La Vita è un Viaggio: Alla Scoperta del Significato Profondo
"La vita è un viaggio," un'espressione comune che racchiude un significato molto più profondo di quanto si possa immaginare. Essendo la vita stessa un viaggio, ci poniamo continuamente le tre domande fondamentali senza risposta: chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?
Del viaggio sono belle tutte le sue fasi e le sue tappe, ma particolarmente intrigante è sempre la partenza, con il suo enorme carico di aspettative. Il viaggio fa da protagonista nell’arte e nella letteratura, anche perché ha il fascino dell’archetipo e risveglia antiche, aurorali sensazioni, ormai sopite nell’inconscio collettivo.
Nella sua profonda radice mitica scorre ancora linfa vitale: si può dire che è uno dei pochi miti sopravvissuti allo tsunami tecnologico e multimediale, perché mantiene una sottile aura di sacralità, a differenza di altri miti, trasformati ormai in stanchi rituali.
In tal senso il viaggio si può considerare un ponte lanciato sopra l’abisso verso nuovi (e al tempo stesso antichi) continenti dello spirito, un’avventura tanto più intensa quanto più ricca di eventi impredicibili (solo ciò che è oscuro stimola al profondo), o rischiosa oltre i limiti dell’incalcolabile (come ad esempio accade con certo alpinismo, nei solitari attraversamenti dell’oceano, ecc.).
Innumerevoli sono i tipi e le finalità dei viaggi e dei viaggiatori. Il poeta greco Konstantin Kavafis, nel poema Itaca, esprime il concetto secondo cui è il viaggio che conta, non l’arrivo. Ripetere lo stesso viaggio è comunque significativo, ed è analogabile alla fruizione ripetuta dello stesso testo, o di altra opera d’arte che, secondo Lotman, è sempre diversa dalla precedente e rivela l’evoluzione della coscienza del fruitore.
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In tutti i casi, dopo aver molto viaggiato, si coglie sempre un vago filo conduttore, che lega itinerari e tematiche apparentemente distanti tra loro o non immediatamente connettibili. Un leit motiv diverso da viaggiatore a viaggiatore, come diversa ne è la filosofia in argomento:
- “La vita è la più bella delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre” (Condorcet)
- “La meta è partire” (Giuseppe Ungaretti)
- “Chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene”(Rosa Luxemburg)
- “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone” (John Steinbeck)
- “Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita” (Alphonse de Lamartine).
Ci sono anche persone che si illudono di viaggiare stando sedute davanti alla TV: per esempio, se vedono un documentario su Petra, credono che ciò equivalga all’esserci stati…Ma chi non percorre con le proprie gambe il SIQ, non potrà mai comprendere l’intimo, magico stupore, di un mondo che di colpo si svela.
Qualunque persona, interagendo con qualunque altra persona, infatti, modifica anche la tempistica, e in certi casi pure la modalità, delle azioni e interazioni successive di entrambi: ne consegue una sorta di reazione a catena fenomenica, teoricamente infinita. E su questo punto concorda anche la saggezza latina: Post hoc ergo propter hoc (Dopo ciò, dunque per causa di ciò) …In ultima analisi, questo dà un significato ulteriore al nostro ‘viaggio’ nel mondo, nonché a quello di molti altri organismi di tutte le gerarchie sistematiche, virus compresi.
Per fare un altro volo pindarico, andando dal macro al microcosmo, si può infine accennare ai più grandi ‘viaggiatori’ esistenti, che fra l’altro sono in noi (per non dire che noi SIAMO in essi), incalcolabilmente numerosi: ovvero gli atomi che costituiscono le nostre cellule. Oltre a questo, è assodato che essi viaggiano anche fra stelle e galassie: qualche atomo di una vostra unghia, per fare un esempio rubato a Scientific American, potrebbe avere attraversato diverse galassie, nei 13,8 miliardi di anni dell’universo, prima di raggiungervi.
Oltre a ciò, è particolarmente suggestivo il fatto che gli elementi più importanti del nostro corpo, come carbonio, ossigeno, fosforo, ecc., si sono formati per fusione nucleare in una stella, la cui morte esplosiva li ha poi disseminati nello spazio, a formare la Terra, da cui è nata la vita poco meno di 4 miliardi di anni fa!
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Viaggiare è un modo di cambiare, una trasformazione che avviene attraverso la visione di nuovi luoghi e il contatto con persone e culture diverse. Nella letteratura ricorre ad esempio l’idea che quest’ultimo abbia la capacità di ampliare le conoscenze del viaggiatore contribuendo alla sua apertura mentale e migliorando la sua intelligenza.
