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Definizione di Piccolo Aereo da Turismo: Un'Analisi Dettagliata

Un aereo da turismo è un aeromobile progettato specificamente per il trasporto di passeggeri a scopo ricreativo o turistico. Questi aerei sono generalmente più piccoli e meno costosi rispetto agli aerei di linea commerciali, rendendoli accessibili a un pubblico più ampio di piloti e appassionati di volo.

Il Piper: Un Esempio Classico di Aereo da Turismo

Il Piper è un esempio iconico di aereo da turismo. Questo tipo di aeromobile è noto per la sua maneggevolezza e facilità di pilotaggio, rendendolo ideale per i piloti privati e le scuole di volo.

Il Bimotore: Potenza e Affidabilità

Un bimotore, dotato di due eliche, offre maggiore potenza e affidabilità rispetto a un monomotore. Questo lo rende adatto per voli più lunghi e in condizioni meteorologiche variabili.

Tabella Comparativa: Piper vs. Bimotore

Caratteristica Piper Bimotore
Motori Monomotore Bimotore
Maneggevolezza Alta Media
Affidabilità Buona Superiore
Utilizzo Piloti privati, scuole di volo Voli lunghi, condizioni variabili

Curiosità sull'Aviazione e il Turismo Aereo

L'aviazione civile ha progressivamente colonizzato il traffico, offrendo soluzioni sempre più efficienti e rapide per il trasporto di persone e merci.

Altre Definizioni e Curiosità

  • Slot: All’interno delle strutture aeroportuali l’arco di tempo che un aereo ha per effettuare il decollo.
  • Drone: Il “Remotely Piloted Vehicle”, cioè un “veicolo guidato a distanza”, rappresenta una tecnologia in continua evoluzione.

Questi velivoli possono decollare e atterrare verticalmente quando necessario, ma operano anche da piste di atterraggio molto brevi (fino a tre piazzole di atterraggio verticali di fila) con un carico utile notevolmente maggiore. La propulsione ibrida consente prestazioni più elevate in termini di maggiore autonomia e autonomia (ricarica delle batterie in viaggio); alimentata con eco-fuel, necessita di un’infrastruttura molto limitata.

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L’opzione più veloce oggi disponibile per molti viaggi urbani e il mezzo di confronto per eccellenza è l’automobile. Gli eliporti sono più piccoli, più efficienti e più numerosi degli aeroporti, ma aggiungono comunque un sovraccarico al viaggio, una fonte di stress ulteriore dovuta, prevalentemente, al tempo che richiedono. La velocità cui viaggiano questi velivoli, infatti, fino a 350 km/h, vale sicuramente il tempo necessario per spostarsi da/per l’eliporto.

Resta però indubbio che una mobilità che si avvalga di velivoli di questo tipo - che ha le logiche dell’elicottero (soprattutto per quanto riguarda il decollo e l’atterraggio verticale), la velocità di un aereo da turismo e la facilità d’uso di una automobile - possa, tra una decina di anni o poco più, non avvenire più su gomma o avere, almeno, delle alternative molto veloci, come quelle offerte da questi velivoli.

La sede a Sesto Calende non è certo un caso: piccolo centro all’estremo del Lago Maggiore, in provincia di Varese, vive di turismo e alta tecnologia, soprattutto nel settore avionico. ANN2 e corrisponde alla definizione formale di “long range hybrid personal air vehicle”.

L’obiettivo di SkyGate è di dar vita ad un polo aeronautico per la mobilità aerea personale del futuro, riqualificando le esistenti infrastrutture dell’Aeroporto Torino Aeritalia in laboratori di sperimentazione e sviluppo di nuove tecnologie per velivoli destinati al trasporto passeggeri e merci. Secondo le stime dei più accreditati analisti internazionali, il mercato della Advanced Air Mobility potrebbe raggiungere € 241 miliardi entro il 2035.

Pur non assomigliando, effettivamente, ad alcun aereo costruito fino a quel momento o nelle decadi a seguire, rispondendo unicamente ai crismi convenienti di quel mondo del design assecondato da un’inerente ricerca estetica di distinzione, tanto indissolubilmente associato anche nell’immaginario collettivo alla cultura del nostro paese.

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Giacché italiano era Luigi Pellarini (come dubitarne, visto il nome) ed originario nello specifico della città di Milano, quando nel 1944 si associò con la Carrozzeria Colli per la produzione e dimostrazione al pubblico del suo primo prototipo degno di nota: l’auto volante P1, sostanzialmente un piccolo aereo da turismo con quattro pneumatici stradali, dotato di due ali pieghevoli che potevano essere posizionate sopra il tetto, riducendo il suo ingombro stradale a quello di una vettura utilizzabile nel quotidiano.

Così percorrendo 1800 Km per tutta la penisola da Torino a Bari, passando per Roma ed Ancona, egli fece quindi ritorno nella sua città, dove la presentò ufficialmente al cardinale Schuster, occasione in cui il settimanale il Tempo soprannominò la proposta veicolare con l’altrettanto insolita definizione “L’angelo degli adulti”.

