Perché Odio i Turisti: Una Riflessione Amara sul Turismo di Massa
Amo girare il mondo, e questo penso sia abbastanza chiaro. Però odio il contatto col genere umano a fasi alterne, e a volte i picchi di queste adorabili fasi vengono raggiunti proprio mentre sto raggiungendo o visitando un posto nuovo. Non che a Roma non succeda, eh. Però viaggiare ti costringe a stare fianco a fianco con uno o più sconosciuti per più ore di volo/treno/pullman, ti rende un forestiero più o meno gradito, ti fa stare in coda per un museo. Dicevano che l’uomo è un animale sociale? Ecco, io no. I miei antenati preistorici probabilmente erano quelli che, pur di non chiedere delucidazioni agli altri del gruppo, la ruota di pietra la trascinavano di piatto.
Le Insofferenze del Viaggiatore
Adoro partire per un viaggio o una vacanza, soprattutto se parto in aereo, ma ci sono alcune cose che mi disturbano prima della partenza (va beh, forse “odio” è un po’ forte ma è per far comprendere la sensazione del momento!! ). Odio il timore che qualche imprevisto accada, fino all’ultimo minuto, e pregiudichi la partenza. Odio iniziare a preparare le valigie giorni prima e poi non ricordare se e dove ho messo le cose. Odio togliere e mettere dai bagagli, per l‘indecisione su cosa portare. Odio dover pensare a troppe cose, mie, di mia figlia, del marito, che prendono tutto invece in modo molto “easy”, e mi sembrano poco reattivi.. o forse sono io troppo nervosa e ossessiva. Odio quando gli altri non hanno il mio stesso entusiasmo per la partenza e il viaggio. Odio mio marito che mi prende in giro per le mie liste e i miei elenchi. Odio il giorno prima di partire, pesare borse e valigie, spostare di qua e di là, per trovare il giusto peso o la giusta collocazione delle cose. Odio che per mia madre ci sia sempre qualcosa di cui preoccuparsi. Odio l’ansia di aver dimenticato qualcosa. Odio le code per strada, le lunghe file in aeroporto, ai controlli, all’imbarco e l’attesa se ci sono ritardi. Mi odio da sola, per tutto il fermento e l’apprensione!
Ma poi.. Poi.. Amo quando posso salire su quella scala che porta dentro all’aeromobile. Amo il rombo dei motori, l’accelerazione e la salita nel cielo. Vedere tutto diventare piccolo e lasciarmi tutto alle spalle, incluso lo stress pre partenza. Amo ricordarmi che il cielo è blu sopra le nuvole.. ..ed essere finalmente di nuovo in viaggio. E guardo il mondo da un oblò..ma non mi annoio neanche un po’ .. e se non guardo da un oblò, ma da un finestrino, la cosa non cambia: amo anche vedere sfrecciare veloce il panorama!! E la partenza per il ritorno? Ah quella è un altro viaggio :)
Le Piccole Grandi Frustrazioni del Viaggio
Viaggiare può essere un'esperienza meravigliosa, ma spesso è costellata di momenti che scatenano un vero e proprio istinto omicida. Ecco alcune delle situazioni più irritanti che trasformano l'amore per il viaggio in un'esperienza frustrante:
L'Invasione dello Spazio Personale
Odio viaggiare quando… oh, stai facendo una foto? E chi se ne frega. Questo accade, il più delle volte, quando cerco di fotografare qualcosa che anche altri stanno guardando, e c’è un botto di gente. Un concerto in piazza o l’esibizione di un artista di strada, per esempio. Io son lì che circumnavigo la mandria di persone, dopo mezz’ora mi fermo perché ho trovato il punto giusto per scattare la foto della mia vita, inquadro con lo smartphone o la fotocamera… e poi arriva lui. Lui che si avvicina, mi vede lì immobile con lo strumento del potere davanti alla faccia e zac, mi si piazza davanti tranquillo. Magari tira pure fuori il telefono e fa la foto che avrei dovuto fare io. E se lo chiamo per chiedergli di spostarsi, lui mi ignora o fa finta di non capire che cacchio voglio.
