Albergo Atene Riccione

 

Analisi Comparativa de "Il Signore degli Anelli": Vecchia e Nuova Traduzione

Oggi il romanzo di Tolkien è considerato un classico, è forse il romanzo più importante e influente del ‘900. Una nuova traduzione era assolutamente necessaria.

La Traduzione Storica di Vittoria Alliata

Il classico intramontabile del Professor Tolkien (The Professor, per i suoi fan) fu tradotto in lingua Italiana da Vittoria Alliata di Villafranca (nobildonna figlia del principe Francesco Alliata e conosciuta come studiosa del mondo arabo). La Alliata tradusse il romanzo che era una ragazzina, nella seconda metà degli anni ’60: aveva tra i 15 e i 17 anni.

La traduzione doveva essere poi pubblicata dalla Astrolabio-Ubaldini, che però alla fine mollò (pubblicò solo il primo volume). Alfredo Cattabiani era il direttore editoriale di Rusconi. E non era interessato al romanzo del Professore e alla traduzione della ragazzina.

Principe va dicendo di aver dovuto lavorare molto sul testo per correggere errori e ricostruire le Appendici: «Fu una fatica capillare» (l’ha detto in questa intervista).

Questa qui sotto è l’edizione in volume unico che hanno in casa la gran parte dei vecchi lettori italiani (è la mia, ma in realtà io lessi il romanzo su un’edizione molto più vecchia, ereditata; mi procurai anche questa perché originariamente Rusconi non aveva pubblicato alcuna mappa e delle appendici c’era solo quella su Aragorn e Arwen).

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In realtà i problemi in quella traduzione ci sono nonostante l’intervento di (o anche a causa di?) Quirino Principe. Ma la stragrande maggioranza dei lettori italiani (tra cui anche il sottoscritto) non si è posta il problema per decenni.

Nella traduzione Alliata-Principe veniva appiattito il linguaggio di Tolkien, che varia il registro dal bassissimo (le sgrammaticature di Sam Gamgee) all’altissimo (lo stile aulico degli Elfi e dei Signori e cavalieri di Gondor e Rohan). Di fatto, lo piegava alla propria corrente filosofica (quella tradizionalista, appunto) estranea alle idee di Tolkien.

In tale operazione, ebbero la strada spianata: la sinistra snobbava Tolkien e lo accusava non solo di essere un passatista, ma addirittura razzista e fascista (cose ovviamente fuori dalla realtà). Come è noto, la fascetta non funzionò: l’Italia divenne l’unico posto al mondo dove Il Signore degli Anelli era considerato un libro da neofascisti.

La Rusconi ha poi passato varie traversie, finché nel 1999 (se non erro) Bompiani acquisì tutto il suo catalogo. Che nel frattempo si era arricchito di altri titoli con la firma di Tolkien. Avevano dato una spolverata al vecchio cimelio e l’avevano rimesso in vendita.

Giustamente l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) si incavolò e obbligò Mondadori a lasciare qualche fetta del mercato anche agli altri. Così, nel 2016, Mondadori ha ceduto la Bompiani al gruppo Giunti.

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La Nuova Traduzione di Ottavio Fatica

In questo nuovo clima, nel 2018, ha iniziato a circolare la voce che Bompiani avrebbe prodotto una nuova traduzione del Signore degli Anelli. Si disse da subito che alla nuova traduzione stava lavorando un traduttore professionista e molto apprezzato (c’è una pagina Wikipedia su di lui →Ottavio Fatica). E che alla traduzione aveva collaborato una nuova associazione nata pochi anni prima, la Associazione Italiana Studi Tolkeniani.

Tra le varie cose interessanti che ha fatto l’AIST c’è la fondazione della Tana del Drago, un centro studi su Tolkien nel paese medievale di Dozza (Bologna). In particolare, la presenza del nome Wu Ming nel progetto ha dato adito a molte polemiche: il collettivo Wu Ming è noto per l’impegno politico a sinistra. Ed è scoppiato un macello.

