argomento principale e strutturante. Ne restano perciò esclusi capolavori universali come l'Odissea (IX sec. a. C.), la Divina Commedia (1306/7-1321), i Gulliver’s Travels (1726), Le tour du monde en quatre-vingts jours (1872) e Heart of Darkness (1899), per i quali vale un patto narrativo diverso da quello sottoscritto dal fruitore di letteratura odeporica. Anche su questo punto non mancano i pareri divergenti.

Da ultima Odile Gannier conviene con le definizioni citate sopra, ma se ne distanzia ammettendo nella letteratura di viaggio anche la sua imitazione: “la littérature de voyage propose, dans le cadre d'une écriture subjective, souvent postérieure au retour, le compte rendu d'un voyage presenté en principe comme réel” (il corsivo è mio). L'appartenenza o meno della letteratura di finzione alla letteratura di viaggio costituisce una vexata quaestio, dalla quale emerge la proposta economica ed equilibrata di Peter Hulme, che sostenendo convincentemente la distinzione delle due letterature non disconosce peraltro che esse condividano molti aspetti, tecniche narrative e dispositivi retorici.

Secondo Hulme la letteratura di viaggio non solo non è ma non può essere “fictional”, in quanto perderebbe la sua stessa essenza, che impegna eticamente ogni scrittore che “claim to be have been in the places they describe”. Hulme parte dalla considerazione che “all writing is fiction: all writing is made of language. But not all writing is fictional”.

La finzionalità nella letteratura di viaggio, diversamente che in quella d'invenzione, comporterebbe così la rottura fraudolenta del patto narrativo sottoscritto con il lettore e la squalifica dello statuto dell'opera. Il nesso tra realtà e finzione, o meglio, tra verità e menzogna rimane tuttavia al centro dello studio della letteratura di viaggio, che trova un terreno favorevole al suo sviluppo in generi di compromesso tra fattuale e fittizio, come l'autobiografia, la memorialistica e il romanzo.

Alla rivoluzione che quest'ultimo rappresenta sul versante della fiction corrisponderebbe la rivoluzione che in quello della non-fiction propone la letteratura di viaggio, “e ciò contribuirebbe a spiegare meglio il rapporto sinergico storicamente svolto dai due generi a partire dal Settecento”. Si potrebbe delineare lo sviluppo della letteratura di viaggio seguendo il suo continuo adeguamento alle esigenze di credibilità che ne assicura l'esistenza: dai paradigmi epistemologici medievali, fondati sulla Bibbia, i Padri della Chiesa, i filosofi e i naturalisti antichi (Aristotele e Plinio), passando per l'osservazione diretta del mondo, sulla scorta del metodo empirico elaborato da intellettuali come Galileo, Francis Bacon e John Locke, alle direttive emanate dalla Royal Society, in merito ai viaggi esplorativi, fino agli effetti di realtà presenti nel “libro di viaggio” del XX e XXI secolo.

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Nel suo complesso svolgimento, che qui si è drasticamente ridotto per ovvi motivi di spazio, la letteratura di viaggio ha sviluppato soluzioni funzionali alla rappresentazione della propria veridicità. L'“epistemological decorum”, di cui necessita il fruitore di letteratura odeporica, si traduce in una scrittura che, mutatis mutandis, deve rendere evidente la realtà del viaggio. Questo effetto è garantito in buona parte dalla figura dell'autore, che gestisce tutti gli aspetti del racconto odeporico, muovendosi tra l'evocazione di un'esperienza personale e il resoconto di un fatto oggettivo, tra l'autobiografia, dunque, e la scienza (“le récit de voyage vit de l'interpénétration des deux”, Todorov, 1991, cit. Adottando la prima persona singolare, l'autore sottolinea il proprio statuto di testimone oculare e anche l'autografia del racconto.

Non è raro, infatti, che il discorso autoriale comprenda anche informazioni relative alla storia del testo che il lettore tiene tra le mani, con riferimento alla redazione di un diario, alla sua successiva rielaborazione, alla scelta di uno stile e altri riferimenti alla realtà materiale del viaggio, inteso come vissuto e come racconto. La semplicità dello stile, anche da parte di letterati, potrà essere interpretata dal lettore o giustificata esplicitamente dall'autore come conseguenza diretta di un viaggio fisicamente impegnativo e comunque del prevalere dell'interesse documentario.

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