Leggi anche: Odio verso gli stranieri: un'analisi approfondita
La Barriera Linguistica Inesistente
Odio viaggiare quando… ehi, sono straniera, non ritardata! Il più delle volte mi capita in alcuni hotel, specialmente se fanno parte di catene internazionali, oppure al check-in in aeroporto e nei musei, ma è più difficile. Parlo di quell’addetto all’accettazione che, dall’alto del suo inglese perfetto e velocissimo, mi guarda come una cacca sul ciglio della strada perché gli chiedo di ripetere l’ultima cosa che ha detto, o di parlare più lentamente. Poi le cose sono due: o parla veloce come prima, o inizia a trattarmi come una ritardata. Ecco, devi sapere che io sono una persona estremamente empatica quando incontro qualcuno che lavora nel turismo. Mi ricordo le cavolate che sentivo quando facevo la hostess di terra, quindi evito di fare domande strane. Però chiederti di parlare più lentamente, caro signor Oxford, non mi pare una domanda assurda. C’è bisogno di fare quella faccia scocciata? NO. NON ce n’è bisogno. Perché dal “buona giornata” al “vai a cagare” il passo diventa brevissimo.
Guarda, ti do un consiglio. Se ti stanno sui maroni i turisti stranieri, perché invece di lavorare in un hotel non vai a giocare a mosca cieca sull’autostrada lì vicino? Eh? Vai Ciccio, vai.
L'Assalto al Gate
Odio viaggiare quando… sei al gate un’ora prima. Mi sono sempre chiesta perché la gente si mettesse in fila al gate molto prima dell’imbarco quando i posti sull’aereo erano già assegnati. Poi ho scoperto - a mie spese - che, quando gli aerei sono pieni, alcune compagnie aeree low cost accettano solo un certo numero di bagagli a mano e fanno stivare gli altri. Bene, questo concetto l’ho capito. Ma c’è davvero bisogno di piazzarsi davanti al gate appena arrivano le hostess? E c’è bisogno di lamentarsi, dopo, perché stai in piedi da mezz’ora come un carciofo e l’imbarco deve ancora iniziare? Perché poi si alza uno e si alzano tutti, e me devo alza’ per forza pure io perché se no finisco a fare la fila al terminal vicino, accanto ai bagni. Ma aspettali ‘sti quaranta minuti, mannaggia a te!
E quelli che, mentre sei in fila al gate o al check-in, ti si mettono di fianco? Lì mi parte proprio l’embolo. Quali sono le tue intenzioni, eh? Vuoi sorpassarmi facendo finta di non vedermi? Credi di essere invisibile, tu e i tuoi cento chili per un metro e ottanta di infamia? Non ti hanno mai spiegato che le file si chiamano file perché ci si mette uno dietro l’altro? Non ti hanno mai messo in fila per uno alle elementari? Eh?
Il Chiasso Insopportabile
Odio viaggiare quando… ti prego, parla più forte. Non ho sentito l’ultima frase. Viaggiare in aereo mi rilassa moltissimo. Dopo il decollo in genere mi sistemo bella comoda sul sedile - nei limiti del possibile - e mi sparo un sonnellino, o leggo un giornale, o penso al destino dell’umanità. Tutte attività che preferirei praticare nel silenzio. E invece. Invece c’è quello - o quella - che proprio non ce la fa a stare zitto. Non solo parla ininterrottamente, ma lo fa pure ad alta voce. Se c’ha pure qualcuno vicino che gli dà corda e chiacchiera peggio di lui, allora ciaone. Posso pure dire addio al mio volo rilassante.