In una intervista fatta al Salone del Libro di Torino nel 2018, il nuovo traduttore Ottavio Fatica diceva delle cose poco lusinghiere sulla vecchia traduzione Alliata-Principe. «Placido e tranquillo, rapido e veloce, misero e magro, crudeli e maligni dove l’originale era feroci. Sembra uno stilema di Tolkien, invece è il suo», diceva Fatica. Probabilmente Fatica ha un po’ esagerato. Dire «cinquecento errori a pagina» sembra una provocazione bella e buona.

A seguito della decisione di Bompiani di pubblicare una nuova traduzione del Signore degli Anelli, la Alliata ha imposto alla casa editrice di ritirare dal commercio le edizioni della sua vecchia traduzione, impedendo così al pubblico italiano di poter accedere alla traduzione storica. Quindi, se non hai mai letto la vecchia traduzione e vorresti leggerla, devi trovare qualcuno che te la presti, oppure trovarla usata (ma a questo punto i prezzi voleranno alle stelle, immagino). Il danno dato da questa mossa per la cultura tolkeniana italiana è abbastanza evidente.

Se a cinquant’anni di distanza si è provato a fare una nuova traduzione del Signore degli Anelli, filologicamente più adatta all’importanza che il romanzo ha acquisito nei decenni, la Alliata avrebbe potuto rallegrarsene.

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Ebbene sì, sono arrivati a dire questo. Dai, mettiamoci pure un complotto di George Soros! Ma la Principessa ha schiere di paladini, oltre a Cilli e Il Giornale. Post in cui si affossava la nuova traduzione del Signore degli Anelli sono comparsi in molti blog (per la maggior parte malcelati blog di estrema destra, ma non solo). Sono arrivati anche i pezzi grossi. A Gennaio 2019 si è svolto un incontro in una location di grande prestigio, presieduto dall’onorevole Maurizio Gasparri (di cui tutti, credo, conosciamo l’area di provenienza).

La versione di Fatica, invece, «toglie Tolkien dal genere epico per porlo nel genere contemporaneo della Young Adult Fiction». Invece la versione di Fatica lo fa assomigliare ai libri per adolescenti. L’infondatezza di opinioni come questa secondo me era già evidente alla pubblicazione de La Compagnia dell’Anello, ma dopo la pubblicazione degli altri due volumi è diventata proprio evidente.

«Éomer era dei loro, la bianca coda di cavallo del suo elmo svolazzava nella corsa, e l’avanguardia della prima éored ruggiva come un maroso schiumante sulla proda, ma Théoden restava irraggiungibile. Invasato di morte sembrava, o la furia guerriera degli avi gli scorreva come novello fuoco nelle vene, e Crindineve lo portava come un dio dei tempi antichi, invero come Örome il Grande nella battaglia dei Valar, quando il mondo era giovane. Il suo scudo d’oro fu scoperto ed eccolo brillare come un’immagine del sole, e l’erba fiammeggiava di verde intorno alle bianche zampe del corsiero».

Dalla vecchia traduzione, appiattita tutta su un tono medio-alto, questo non poteva essere compreso. Ad ogni modo sbaglierò, ma a me pare che dopo mezzo secolo siamo ancora lì: gli intellettuali italiani non riescono a concepire un romanzo Fantasy (in questo caso IL romanzo Fantasy per eccellenza).

Una (o l’unica) motivazione sulla quale la Alliata e i suoi sostenitori poggiano l’inviolabilità della vecchia traduzione sta nel fatto che questa fu fatta con la «partecipazione del Professore» e la sua «approvazione entusiasta». È scritta in un italiano elegante e fluente. Una reazione entusiasta da parte dell’autore era più che giustificata.

Questa gente teme che possa succedere anche in Italia quello che è da sempre un’ovvia realtà nel resto del mondo: che il Signore degli Anelli non abbia più niente a che spartire con l’estrema destra e con tutta la corrente mistico esoterica che le aleggia intorno. Nessuno sta cercando di far sembrare Tolkien un figlio dei fiori o un vecchio rivoluzionario con la bandana in testa.