Il viaggio di Ulisse
Esiste un’opera che riassume i significati concreti e simbolici legati al tema del viaggio: è l’Odissea. Il momento in cui i compagni vengono trasformati in porci è l’immagine dell’abbruttimento dell’uomo, del prevalere dell’istinto sulla ragione. L’incontro con le sirene è la descrizione di una situazione in cui Ulisse tentato e attratto dalla sensualità di questi esseri misteriosi metterà ancora una volta a frutto la sua intelligenza per trovare il modo per resistere.
Le metafore filosofiche
Sono le metafore che rimandano a riflessioni esistenziali e si interrogano sul senso della scrittura o della vita propria ed altrui. Nella storia della filosofia la metafora e il valore delle immagini è stato riscoperto alla fine dell’Ottocento da Nietzsche. Il filosofo afferma che il linguaggio è una convenzione la cui essenza non è quella di rappresentare la natura delle cose.
Esso è un sistema di metafore, liberamente prodotto e pertanto non va inteso come l’unico modo corretto e valido di descrivere il mondo. Le metafore possono essere molto utili quando si tratta di trasferire un concetto, mettere in evidenza un punto, offrire una possibilità, stimolare un dubbio.
Viaggiare non è solo uno spostamento fisicamente misurabile. È un percorso, una scelta che parte dal desiderio di essere, di scoprire e di trasformare il proprio punto di vista. C’è chi parte per dimenticare, chi per cercare, chi semplicemente perché non riesce a farne a meno.
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È la Wanderlust, come la chiamano i tedeschi: un desiderio irrefrenabile o un forte impulso di viaggiare ed esplorare il mondo, una spinta profonda verso l’altrove, che va oltre la semplice voglia di partire. In un mondo sempre più moderno, scandito dal rumore e dalla velocità, viaggiare in Africa rappresenta un atto controcorrente.
Qui, si esplora un luogo dove il tempo si dilata e le priorità si ridefiniscono. Anche il più breve dei viaggi può aprire varchi inaspettati. Un incontro, un paesaggio, un silenzio condiviso diventano spazi di riflessione. Viaggiare significa parlare con chi è diverso, accogliere la pluralità dei modelli culturali, lasciarsi interrogare da ciò che non si comprende subito.
L’incontro con le comunità locali, come i San, i Maasai o gli Himba, mette in crisi le certezze e offre spazi di comprensione. Le relazioni che si instaurano sono autentiche, essenziali, spesso memorabili: bastano un tè caldo, un sorriso, una storia raccontata sotto le stelle.
Ogni viaggio breve o lungo in Africa è un invito al cambiamento, soprattutto interiore. Viaggiare è una strategia per lasciarsi andare e ottenere molto di più di ciò che ci aspettavamo: una consapevolezza rinnovata, una visione più ampia, la capacità di tornare al proprio mondo con occhi diversi. Ogni volta che si torna, qualcosa è cambiato.
Nel 2018 un articolo ha evidenziato come viaggiare sia un potente strumento di formazione. Utilizzare il viaggio come mezzo di crescita non è più una scelta per pochi, ma una tendenza sempre più diffusa.
In Africa, il tempo si percepisce in modo diverso. Un minuto può sembrare più lungo perché privo delle urgenze a cui siamo abituati. Ogni mezzo di trasporto, ogni attesa, ogni spostamento diventa parte integrante dell’esperienza. Ogni angolo dell’Africa offre esperienze capaci di lasciare un segno.
Namibia: le distese del deserto del Namib e i suoi silenzi infiniti aiutano a rallentare, osservare e riflettere. Il significato del viaggio non sta nelle mete raggiunte, ma nella qualità dello sguardo con cui affrontiamo il cammino.
In viaggio, come nella vita, dalla partenza al ritorno, abbiamo l’occasione di sperimentare e conoscere parti di noi sopite e alienate nella quotidianità. Il viaggio è un fenomeno psicologico che nelle sue fasi (partenza, percorso e arrivo) rende l’idea della ciclicità della vita e del suo dinamismo. Il viaggio è un fenomeno non solo economico, ma anche psicologico.
L’uomo è un essere sociale mobile. Quando lo spostamento è di breve durata e ha la finalità di visitare nuovi luoghi per svago, si parla di mobilità turistica. Proprio grazie alla facilità degli spostamenti e all’accessibilità, anche in termini economici, delle strutture ricettive di soggiorno, il turismo è diventato un fenomeno di massa, che coinvolge la vita di moltissime persone e organizza l’assetto di intere comunità. Si tratta, perciò, di un fenomeno non solo economico, ma anche psicologico.
Da un punto di vista psicologico si può dire che ci sia analogia tra il viaggio inteso come conoscenza di realtà esterne (luoghi, culture, lingua ecc.) e il percorso di conoscenza di sé (Carbonetto, 2007). La vita è un viaggio: tale affermazione, riconosciuta come espressione idiomatica, sottende un significato più profondo (Papapicco, Scardigno, Mininni, 2017).