Leggi anche: Esplorare il Messico: cosa sapere
Se è uomo in genere parla del motivo per cui viaggia o degli altri viaggi che ha fatto. Un volo o centomila voli, parla ‘na cifra lo stesso. Se è donna caccia fuori, a nastro, le vicende della sorella non sposata che si è fatta il marito della cugina di quinto grado dello zio del sindaco. Poi parla di lei, che invece è sposatissima con tre figli, di cui uno che vuole fare l’avvocato divorzista anche se ha appena compiuto tre anni e sa a malapena stare in piedi. E’ talentuoso, dice. A seguire ma perché le hostess non parlano in italiano, eh? E’ una vergogna, e come glielo dico che voglio un caffè? Ah, ma questo caffè fa davvero schifo e poi comunque Antongiulia ha quarant’anni e fa ancora la lavapiatti. Se invece è adolescente, ed è accompagnato da almeno un altro adolescente, di solito voglio sopprimerli tutte e due entro i cinque minuti dal decollo. Perché non solo parlano, ma parlano e ridono e ridono e parlano e si fanno i selfie e ridono e parlano e poi altro selfie e poi tirano il sedile e poi ridono e poi parlano e poi selfie e poi ihihih uhuhuh hihihi (se sono femmine) ohohoh eheheh *rutto* (se sono maschi) e PERCHE’ NON MORITE TUTTI E DUE ADESSO? EH? Il mondo non ha bisogno di voi.
Il Selfie Inopportuno
Odio viaggiare quando… ti fai il selfie inopportuno. Non è sempre il momento buono per farsi un selfie. Perché se te lo fai in aereo e non disturbi il prossimo va benissimo, ma il selfie in posa davanti ad un monumento che ricorda tragedie, morti o sofferenza NON TE LO DEVI FARE. Vuoi fare una foto alle baracche di legno del campo di concentramento di Dachau? Va bene, fai la foto, ma falla alle baracche, non alla tua faccia da imbecille col sorriso a cinquantadue denti. Cosa diavolo c’è da ridere? Eh? Ma lo sai dove sei o no? Pensi di essere simpatico o sexy in un posto dove c’è stata gente che ha sofferto? Ti funziona il cervello o il cranio ti serve solo a separare le orecchie?
Il Turismo di Massa: Un Male Necessario?
Il turismo di massa, se non governato, è un male -ed è pure pericoloso, perché rischia di creare tensioni sociali -in Spagna si vedono già i primi segnali. Se ben governato, però, presenta dei risvolti positivi che vanno oltre l’aspetto economico (oltre il 13% del PIL è fatto di turismo, anche se la sua distribuzione è piuttosto discutibile). Domenica ero a Parigi, dentro il Louvre, nell’affollata sala della Gioconda (e qui ci siamo intesi: non ero fra pochi intimi appassionati). Allora ho cercato di fare una foto da intellettuale spocchioso: quella con la Gioconda sullo sfondo e decine di smartphone che la inquadrano "sopra boschi di braccia tese" (cit.). Pronto a mostrarla, pieno di sdegno e ironia, l’ho invece cancellata, un po’ per rispetto, un po' perchè ci stavo anche io in mezzo al bosco (e qualcuno avrà pensato di me ciò che pensavo di lui/lei), un po’ perché sentivo stessi sbagliando.
Molti turisti, pur non essendo assidui frequentatori di musei o lettori di libri a casa propria, mostrano interesse per la cultura quando viaggiano. Vedere tanto interesse per ciò che la nostra storia ha generato può migliorare noi stessi, insegnandoci ad amare ciò che abbiamo intorno.
Il Turismo e le Crisi Economiche
Il dibattito sul calo delle presenze turistiche nelle località balneari ricorda un vecchio adagio portoghese che recitava così: «Non si può desiderare il sole sull’aia e la pioggia sul campo di rape». Non si possono desiderare due cose tra loro incompatibili, come il sole per essiccare il grano e la pioggia per mantenere umido il terreno in cui crescono gli ortaggi, perché una esclude l’altra. Similmente, si potrebbe dire, non si può sperare di avere le spiagge piene di turisti, se i salari sono bassi e i prezzi sono alti, perché le due cose sono inconciliabili.