Si è semplicemente portata in libreria una nuova edizione con un nuova traduzione del Signore degli Anelli, più accurata dal punto di vista filologico e scevra dalle interpretazioni arbitrarie che le sono state appiccicate per decenni. Senza mezzi termini, secondo me la nuova traduzione del Signore degli Anelli è più scorrevole e al tempo stesso più raffinata della versione Alliata-Principe. Questo è dovuto alla maggiore aderenza alla bella prosa inglese di Tolkien.

Nella traduzione Alliata-Principe la struttura della frase è completamente cambiata. Ottavio Fatica ha rispettato questa finezza del Professore. La vecchia traduzione ha appiattito il tono caustico di Tolkien, l’ha spento con una frase più sobria. Questi stravolgimenti delle frasi originali sono tragicamente frequenti nella versione Alliata e ne pregiudicano il senso.

Nella vecchia traduzione la parola wizard è sparita del tutto, il resto della frase è allungato e appesantito senza motivo. Fatica ha rispettato quasi alla lettera la struttura della frase, spostando solo il giovane Frodo dopo la virgola. Ecco perché preferisco la nuova traduzione del Signore degli Anelli. Immagina queste differenze estese per centinaia di pagine.

Nella traduzione Alliata-Principe, il testo tende ad avere invece un andamento sostanzialmente uniforme. Bill, ragazzo mio», disse, «hai fatto male a venir con noi. Bill, ragazzo mio,” disse, “non avresti dovuto metterti con noi.

Proprio come nell’originale, nella versione di Fatica Sam il giardiniere è un giardiniere e parla con un modesto cavallino usando il suo linguaggio basso e un po’ sgrammaticato. Nella vecchia traduzione Sam il giardiniere parla come un nobile cavaliere al suo prode destriero.

Non posso nemmeno pensarci. Non lo permetterò, poco ma sicuro. Per tradurre questo «and all» c’è l’imbarazzo della scelta! Perché? Nella visone epico-simbolica del Signore degli Anelli non c’è posto per gli illetterati. Nella vecchia versione tutto questo si perde.

Qui non è solo questione di filologia: qui è questione di non capire la profonda umanità che c’è nel modo in cui Tolkien racconta questo personaggio importantissimo. A parte il fatto che la vecchia traduzione ha completamente sconvolto la sintassi dell’originale, il termine usato da Fatica, lo strambo cotica, è in realtà una traduzione letterale.

Probabilmente qui il traduttore ha forzato un po’ la mano, ma considerando la mole di pagine, una parola ogni tanto mi pare perdonabile. In ogni caso, è evidente il tentativo della nuova traduzione di riproporre il tono del testo originale, rispetto alla vecchia, che invece reinventa completamente la frase.

Lo compulsò a lungo, senza dire nulla. Secondo me non c’è dubbio che anche in questo caso la nuova traduzione renda molto meglio lo stile di Tolkien.

Questo è uno dei casi in cui secondo me Fatica forza la mano, inserendo un termine arcaico dove non c’era. La forma usata nella nuova traduzione può non piacere (e a me non piace), ma attenzione: non si tratta di uno stravolgimento. Insomma, quando Fatica personalizza il testo, lo fa in modo da non modificare lo stile dell’autore in modo radicale. Si tratta di un piccolo accorgimento.

Il "Forestale": Un Caso di Studio

Il nome più indigesto per i fan italiani in quella che è la nuova traduzione della Compagnia dell’Anello è senz’altro “Forestale” per “Ranger”. A onor del vero, non per questo mi pareva più adatta la vecchia resa “Ramingo”, dato che - in accordo con lo stile generale della traduzione di Alliata - appartiene a un registro alto rispetto al comune “ranger”.

