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Io ne ho viste cose che voi umani: il significato dietro il monologo di Blade Runner

Blade Runner ha ridefinito i canoni della fantascienza. Uno dei più grandi capolavori di Ridley Scott, e uno dei massimi picchi del genere, Blade Runner è uno di quei film che hanno solcato nel profondo l’immaginario collettivo. La ricchezza visiva della pellicola è invecchiata bene, considerando che il film è del 1982: ancora oggi siamo meravigliati dalla regia e dalla sua fotografia.

Quello che però è il merito più grande di Blade Runner è di aver ridefinito la sfera emotiva e cognitiva degli androidi, impostando un nuovo perno di riflessione nel filone fantascientifico. Non più semplici robot, ma umanoidi, ovvero simili all’uomo. Non solo nell’aspetto fisico, ma nel modo di relazionarsi con se stessi e la realtà.

Il monologo finale: un momento iconico

Uno dei momenti più alti del film è infatti il monologo finale, in cui il replicante Roy Batty dà libero sfogo alle sue memorie, che abbandona senza nascondere un’umanissima malinconia.

Così inizia il soliloquio finale del film Blade Runner, uno dei più grandi film di fantascienza mai realizzati. Sono parole che emozionano. Le parole del replicante che si abbandona, tra le lacrime, senza nascondere la sua parte umana sono commoventi.

La frase è così celebre che è diventata di uso comune, moltissimi la citano e la usano addirittura senza mai aver visto Blade Runner, il film da cui è tratta. Nella storica pellicola di Ridley Scott quella frase viene pronunciata verso la fine, in un monologo diventato parte integrante della storia del cinema. Certo, il protagonista fu interpretato da Harrison Ford, eppure la parte più iconica e memorabile di tutto il film è probabilmente proprio quel monologo pronunciato da Rutger Hauer, da poco scomparso.

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La versione corretta della frase

Ma per quanto quella frase, quella parte di monologo, sia diventata celebre come lo è oggi, alcune cose sono ancora poco note. Un esempio? La frase è sbagliata. Sì, perché per quanto possa sembrare assurdo, Hauer non dice "Ho visto cose che voi umani non potete immaginare" ma "Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi". Un classico caso di ricordo collettivo che, man mano che passa di bocca in bocca, di citazione in citazione, si è modificato allontanandosi dalla realtà.

Un'altra curiosità interessante è che in parte quel monologo non fu soltanto interpretato ma anche scritto dall'attore olandese morto lo scorso 19 luglio. Compresa la parte più bella e conosciuta del monologo, questa:

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.»

A rileggerlo oggi colpisce molto il tono, quella saggia rassegnazione e quella fierezza che si abbinano fin troppo bene al tragico evento della scomparsa dell'attore e attivista olandese. Ma il fatto più interessante in assoluto è quel citare Tannhäuser, un riferimento esplicito al poeta tedesco vissuto nel duecento - e anche forse all'opera di Wagner - che fu voluto proprio da Hauer.

L'umanizzazione di Roy Batty

Assistiamo così all’umanizzazione di Roy. Le sue lacrime, lavate dalla pioggia, spariscono come i suoi ricordi nel momento della sua morte. È tempo di morire, conclude infatti l’umanoide. La morte è il punto di contatto tra il guerriero dell’extramondo e l’uomo. Ciò che lo rendeva superiore agli umani sparirà nella fine più naturale ed umana di tutte.

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E in procinto di scomparire, decide di risparmiare Rick, innalzando la sua vita ad un significato più alto. Si azzera così la distanza tra l’uomo e il robot, quando quest’ultimo riesce a riconoscere se stesso negli occhi di chi gli è di fronte. Il guerriero perfetto e invincibile muore da uomo, muore da eroe.

La poeticità di quel monologo, oltre che dall'interpretazione magistrale che ne fece Hauer, viene dall'effetto profondo e intimista delle parole dette prima di morire. Sono le cose che si dicono prima di spegnersi a suscitare nell'ascoltatore, nella vita reale come nei film, un senso di empatia e di emozione. Il riferimento alle lacrime nella pioggia poi è una metafora ideale per riportare lo spettatore all'immagine del film, e alla sua plasticità. Rimarrà, c'è da starne certi, un monologo che sentiremo citare a lungo.

Analisi del monologo

Narrativamente Blade Runner ha quindi l’enorme pregio di essere riuscito a spingere fino alla conclusione la spannung del film, in questo meraviglioso colpo di scena. Persino durante le riprese la troupe non resistette alla commozione quando Rutger Hauer recitò il suo monologo. In pochissime righe è riuscito a stravolgere i risvolti principali del film, rivelando la natura profonda del suo personaggio.

Nel tentativo di saltare da un tetto all’altro, Deckard cade aggrappandosi fortunosamente a una barra di metallo sporgente, rischiando però di non mantenere a lungo la presa. A questo punto i due si guardano negli occhi e Roy ribadisce al nemico come ci si sente a vivere come schiavo. L’agente si rifugia in un angolo, sofferente e intimorito, mentre Roy si siede davanti a lui tenendo in una mano una colomba bianca.

Roy pronuncia queste parole con un’inflessione quasi teatrale, riflessiva, dando importanza a ogni secondo, a ogni esitazione che intercorre nel suo monologo. La pioggia scroscia latente sul suo corpo seminudo, svestito come la sua anima di androide che si rivela a un essere umano: Deckard, infatti, lo osserva meravigliato, ascoltando attentamente ogni parola.