Leggi anche: Turks e Caicos: la tua prossima meta di viaggio
Il turismo è sempre stato presentato come una panacea per la crisi della manifattura. Un cerotto mal riposto sopra la crisi del fordismo, il turismo di massa è sempre stato descritto come la soluzione alla deindustrializzazione. Pandemia, clima, dazi: il calo delle presenze nelle località balneari italiane è il riflesso di tutto questo. E dell’inflazione, che, secondo il Codacons, ha aumentato il costo delle vacanze del 30 percento circa rispetto al 2019. «Sui lidi vuoti lacrime di coccodrillo», commentava giustamente l’associazione dei consumatori, evidenziando che, dal 2019 a oggi, i listini degli alberghi sono aumentati del 40 percento; i voli nazionali dell’80 percento; i voli internazionali del 60 percento; lo spritz del 18 percento, la frutta del 35.
Il diritto alle ferie nasce come parte integrante del patto fordista. Il deterioramento del modello di welfare fordista fa sì che l’accesso alle ferie non sia un diritto per tutti e che per molti lavoratori a basso reddito le vacanze siano un lusso non sostenibile. Il problema non è solo la povertà dei salari reali, ma anche la scarsità di tempo. C’è un solo modo per rispondere alla duplice carenza di clienti e di personale, spesso in fuga a causa dei bassi salari, che caratterizza il settore turistico, ed è più lavoro tutelato, più sindacato e salari più alti.
Il Turista: Un Invasore?
Nel senso dispregiativo del termine: ecco questa è veramente una cosa che comincia a darmi sui nervi… ok, ci sono tanti nostri connazionali che non ci fanno andar fieri della nostra patria, come tutti i popoli abbiano i nostri difetti ma cavolo, abbiamo anche dei pregi! Questa denigrazione continua, essere visti come i furbi di turno, è in assoluto quello che mi disturba di più quando sono all’estero. Invade, banalizza.
“Da quando esiste il turismo, il turista non ha mai goduto di buona stampa”, spiega Corrado Del Bò, autore di “Etica del turismo. Responsabilità, sostenibilità, equità” (Carocci). “Il turista”, spiega, “invade, mercifica, banalizza, corrompe: lo si dice oggi ma lo si diceva anche un secolo fa, agli albori del fenomeno, quando l’élite dei pochi che potevano viaggiare iniziava a vedere scossi i propri privilegi. In effetti il turismo non è che la democratizzazione del viaggio, con gli svantaggi che comporta, tra cui quel che alcune città iniziano a lamentare: di essere pensate per i turisti e non per gli abitanti.
Il volume di Del Bò contiene anche un’utile ricognizione storica su come distinguere il turista dal viaggiatore, che parte ovviamente dal Grand Tour dei figli maschi della nobiltà inglese, caratteristico di tutta l’età moderna ma con un significativo distinguo: nel Seicento durava anni, nell’Ottocento si era ridotto a pochi mesi. Il turismo moderno - cosiddetto “mordi e fuggi” - è un coerente sviluppo di questa tendenza, alla quale si è affiancata la maggiore disponibilità di risorse che ha portato al turismo di massa.
Vent’anni fa il sociologo Jean-Didier Urbain, in “L’idiot du voyage”, aveva coniato il termine “turistofobia”. Gli episodi di Venezia e di Barcellona dimostrano che oggi siamo alla turistofobia di massa, inevitabile reazione al turismo globale. Tradizionalmente infatti il turista veniva identificato come chi svolgeva in un luogo estraneo un’attività che non svolgeva nel quotidiano: nell’epoca del turismo di massa, chi andava in villeggiatura andava a sfogare un’attività che preclusioni e abitudini gli avevano compresso nell’animo per tutto l’anno.
