Percentuale Femminicidi in Italia: Statistiche e Analisi
In Italia, il dibattito sui femminicidi è sempre più acceso, soprattutto a seguito di casi di cronaca che scuotono l'opinione pubblica. Tuttavia, la complessità del fenomeno e la difficoltà di raccogliere dati omogenei rendono difficile tracciare un quadro preciso della situazione.
La Difficoltà nella Raccolta dei Dati
In Italia non esiste una banca dati istituzionale e pubblica in cui periodicamente sono registrati i femminicidi compiuti nel paese. Non esiste, cioè, un sito internet dove monitorare in modo puntuale e verificato la situazione, nemmeno dopo un anno.
La parola femminicidio però non compare in questi rapporti, ed è solo dal 2019 che l’Istat ha cominciato a usarla all’interno del sistema informativo sulla violenza contro le donne e in particolare nei report annuali pubblicati in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ogni 25 novembre. Le stesse statistiche però non sono presenti nella banca dati IstatData, né nella sezione sulla violenza contro le donne né in quella legata alla giustizia penale, in cui sono indicati i delitti denunciati in Italia e ci si aspetterebbe di leggere quanti degli omicidi volontari commessi sono stati dei femminicidi.
Qui il fenomeno diventa invisibile. Come ha spiegato Istat in un rapporto uscito lo scorso aprile, «in Italia non sono disponibili tutte queste informazioni», dunque la comprensione del fenomeno dei femminicidi è per forza limitata.
I Dati Disponibili
Sul sito del ministero dell’interno c’è un report aggiornato ogni settimana. Riguarda più in generale gli omicidi volontari, con una parte specifica dedicata alla “violenza di genere”. I dati sono classificati in base al sesso delle vittime e alla relazione con il presunto colpevole.
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Secondo la psicologa e criminologa Anna Costanza Baldry, che nel libro Orfani speciali (Franco Angeli 2017) ha approfondito il fenomeno dei bambini e delle bambine rimasti orfani dopo che il padre aveva ucciso la madre, “il femminicidio può essere inquadrato come una forma di espressione del potere e del controllo dell’uomo sulla donna, cioè di condotte basate sulla disuguaglianza di genere e solo in alcuni casi, seppure molto meno frequenti, è riconducibile a particolari disagi mentali di cui la violenza può essere un’espressione”.
Nel 2021 le donne vittime di omicidio sono state in totale 119, dunque quasi il 90 per cento è stato vittima di femminicidio. Dal 1° gennaio al 19 novembre 2023 le vittime di omicidio di «sesso femminile» sono state 106: di queste, 87 sono state uccise in ambito familiare e affettivo e in 55 casi l’omicida era un partner o un ex partner. Nello stesso periodo dell’anno scorso le donne vittime in ambito familiare e affettivo erano state 91, e in 53 casi l’omicidi era un partner o un ex partner.
Istat mette a disposizione anche i dati dal 2002 al 2021 sulle donne vittime di omicidio, suddivisi in base alla relazione con l’omicida. Questi numeri permettono di sapere se l’omicida è un partner o ex partner, un parente o un famigliare, o qualcuno di conosciuto o sconosciuto alla vittima. Ma hanno un limite: non indicano le altre caratteristiche necessarie per individuare un femminicidio, per esempio quelle collegate a uno specifico modo di agire o a motivazioni di genere.
Nel 2002 gli uomini vittime di omicidio in Italia sono stati 455, scesi a 184 nel 2021: un calo del 60 per cento. Le donne uccise sono scese invece da 187 a 119, con una riduzione del 36 per cento. In rapporto alla popolazione, gli uomini vittime di omicidio sono stati 1,65 ogni centomila nel 2002, vent’anni dopo sono scesi a 0,64. Nelle donne questo rapporto ha registrato un calo meno marcato, passando da 0,64 a 0,39 ogni centomila donne.
Nel calo del numero di donne uccise ha pesato la forte riduzione degli omicidi commessi da estranei. Nel 2002, tra le 0,64 donne uccise ogni centomila, 0,33 è stato ucciso da un partner, da un ex partner, da un parente o da un conoscente, ossia la tipologia più comune tra i femminicidi. Nel 2021, su 0,39 donne uccise ogni centomila, 0,35 è stato ucciso da un partner, da un ex partner, da un parente o da un conoscente. Questa tendenza è evidente guardando la composizione in percentuale degli omicidi.
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Nel 2021 quasi il 60 per cento delle donne vittime di omicidio è stato ucciso da un partner o un ex partner, percentuale che sale all’84 per cento se si considerano i parenti. Nel 2002 questa percentuale era del 52 per cento. Di fatto le donne sono uccise quasi sempre da qualcuno che è loro vicino, e più di quanto succedeva in passato.
Femminicidi: Dati a confronto
La tabella mostra il numero di donne uccise in ambito familiare e affettivo in Italia dal 2020 al 19 novembre 2023.
