Previsioni sulla Popolazione Straniera in Italia nel 2050: Un'Analisi Dettagliata
La popolazione residente in Italia, attualmente intorno ai 59 milioni, è prevista in diminuzione a 54,7 milioni entro il 2050, con un calo graduale ma costante nel tempo. Da oltre 15 anni l’Italia affronta un ricambio naturale negativo, alla base della riduzione della popolazione, nonostante la parziale contropartita di dinamiche migratorie con l’estero di segno positivo.
Come sarà il Paese alla fine del prossimo quarto di secolo? Quale Italia ci troveremo ad abitare nel 2050? Sono le domande alle quali cercherà di rispondere un’inchiesta a puntate di “Avvenire” per provare a delineare, a volte anche solo a immaginare, l’Italia che verrà. E soprattutto cominciare a ragionare su quel che ci sarebbe da fare per correggere le storture che già vediamo ed esaltare invece le potenzialità del nostro tessuto sociale. Insomma, per rendere il nostro Paese del futuro migliore. Per farlo partiremo dall’analisi di dati e previsioni scientifiche, per poi discuterne con alcuni esperti. Oggi la prima puntata sulla situazione demografica.
Detto così mette un po’ di angoscia. Dunque, proviamo subito a rassicurare: quello che i numeri paiono dire dell’Italia nel 2050 è semplicemente una previsione quantitativa, cioè informa su come saremo e non è un’anticipazione di come staremo. D’altronde la tendenza è in atto da anni, quello che sarà domani è in parte già vero oggi, e la fotografia del futuro possibile ha senso se la si osserva per capire quali sfide ci aspettano e come gestirle, non per presagire scenari oscuri.
Dati Demografici Chiave per il 2050
La fotografia più aggiornata di quello che potrà essere la popolazione del nostro Paese tra 25 anni alla luce delle tendenze demografiche - senza considerare ovviamente cambiamenti geopolitici o economici, l’evoluzione tecnologica o altro - è stata diffusa a fine luglio dall’Istat attraverso il report Previsioni della popolazione residente e delle famiglie con base 1/1/2024. Uno scenario segnato da fattori noti: la bassa natalità, l’invecchiamento, le trasformazioni familiari.
L’Italia nel 2050 avrà circa 54,7 milioni di abitanti, 4,3 milioni in meno rispetto al 2024. In pratica è come se si volatilizzassero contemporaneamente le città di Roma, Milano e Bari. L’emorragia però riguarderà soprattutto il Mezzogiorno, che perderà 3,4 milioni di abitanti, in particolare giovani e famiglie, mentre il calo al Nord sarà di circa 200mila persone e al Centro di 700.000. Si tratta di uno scenario mediano, all’interno di una forchetta di previsioni con ipotesi minime e massime.
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- Nord: Calo di circa 200.000 persone
- Centro: Calo di circa 700.000 persone
- Mezzogiorno: Calo di 3,4 milioni di persone
L’evoluzione, in ogni caso, è chiara: le persone abiteranno prevalentemente nei centri urbani, cioè vicino ai servizi e alle opportunità, mentre le aree interne e i comuni periferici e più piccoli potranno sperimentare un isolamento ancora maggiore rispetto a oggi. Con il rischio, oltretutto, di generare una circolo vizioso in cui la riduzione dei servizi e l’esodo di popolazione finiscono per alimentarsi a vicenda. Più persone che gravitano sulle città può anche voler dire una fase di maggiore dinamismo, questione che si confronta però con l’evoluzione delle generazioni.
L’età media nel 2050 salirà a quasi 51 anni, dai 46,6 attuali, e il Sud passerà dall’essere l’area oggi più giovane a quella più anziana (51,6 anni in media). Il destino del Mezzogiorno sembra essere quello di una lenta e progressiva “senilizzazione”, fenomeno descritto dalla Svimez nel suo rapporto 2024: nel prossimo quarto di secolo il Sud vedrà diminuire del 35% la generazione degli under-15 e aumentare del 30% gli over-65. Le regioni più colpite ci si aspetta siano Basilicata, Molise, Sardegna, che potrebbero perdere un quinto della propria popolazione.