Grazie all’aumento del tempo libero di qualità e delle risorse disponibili nell’arco lavorativo, invece, il turista globale non accetta più la divisione del mondo in quotidiano e straordinario. Ritenendo invece che il suo quotidiano meriti sempre l’etichetta di straordinario, mira a esportare il proprio modo di vivere in qualsiasi luogo raggiunto, ed essendo ormai scevro da vincoli e pudori lo fa in maniera rutilante e aggressiva. Il paradosso è che chi protesta contro i turisti lo fa perché riconosce in essi non più un comportamento eccezionale, festivo, bensì l’esaltazione all’ennesima potenza dei comportamenti feriali che caratterizzano anche lui.
Roma Invasa dai Barbari Moderni
Appena apro la porta di casa, già vedo i segni della barbarie. Una rampa di scale e il rumore del condizionatore è il primo sintomo. L'aria calda si avvolge nella chiostrina del palazzo e il motore sgangherato che l'affittacamere ha approntato fuori dall'antica finestra condominiale è acceso giorno e notte, qualunque sia la temperatura esterna. Scendo le scale senza neppure più immaginare una ribellione. So che quest'estate una coppia di americani, mentre fuori si friggeva a cinquanta gradi all'ombra, ha lamentato l'assenza di coperte. «L'aria condizionata è molto bassa» hanno sostenuto. Quanto a me, se avessi potuto, avrei risposto loro di abbassarla ancora e tenere duro fino all'ipotermia, fino alla la morte.
Io infatti nutro verso tutti costoro, verso tutti questi turisti prevalentemente anglosassoni, perlopiù americani, un sentimento preciso che si chiama odio. L'ho sviluppato lentamente, senza accorgermene, e alla fine è esploso, quando ho capito quel che era accaduto, ossia la realizzazione di un sogno neo-coloniale a lungo coltivato e col post-covid definitivamente compiuto, il sogno della grande invasione. Per anni, i più grandi esperti in demagogia hanno parlato di invasione alzando il dito contro una massa di uomini e donne pronta a sfidare i peggiori rischi pur di venire qui a lavorare, gente che non ha mai rappresentato un pericolo invasivo e distruttivo e che invece semmai porterebbe salvezza a un mondo in cui voglia di lavorare saltami addosso, voglia poi di far mestieri usuranti non ne parliamo.
E torniamo alla vera invasione, quella devastante, definitiva, frustrante e mortifera dei neocolonialisti, dominatori, prepotenti turisti anglosassoni assetati di ignoranza, quelli che non sanno se non parlare piuttosto superficialmente la loro stessa lingua, l'inglese, e che per questo io trovo giusto chiamare barbari. Barbaro è chi balbetta la lingua greca, secondo i greci. Barbaro è chi balbetta anche la propria lingua, secondo me. E come i greci odiavano i barbari, io odio questi barbari qui, prepotenti invasori privi di misura, incapaci di rispetto, e vi spiegherò perché.
Esco di casa e la prima cosa che faccio è guardare a destra, ossia la serranda di un garage davanti a cui molto spesso di notte, mai quando io riesca a vederli, i barbari depongono i loro cumuli di monnezza. Certo che Roma per loro è una festa. Da anni priva di sindaci dotati della minima capacità di immaginarla, la città rantola agonizzante, abbandonata a pirotecniche idee tipiche di una demenza senza scampo, una delle quali è il decoro, proprio quel decoro in virtù del quale sono stati eliminati i cassonetti dal centro, assieme ai cestini (roba volgare per una città d'arte), consentendo dunque le peggiori infamie degli invasori, qui liberi finalmente di fare come cazzo gli pare. Osservato il cumulo di merda, volto lo sguardo altrove tentando un silenzio interiore impossibile, cammino verso la piazzetta mentre contromano i barbari volano sugli infami monopattini o starnazzano su biciclette elettriche in affitto, mezzi che lasceranno senza la minima cura in qualsiasi spazio possibile, davanti a portoni o automobili, tanto chissenefrega e anzi, se riescono a imparare il vero romanesco, pure sticazzi. A volte grido loro «One Way» o «Respect», ma non reagiscono.