Anno | Donne uccise in ambito familiare e affettivo | Di cui uccise da partner o ex partner |
---|---|---|
2020 | Dato non disponibile | Dato non disponibile |
2021 | Dato non disponibile | Dato non disponibile |
2022 | Dato non disponibile | Dato non disponibile |
2023 (fino al 19 novembre) | 87 | 55 |
La Definizione di Femminicidio
Definire un fenomeno è il primo passo per capire come misurarlo e quali azioni intraprendere a livello politico. La parola femminicidio entra nel dizionario della lingua italiana nel 2001 e solo dal 2006 l’Istat ha cominciato a fare ricerche periodiche “sulla sicurezza delle donne”. L’ultima risale al 2018. Prima, l’unica parola esistente per indicare l’uccisione di una donna era “uxoricidio”, cioè l’uccisione di una donna in quanto moglie, e fino all’abrogazione del delitto d’onore nel 1981 era considerato meno grave rispetto ad altre forme di omicidio.
A livello internazionale il termine “femminicidio” fu usato nel 1976, quando l’attivista e studiosa sudafricana Diana Russell testimoniò al tribunale internazionale sui crimini contro le donne a Bruxelles, in Belgio, affermando che gli omicidi di donne e ragazze assumevano una forma decisamente misogina. Nel 1992, nel libro scritto insieme alla studiosa britannica Jill Radford, Femicide. The politics of woman killings, la definizione comprendeva “l’uccisione misogina delle donne da parte degli uomini”. Nel 1993 Jane Caputi, professoressa della Florida Atlantic university, esperta di studi di genere e coautrice con Russel di un articolo su questo tema, amplia la dimensione politica e descrive i femminicidi come “forma di terrorismo patriarcale”.
Contare in modo omogeoneo e sistematico i casi di violenza contro le donne, e in particolare i casi di femminicidio, è uno degli impegni previsti anche dall’Agenda 2030, in cui uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile è rendere il mondo un posto in cui “le donne e le ragazze godono di piena uguaglianza e tutte le barriere economiche e sociali alla loro emancipazione sono state rimosse”.
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Per questo motivo, nel marzo 2022 è stato approvato un nuovo documento curato dall’agenzia Onu per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc) e dall’ente per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (Un women) che contiene nuovi indicatori per rendere omogeneo il conteggio dei femminicidi nel mondo.
I Nuovi Indicatori ONU
Nel documento si legge che questi ultimi sono “la forma più brutale ed estrema della violenza contro le donne, che coinvolge tutte le regioni e i paesi a livello mondiale”. Tra i nuovi indicatori (53 in totale), ce ne sono diversi che includono la modalità con cui è avvenuto l’omicidio, se il corpo è stato abbandonato per strada, se è mutilato, se la donna è stata denudata, ma anche se è stata vittima di tratta, di violenza sessuale, di altro tipo di oppressione anche sul luogo di lavoro, se era incinta, le caratteristiche dell’autore, come i precedenti penali, storie di violenza pregressa, e molto altro.
L’Onu raccomanda anche di valutare il tipo di rapporto esistente tra chi subisce la violenza e chi la commette al di là della sfera affettiva, dal momento che forme di violenza e oppressione sulle donne possono essere commesse anche da conoscenti, colleghi, amici, sconosciuti, militari e agenti di polizia.
Come indicato dall’Istat nel suo ultimo rapporto, relativo al 2021, i nuovi indicatori internazionali saranno presi in considerazione per costruire le future statistiche, a mano a mano che saranno disponibili i dettagli sui reati a partire dalle informazioni comunicate dalla polizia e dal ministero dell’interno. La classificazione riguarderà i dati dei prossimi anni, mentre il confronto storico resta possibile solo con i dati disponibili, e cioè quelli che riguardano la relazione tra autore e vittima.
Il Femminicidio nel Contesto Europeo
Anche all’interno dell’Unione europea - come fanno notare gli autori dell’inchiesta più recente sul femminicidio in Europa, promossa dallo European journalism network - non ci sono dati ufficiali dopo il 2018 e l’istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), l’ente che dovrebbe condurre ricerche e monitorare le politiche in materia di violenza contro le donne, ha avviato un’indagine nel 2020, ma i risultati non saranno pubblicati prima del 2024.
“Ciò significa che l’Ue non avrà il quadro completo di un fenomeno cruciale che tocca metà della sua popolazione per un periodo di circa cinque anni”, scrivono i giornalisti. La Spagna, che si definisce il “primo paese a contare tutti i tipi di femminicidio”, dal 2022 include nelle statistiche anche gli omicidi avvenuti al di fuori delle relazioni di coppia. Nel luglio 2023 in Belgio è stata approvata una legge che distingue tra diversi tipi di femminicidio e definisce le forme di violenza che possono precederlo, come la violenza sessuale o psicologica.
Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, pubblica i dati sulle donne vittime di omicidio, con la possibilità di sapere se l’autore dell’omicidio è un partner o un ex partner, oppure un familiare. I dati su queste due casistiche, che non esauriscono l’insieme dei femminicidi, sono però disponibili solo per 20 Paesi e non per tutti sono aggiornati al 2021. In quell’anno le donne uccise in Italia da un partner o da un parente erano state 0,35 ogni 100 mila abitanti donne, il sesto valore più basso sui 15 disponibili, più alto di quelli di Grecia, Paesi Bassi, Spagna, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Nel 2019, ultimo anno per cui sono disponibili i dati di tutti e 20 i Paesi censiti, l’Italia aveva registrato 0,26 omicidi di donne ogni centomila, commessi da un partner o un parente. Avevano numeri più bassi dell’Italia solo Spagna, Svezia, Grecia, Slovacchia e Cipro. La media europea era pari, anche in quell’anno, a 0,39.
Iniziative e Proposte
In Italia passi avanti sono stati fatti con l’approvazione all’unanimità della legge 53/2022 proposta dalla senatrice del Partito democratico Valeria Valente, presidente della prima commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, istituita nel 2017 e rinnovata nel luglio 2023 con la presidenza di Martina Semenzato (Noi moderati). La prima relazione pubblicata dalla commissione nel novembre 2021 contiene un’indagine molto approfondita sul fenomeno, compresi i problemi di definizione e come fare per superarli, ma è ferma ai dati del biennio 2017-2018.
La legge dovrebbe quindi essere uno strumento in più per consentire una raccolta dati regolare rispetto alla violenza di genere in Italia, anche se non ha ancora visto piena attuazione. L’associazione Ondata, che si occupa di sensibilizzare le istituzioni sulla pubblicazione di dati aperti (cioè in formati trasparenti, accessibili e riutilizzabili), ha collaborato con altre organizzazioni che si occupano di violenza contro le donne per chiedere che i dati pubblicati settimanalmente in pdf dal ministero fossero rilasciati anche in formato aperto, e questo succede effettivamente da settembre.
“È importante perché consente in modo più diretto e semplice di individuare eventuali tendenze, però ancora ci sono dei passi da fare. Al momento i dati sono pubblicati solo su base nazionale e non disaggregati per regione o provincia, anche se ci sarebbe la possibilità di averli”, spiega il presidente di Ondata, Andrea Borruso. “Se i dati sono poco leggibili, anche le azioni, le idee, le proposte per cambiare la situazione probabilmente non potranno essere incisive”.
Il database dell’osservatorio promosso dal basso dalle attiviste di Non una di meno (Numd), che conta “femminicidi, lesbicidi e transcidi”, è attualmente lo strumento migliore per monitorare la situazione in Italia. Si tratta di un lavoro di raccolta di “controdati”, come li ha definiti la ricercatrice e professoressa del Massachusetts institute of technology, Catherine D’Ignazio. Sono dati complementari o alternativi a quelli ufficiali, fondamentali per avviare un dibattito e una discussione su problemi o fenomeni sottovalutati da governi e istituzioni.
L'Importanza dei Dati
I dati sulla violenza contro le donne sono importanti perché mostrano una differenza di genere nella frequenza e nelle modalità con cui è commessa, anche a livello mondiale. Secondo l’Unodc, nel 2020 47mila donne sono state uccise dai loro partner o da familiari, una ogni undici minuti, il 58 per cento di tutti gli omicidi di donne avvenuti quell’anno. Solo il 10 per cento dei casi di omicidio volontario in cui la vittima è un uomo è avvenuto in ambito domestico. Nel 2021 in Italia la percentuale di omicidi compiuti in ambito familiare riguarda nell’86 per cento dei casi le donne e nel 26 per cento gli uomini, secondo i dati del ministero dell’interno.
Quando i dati ufficiali mancano, è difficile accedervi o non riportano informazioni complete che possano mostrare elementi in comune ai vari casi di femminicidio, chi contesta le azioni e le iniziative contro la violenza sulle donne può far leva più semplicemente sui propri pregiudizi e su una cultura patriarcale diffusa in cui lo stigma ricade sulle vittime. Nel 2018, nell’ultima indagine dell’Istat sugli stereotipi di genere, si legge che per il 39,3 per cento della popolazione italiana la donna è responsabile della violenza subita perché avrebbe potuto evitarla. La disponibilità e soprattutto l’accessibilità dei dati può cambiare il punto di vista delle istituzioni, spingendole ad agire, ma anche quello di cittadini e cittadine.
In Italia il femminicidio non è un reato previsto dal codice penale, come invece avviene in tutti i paesi dell’America Latina (ad esclusione di Haiti e Cuba), ma nel 2013 la legge 119, conosciuta come “legge sul femminicidio”, ha introdotto il reato di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela o convivenza con la vittima di sesso femminile.