Dopo un’indagine nel testo letterario mi sono persuaso che l’uso del termine “Ranger” da parte di Tolkien faccia collassare una nell’altra le tre accezioni dell’OED, e che la scelta di Fatica - a dispetto della prima impressione - non sia così lontana dal cogliere questo aspetto.

  1. “Rover” nelle lingue germaniche indica il girovago, il vagabondo, ma può indicare anche il predone, il rapinatore, il pirata, dunque è un termine che contiene implicitamente una sfumatura negativa. In effetti nei confronti dei Rangers del Nord, gli abitanti di Bree nutrono una certa diffidenza.

    La vecchia traduzione “Ramingo” - cioè “che va per il mondo errando” (Treccani) - non contiene alcuna sfumatura negativa, anzi, nell’uso poetico-letterario italiano ha una sfumatura empatizzante o vittimistica (ed è forse il motivo per cui noi lettori ci siamo tanto affezionati a questo termine).

  2. In italiano è “guardaboschi”, “guardacaccia” o “guardia forestale”, e va detto che attualmente questo è il significato più comune nella lingua inglese, e certo Tolkien lo sapeva quando ha scelto di usare questa parola. In effetti anche Aragorn e i Dúnedain non sono affatto soltanto dei selvatici errabondi, come pensa l’oste Butterbur, ma hanno un compito difensivo: proteggono l’Eriador dalle potenziali incursioni di orchi, troll, e malintenzionati vari.

    Considerando che molti di questi territori sono boschivi, come vedremo tra un attimo, la seconda accezione dell’OED, cioè quella di sorvegliante di un’area forestale da incursori umani o animali, non sembra già più così inappropriata. È in effetti nei boschi che il cacciatore Strider si muove con il maggior vantaggio sugli avversari, come dimostra il fatto che per sfuggire agli inseguitori, guida gli hobbit precisamente attraverso una valle boscosa, su sentieri che solo lui conosce, senza temere rivali, nemmeno il nativo Bill Ferny, perché «he is not a match for me in a wood» (FR, I.

  3. La parola è attestata nelle colonie nordamericane a partire dalla seconda metà del XVII secolo: in particolare nel 1670 in Massachusetts, nel 1692 in Virginia, e a seguire in altre colonie, fino ai più tardi (e celebri) Ranger del Texas. Originariamente si trattava di milizie coloniali con compiti di pattugliamento e difesa della frontiera dai raid dei nativi, che poi sono state accorpate all’esercito nazionale.

Personalmente, se mai avessi dovuto proporre un’alternativa, credo sarebbe potuta essere “Cacciatori”. Questa parola, oltre ad avere un’immediata accezione venatoria (abbiamo visto che per Shippey esiste una connessione con i deerslayer e che Aragorn stesso si definisce “hunter”), ha anche un uso militare.

Tolkien nella Letteratura Comparata

Poche opere, nella letteratura universale, hanno dato adito a così tante interpretazioni come “Il signore degli anelli”, e più in generale tutti i libri di Tolkien. L’immediatezza di sentimenti che si possono trovare nelle righe di Tolkien è qualcosa che ci giunge appunto come una cortina invisibile, che può essere non già rimossa o perforata, ma semplicemente attraversata e sentita in profondità, così da raggiungere, quasi involontariamente, una dimensione di pura energia, che è strettamene collegata alla parte più intima dell’animo umano.

In effetti, è stato fin dall’inizio un mio fermo convincimento che questo fosse il segreto della letteratura tolkieniana, ed in particolare del capolavoro del Professore di Oxford, Il signore degli anelli. Non a caso, avevo appena letto trecento pagine del romanzo, quando cominciai a notare certe assonanze, o comunque somiglianze, tra passaggi ed atmosfere presenti in esso e numerosi punti di opere letterarie di altre epoche, culture e generi.