Sciami di folle asservite a guide dotate di bandierine si assiepano davanti a rivenditori di Colossei in miniatura e Pinocchietti snodabili, e se l'ora del pranzo si avvicina (ma per loro è quasi sempre ora di pranzo), gli invasori si mettono in fila (adorano le file, file eterne, file impossibili) e aspettano un piatto di pasta, una pizza unta, un supplì secco e io dico loro «Why don't you go queuing at the Vatican Museum instead of eating this shit?», perché non fate la fila ai Musei Vaticani anziché mangiare ’sta roba... Ridono. Pensano che io sia pazzo. Non capiscono quello di cui sono responsabili.
Poiché, infatti, vogliono mangiare cibi così orrendi e accettano di pagare per essi cifre del tutto incongrue, hanno finito per alterare completamente l'offerta culinaria della città, dove le antiche trattorie sono state sostituite da finte taverne con finte tovaglie a quadretti, slabbrati paninifici nauseabondi, produzioni di salse che solo a guardarle diventi obeso. In fondo però non hanno tutti i torti a considerarmi pazzo. Odiando i loro calzoncini corti, le loro infradito, i loro trolley giganteschi e i loro cappellini colorati, non dovrei ironizzare affatto con battute idiote, dovrei dedicarmi invece alla guerriglia.
Il dramma è che il centro si è allargato incredibilmente a Roma. E ovunque, ma proprio ovunque, è tutto un susseguirsi di case vacanze, airbnb, bb, o quel che è, stanzacce approntate alla meglio, stanze su strada più squallide dei poveri ma autentici “bassi” di un'altra epoca, anfratti dove è possibile consegnare bagagli a ore, ostelli con camerate dove è legge vomitare di notte. La notte, sì, con tutto quel che accade poi di notte, perché la notte arriva ogni giorno fin dalla sera, e dalla sera in poi, il centro di Roma diventa definitivamente una terra di nessuno, anzi no, una terra di qualcuno in effetti: la terra loro, la terra dei barbari che hanno invaso e depredato la città - roba da rischiare il definitivo colpo apoplettico.
Quel che si di sera affolla il mio rione come qualsiasi altra via del centro da due anni a questa parte è inquietante. Sciatti, incapaci di verbo che non sia un delirio cantante urlante, gli invasori amano due cose: happy hour e shot di superalcolici. E questo gli offrono i furbi romani. Bevande mefitiche e alcol simile a quello che sterminò i nativi americani a “basso” prezzo. Sicché dopo aver mangiato pizze ricoperte di ketchup e hamburger fetidi e patate fritte congelate, gli invasori riempiono i vicoli cantando e gridando e ridendo, ridendo non si sa bene per cosa, mentre l'alcol a due euro gli corrode l'esofago e li esalta.
Mi pare assai interessante questo stupore. Con cui io non mi confronterò mai perché, protetto da finestre che non affacciano sulla via, sono semmai vittima soltanto di condizionatori accesi e di festicciole sgangherate e di voci stridule a volte di accento canadese, gallico, danese, voci ridenti di nulla con cui cerco di venire a patti interiormente in un'indefessa ricerca zen. Però quel che patiamo tutti quanti noi, abitanti di vicoli o strade del centro e di quel che era intorno al centro e che ormai è anch'esso preso d'assalto e invaso, estirpato, distrutto, è una strana sensazione di solitudine e fine di un mondo molto amato, cui io reagisco con l'odio e i miei amici con una disperazione messa a tacere, qualcosa che presto o tardi come tutte le forme di rabbia repressa farà di loro dei veri omicidi seriali.
“Fino a poco tempo la trasformazione della città in un parco per turisti sembrava un problema confinato a Venezia. Ora non è più così. Ci sono luoghi ormai economicamente inavvicinabili. Per non parlare di quel che succede in termini di tessuto urbano e culturale. È davvero questo che vogliamo?
TAG: #Turisti