Il termine ‘partenza’ fa riferimento al verbo ‘partire’, la cui etimologia è fondamentale per comprendere come questa prima fase del viaggio possa essere considerata metafora della vita. Il verbo ‘partire’ deriva dal latino ‘partire’ denominativo di ‘pars’, ‘parte’. Il significato letterario del verbo latino è ‘dividere, separare’, da cui deriva il significato più generico di ‘allontanarsi’.
Da questi presupposti etimologici, è possibile rilevare come il concetto di partenza abbia una duplice valenza: di nascita e di morte. Così come teorizzato dalla psicoterapeuta Margaret Mahler (1897), superando la fase simbiotica, il bambino approda ad una fase definita separazione-individuazione che è compatibile con il momento della partenza, perché comporta il distacco dalla madre, considerata una base sicura, per raggiungere un livello sempre maggiore di autonomia che si intensifica nell’adolescenza, ma si definisce nell’età adulta.
Viaggiare, quindi, rappresenta il superamento delle azioni abituali e quotidiane o anche la rottura dalla routine della vita condotta nel luogo di residenza, che denota una base sicura per l’individuo. Viaggiare significa anche avere una possibilità di svago dalla vita lavorativa e quotidiana.
Tutto questo comporta una disponibilità a mettersi in gioco, ad affrontare l’ansia dell’imprevisto e dell’ignoto che ogni viaggio, anche quello più organizzato o vicino, comporta, ad abbandonare la sicurezza di ciò che è conquistato e garantito. Anche la scelta della meta risulta, in tal senso, significativo perché permette di cogliere la possibilità da parte dell’individuo di aver costruito una corretta immagine di sé, dal momento che si è spinti a cercare una località turistica in base a caratteristiche personali.
Tuttavia, se l’individuo non ha costruito adeguatamente il proprio Sé, non ha raggiunto un’identità stabile, non può ricercare il sostegno in programmi turistici attraenti o nei compagni di viaggio.
L’arrivo nella località scelta comporta il raggiungimento di un traguardo. Questa fase implica una pausa, una sospensione di un flusso sempre più minaccioso che suscita ansie, implica la realizzazione di un’aspettativa. Si pensi alla necessità diffusa di informare subito i congiunti sull’andamento del viaggio, alla situazione più rilassata e tranquilla di chi ha raggiunto l’albergo (Carbonetto, 2007).
L’arrivo, però, non rappresenta il punto finale del viaggio, ovvero la ricerca della stabilità, perché l’individuo sarà alla ricerca di nuovi traguardi, orizzonti da esplorare, nuovi abbandoni. In questo stadio, fondamentali sono le aspettative che il soggetto si crea al momento della partenza e che possono essere confermate oppure disconfermate in seguito all’incontro con la nuova realtà. Più ci sarà accordo tra il nuovo contesto e le aspettative, più il soggetto sarà soddisfatto del suo viaggio.
Proprio per superare la nostalgia legata al ritorno a casa, il viaggiatore tende ad acquistare souvenir che gli permettono di avere un ricordo dei luoghi visitati. Negli ultimi anni, con il crescente impatto della tecnologia, sta aumentando il fenomeno di raccolta di fotografie non professionali scattate durante il viaggio. L’uomo moderno, che fa uso massiccio di Internet, impiega molte immagini.
La fotografia, proprio per queste possibilità che offre ai turisti, sta sostituendo il tradizionale souvenir. Il souvenir è dunque qualcosa che può essere regalato a qualcuno o che si tiene per sé; è un pensiero di un viaggio che ha lo scopo di ricordare un luogo visitato. Il souvenir solitamente schematizza, concentra in sé un luogo, si pensi alla Tour Eiffel parigina e al Colosseo romano, ridotti a portachiavi o a piccole statuine.
Il souvenir diviene “feticcio” (Panizza, 2013) per colui che lo acquista, poiché vengono assegnati a questo oggetto significati aggiunti in base all’esperienza vissuta; i souvenir aiutano e sorreggono la narrazione del viaggio, riportano il possessore nel luogo in cui è avvenuto il contatto con l’oggetto.
Il significato del souvenir ed il tipo di souvenir ricercato è cambiato insieme al significato del viaggio. All’epoca dei viaggi commerciali il souvenir era qualcosa di esotico, di non facilmente recuperabile in altri luoghi. Era qualcosa da mostrare con fierezza, quasi come prova indiscutibile del viaggio intrapreso.
Oggi il souvenir turistico ha connotazioni diverse e si configura nello scattare fotografie. Questa trasformazione del souvenir in fotografia dipende da varie ragioni: innanzitutto la fotografia è qualcosa di personale, auto-prodotta, è molto economica ed è tipica del luogo visitato. Dietro il desiderio di viaggiare si nascondo bisogni emotivi del momento troppo personali per qualificare in modo oggettivo la motivazione alla vacanza.