Il fatto è che, possiamo constatarlo anche attualmente, in nessun paese al mondo l’automobile capace di sollevarsi da terra rappresenta una proposta di uso comune, per tutta una serie di ragioni tra cui non ultimo il costo generalmente significativo di tali implementi. Una barriera, questa, intensamente vissuta da Pellarini nell’Italia del dopoguerra, tanto che egli ben presto decise, come molti nostri connazionali di tale epoca, di emigrare all’estero.

Dirigendosi, piuttosto che negli Stati Uniti, in Australia, dove potenzialmente riteneva esistere un mercato migliore per la sua vettura, a causa delle lunghissime distanze tra i singoli centri abitati di ciascuno stato. Egli avrebbe tuttavia scoperto, dopo alcuni entusiastici articoli sui giornali di quel continente, una sostanziale impossibilità di trovare finanziatori per l’idea, rendendola improbabilmente realizzabile esattamente quanto gli era capitato di constatare il patria.

Guardandosi attorno con particolare attenzione all’aeronautica per uso personale, tuttavia, l’ingegnere aeronautico italiano iniziò a intravedere il profilo di un’opportunità nuova. La particolare aridità ed il complesso delle condizioni climatiche del meridione terrestre, infatti, tendevano a richiedere l’impiego in campo agricolo di un particolare fertilizzante composto da acido solforico ed apatiti, il cui nome era superfosfato.

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La cui distribuzione ad ampio spettro risultava alquanto problematica, trattandosi di una polvere che veniva scaricata direttamente dal portellone degli aerei, in contrapposizione alle sostanze liquide che potevano essere semplicemente nebulizzate. Il che portava, progressivamente, all’erosione della carlinga dei piccoli aeromobili, con conseguente aumento dei costi di manutenzione.

Perché non tentare, a questo punto, d’intraprendere il sentiero di un possibile margine di miglioramento? Qualcosa di simile probabilmente egli disse, dopo essersi spostato in Nuova Zelanda nel 1960, alla compagnia Bennet e successivamente la Waitomo, rispettive costruttrici dei due prototipi di quello che sarebbe diventato il suo mezzo volante di maggior successo e popolarità, mediante l’utilizzo iniziale di componenti presi in prestito dai North American Harvards forniti alle Forze Aeree locali nel corso della seconda guerra mondiale.

Il cosiddetto, come dicevamo, PL-11 Airtruck o “furgone volante” la cui forma altamente distintiva presentava dei vantaggi tutt’altro che indifferenti. Incaricati di organizzare lo scarico retrogrado del fertilizzante, dall’apposito portellone posto in mezzo alle code, la cui disposizione inerente permetteva anche ad un eventuale camion di trasporto agricolo di avvicinarsi per spostare il carico all’interno, poco prima delle opportune operazioni di decollo.

Così lo ritroviamo cinque anni dopo a Parramatta, nei sobborghi di Sydney presso lo stato australiano del Nuovo Galles del Sud, a colloquio con il connazionale Franco Belgiorno-Nettis, fondatore e direttore dell’azienda attiva nel settore agricolo della Transfield, individuo caratterizzato da una storica passione per il volo.

Il che facilitò indubbiamente la creazione ad hoc del nuovo ramo aeronautico Transavia, che si sarebbe assunto l’incarico di produrre, pubblicizzare e distribuire il nuovo aeroplano, ribattezzato per l’occasione PL-12 Airtruk (senza la “C”) per non infrangere i diritti della Bennet e Waitomo. La nuova versione, d’altra parte, non era scevra di miglioramenti funzionali, tra cui una struttura rinforzata ed il motore orizzontale Rolls-Royce/Continental IO-520-D da 300 cavalli, rispetto al più potente ma meno affidabile Pratt & Whitney R-1340 del precedente modello.

Con una velocità massima di 191 Km/h ed un rateo di salita pari a 3 metri al secondo, che contribuirono a farne un moderato successo nel campo dell’aeronautica agricola, e non solo. Dei 138 esemplari prodotti fino al 1993, d’altra parte, alcuni furono venduti all’estero in paesi come il Sudafrica e la Thailandia, con quest’ultima intenzionata a farne inizialmente un veicolo militare da attacco al suolo, dotato di bombe e mitragliatici per il fuoco di soppressione.

Un piano che non ebbe, potremmo dire fortunatamente, mai modo di giungere a effettiva concretizzazione. Poiché non ci sono molti altri aerei al mondo, capaci di vantare lo stesso piglio vagamente surreale e stravagante, apparentemente preso in prestito dai disegni di un cartone animato.

O quelli usati per la preparazione di un film fantascientifico, come avvenuto nel caso della sua famosa partecipazione alla pellicola del 1985, “Mad Max oltre la sfera del tuono”. Un imprevedibile e tardivo sentiero d’accesso alla fama imperitura, quando ormai il settore dell’aeronautica sembrava essersi spostato oltre, dimenticando totalmente i sesquiplani.

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