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Roy appare magonato, timoroso della morte esattamente come un uomo, quello stesso uomo che lo ha schiavizzato e con cui ora egli si è riconciliato salvando una vita meritevole di essere vissuta. La sua avventura si conclude, Roy si accascia come se si fosse spento, lasciando spiccare il volo alla colomba bianca, simbolo della riconciliazione fra l’androide e l’essere umano.

Interessante l’origine di questo soliloquio perché nasce da una quasi improvvisazione. Il testo è stato scritto da David Peoples e poi modificato da Hauer a qualche ora dalle riprese. Io ho il ricordo vivo da studente universitario, perché in alcune lezioni abbiamo analizzato con cura il significato.

Il significato nel linguaggio comune

Perché ormai fa parte del linguaggio comune per voler dire: “ho visto cose a cui è difficile credere”. Però sono parole che cambiano subito lo stato d’animo della platea se lo utilizzi all’inizio.

Mi piace iniziare con un esempio tratto dal quotidiano - simile a tanti di cui tutti abbiamo avuto esperienza - che ci consenta di cogliere un primo e inequivocabile dato sul tema scelto per questo mese: non è necessario aver osservato i “raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser” per poter affermare che “ho visto cose”.

Roy Batty, di fronte all’incapacità (molto umana) di fronteggiare la morte imminente e certa, ripensa alle proprie esperienze sensibili, cioè a quei “dati” che lo differenziano da ogni altro individuo e che da replica(nte) lo rendono, in realtà, unico.

“Ho visto cose” rinvia dunque al racconto della propria esperienza che per lasciare traccia - per non morire con il proprio autore, scivolando via, appunto, come lacrime nella pioggia - deve essere riferita. Il racconto quale momento ultimo e imprescindibile dell’esperienza, in grado di trasformarla da ricordo intimo a storia comune, narrazione nella narrazione, che ritorna più volte nella letteratura.

Così Ulisse, prima di poter far ritorno a Itaca, deve condividere e dunque vivere nuovamente - presso la corte dei Feaci - il faticoso viaggio compiuto. Così il vecchio marinaio della Ballata, dopo aver esperito il divino e la sua punizione, è condannato a un eterno racconto della propria colpa che ne rappresenta, al contempo, la via per la redenzione.

Roy non è infatti interessato ad alcun racconto - o forse più semplicemente, è il tempo a difettargli - limitandosi a una scarna elencazione esemplificativa.

Si palesa, per un verso, l’esigenza di far sopravvivere la memoria attraverso il racconto della stessa e, per altro, l’impossibilità di riferirla tutta e in modo perfettamente fedele. Il racconto o non riesce a dire o dice troppo, esagera, trasla il senso, inventa.

In tale direzione, occorre dunque riprendere (e parzialmente contraddire) il monologo di Roy Batty, che contrappone due locuzioni, e quindi due verbi: “ho visto cose” che “non potete immaginare”. In realtà, se l’esperienza è (stata) visibile solo per il testimone della stessa, tutto ciò che rimane al destinatario è proprio il potere dell’immaginazione, che rappresenta, al contempo, un tradimento e una consacrazione del reale.

Riferimenti e influenza del monologo

L'influenza del monologo, nel cinema come nella cultura, può essere notata in innumerevoli riferimenti e tributi. Vale la pena di ricordare come nel film di Tony Scott Domino del 2005, il personaggio di Keira Knightley abbia un tatuaggio dietro al collo con la scritta "Tears in the Rain (lacrime nella pioggia)".

Di origine cinematografica, a differenza di molte altre espressioni divenute famose grazie alla letteratura, la frase “ho visto cose che voi umani” si presenta leggermente diversa nel monologo del personaggio del film doppiato in italiano.

La frase, al pari di altri modi di dire nati da film o libri particolarmente famosi, viene utilizzata prettamente in conversazioni informali e scherzose col significato di “ho visto cose difficili da credere” oppure “ho assistito ad una situazione inverosimile”.

Contesto del film

Blade Runner è ambientato nel 2019 in una Los Angeles distopica, dove vengono abitualmente fabbricati dei replicanti aventi le stesse sembianze dell'uomo e utilizzati come forza lavoro in colonie extra-terrestri. I replicanti che tentano di darsi alla fuga o di tornare illegalmente sulla Terra vengono cacciati e "ritirati dal servizio", ovvero distrutti fisicamente, da agenti speciali chiamati "blade runner".

In maniera non troppo velata, il testo del monologo di Blade Runner fa sicuramente riferimento al passato da replicante di Roy, al tempo in cui ha militato nei corpi speciali extramondo. Ciò, sebbene, la pellicola non faccia alcun riferimento temporale o a fatti che ci aiutino a comprendere cosa possano essere i raggi B o le porte di Tannhäuser", lasciando tutto alla fantasia e alla libera interpretazione degli spettatori.

Per quanto riguarda i bastioni di Orione, in inglese c'è un riferimento più chiaro. Il replicante sembra rammaricarsi per il fatto che le memorie di cià che ha visto, quelle cose che gli umani non potranno mai vedere, svaniranno con lui.

Conscio del fatto che Deckard lo avrebbe ucciso se lo avesse liberato, Batty salva l'uomo, facendo dunque appello a tutto quel che resta della sua umanità, sebbene di replicante.

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