Prendendo così in considerazione passi di Omero, Virgilio, Dante, Ariosto, e così via, e confrontandoli con situazioni presentate da Tolkien nel “Signore degli anelli”, avvertii che stavo come descrivendo una circolarità di percezioni e di idee che si era manifestata nel corso dei secoli, e che poteva essere solo parzialmente spiegata facendo riferimento alle basi culturali classiche di Tolkien, poiché non consisteva soltanto di semplici riproduzioni di momenti di letteratura del passato - o addirittura di mere “citazioni dotte” -, bensì di una creazione completamente nuova (sebbene imbevuta di sostanze provenienti dal passato), come “Il signore degli anelli”.

Tolkien, più di altri, funge perfettamente da punto di riferimento per questo tipo di analisi, poiché è stato in grado di fotografare lo sfaccettato animo umano in tutte - o almeno in un gran numero - delle sue espressioni nude. Infatti, è proprio questo l’aspetto del fantastico tolkieniano che rende possibile usare le sue pagine come termine di riferimento per un itinerario letterario comparativo che proceda lungo secoli di storia e migliaia di miglia del nostro mondo.

Tolkien, nel suo saggio “Sulla fiaba”, illustra chiaramente il meccanismo delle autentiche creazioni feeriche.In altre parole, abbiamo lasciato il nostro mondo per riscoprirlo in un luogo che esiste solo nell’immaginazione di Tolkien - e adesso anche nella nostra -. A questo punto, un’intensa sensazione di gioia esplode dentro di noi, ed è la Consolazione. (Tolkien, “Albero e foglia”; trad.

Le opere di Tolkien, in breve, possono essere prese come una sintesi di migliaia di anni di storia e di letteratura dell’uomo, ed anche come un possibile strumento per riscoprire la bellezza della vita reale. Adesso vorrei citare alcuni passi, tratti da Tolkien e da altri autori, al fine di dimostrare ciò che sono venuto dicendo finora.

Per esempio, i seguenti versi, tratti dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, sottolineano un’importante differenza tra il tipico gusto per la peregrinazione mentale dell’autore rinascimentale italiano ed il tema del viaggio fantastico, che è coessenziale al “Signore degli anelli”. Questo è il desiderio umano di evasione in una dimensione parallela, che Tolkien esprime così bene nelle sue opere.

Pensiamo, adesso, al senso di meraviglia dell’uomo davanti alla bellezza della natura, ed alla quieta compenetrazione tra le sue vibrazioni energetiche e quelle di una persona che ne sia avvolta.

Molti leggeranno in questo brano una mera assonanza con i versi virgiliani, ma io ritengo che, se si tratta di una mera somiglianza esteriore di situazioni, prima di tutto non sia tale per caso - sono sicuro che Tolkien avesse letto le Ecloghe -, ma soprattutto significhi qualcosa che va al di là (e attraverso) i diversi generi letterari, le diverse epoche, lingue e culture, perché è strettamente legato alla misura classica dell’arte.

E c’è anche il senso di un modo tranquillo di vivere la vita, che descrive una sorta di ponte invisibile tra il bucolico quadro di vita nella campagna italiana del I secolo a.C. e la scena della cena degli Hobbit nella casa di Maggot, negli immaginari spazio e tempo della Contea. In altre parole, due grandi scrittori (e poeti) sono entrambi stati capaci - tramite approcci diversi - di descrivere una situazione che è profondamente imbevuta di vita in due contesti molto diversi, sebbene consonanti.

Che cosa dovremmo dedurre, allora? Che anche le Ecloghe virgiliane sono “letteratura fantasy”? No di certo, almeno finché continuiamo a collegare il termine fantasy - o, se vogliamo connotarlo in senso più lato, fantastico - ad un genere letterario.

L’arte, infatti, è soprattutto emozione costruita in bellezza. Quest’ultima è la parola chiave. Non a caso, Tolkien stesso, nella sua lezione Beowulf: i mostri e la critica, usò la bellissima metafora della torre (oggi letta in apertura di questo intervento) dalla cui cima l’uomo era stato capace di “guardare fino al mare”, al fine di spiegare come un approccio troppo analitico ad un’opera letteraria implicasse il rischio di perdere il senso della sua bellezza. Questo, infatti, è...

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