Impatto sull'Età Lavorativa e Immigrazione
I giovani, insomma, andranno a concentrarsi al Centro-Nord. Perché il grande tema di questa fase storica è il “degiovanimento” del Paese, secondo il neologismo coniato dal demografo Alessandro Rosina, cioè l’assottigliamento delle generazioni più giovani, con una conseguente perdita di rilevanza sociale e politica. Un abitante ogni tre nel 2050 avrà più di 65 anni (34,6%), poco più di uno ogni dieci (l’11,2%) ne avrà meno di 14, mentre nella fascia 15-64 anni ci saranno meno di 30 milioni di persone (il 54,3%), con una perdita di ben 7,7 milioni di popolazione in età da lavoro. Tra 25 anni, in pratica, anziani e bambini insieme saranno tanti quanti coloro che potranno essere occupati.
Chi sosterrà, lavorando e soprattutto pagando tasse e contributi, le pensioni, la sanità, l’assistenza, l’educazione? Si potrebbe pensare agli immigrati, ma su questo fronte è difficile fare previsioni. È possibile che da qui al 2050 arrivino in Italia 5 milioni di stranieri. Ma una previsione così a lungo termine è debole, perché non sappiamo come cambierà il mondo e, soprattutto, se un territorio in depopolamento sarà una meta ambita per gli stranieri più qualificati.
Nondimeno, essi sono contraddistinti da incertezza per la presenza di molteplici fattori (spinte migratorie nei Paesi di origine, attrattività del Paese sul piano economico-occupazionale, instabilità del quadro geopolitico internazionale caratterizzato da crisi belliche e dal potenziale innesco di periodi di recessione economica alternati a periodi di ripresa). L’analisi dei risultati a lungo termine - aggiunge l'Istat - deve pertanto corredarsi di grande cautela; sotto tale punto di vista è significativo che l’intervallo di confidenza al 90% del saldo migratorio netto con l’estero restituisca nel 2080 estremi che variano da -20mila a +349mila unità.
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Sfide per il Welfare e i Conti Pubblici
Lo scenario economico e fiscale che si prospetta è denso di incognite. Nella sua testimonianza alla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti della transizione demografica, il vice capo del dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, Andrea Brandolini, ha spiegato che qualora restassero invariati i tassi di occupazione e di produttività, l’inverno demografico potrebbe costare 9 punti di Pil da qui al 2050. In sostanza, riducendosi la base imponibile, la pressione sulle finanze pubbliche richiederà molta attenzione.
Secondo le più recenti previsioni della Ragioneria generale dello Stato la spesa sanitaria è destinata a crescere di un punto di Pil, per arrivare al 7,2% e stabilizzarsi. Quanto alla spesa pensionistica, questa toccherà il picco al 17% nel 2040 per poi cadere rapidamente al 16% nel 2050 e al 13,9% nel 2070. La sfida demografica obbligherà l’Italia, dunque, a concentrare l’attenzione politica sull’immigrazione, l’innalzamento dell’età pensionabile, la maggiore partecipazione al lavoro.
È giusto e necessario investire sulla natalità, anche se la bassa fecondità che interessa l’Italia da oltre trent’anni ha un po’ complicato le cose: oggi le donne tra i 15 e i 49 anni sono 11,5 milioni, nel 2050 si ridurranno a 9,1 milioni. Il calo delle potenziali mamme, cioè, ha assunto proporzioni tali che la tendenza di fondo della dinamica naturale della popolazione è ormai irreversibile: se anche tra 25 anni il tasso di fecondità risalisse dagli 1,18 figli di oggi a 1,59, i nati sarebbero comunque solo 500mila l’anno, a fronte di 800mila decessi.
Trasformazioni Familiari e Solitudine
Anche per le famiglie la trasformazione sarà significativa, nel senso di un assottigliamento della loro dimensione, ma pure di un infragilimento dovuto alla minore tenuta dei legami. Entro il 2050 i nuclei familiari aumenteranno di poco, a 26,8 milioni (+1%), però si tratterà sempre più spesso di single. Per fare un esempio, ogni dieci case, quattro saranno abitate da persone sole (41,1%), poco più di due da coppie con figli (21,4%), ancora due da coppie senza figli (21,2%), una da madri sole (9%, in aumento del 18%). Il resto da padri soli (3,1%) o coabitanti (3,2%).
In pratica coppie con figli e senza figli si equivarranno: le prime passeranno dai 7,6 milioni di oggi a soli 5,7 milioni, in calo del 24%, mentre le coppie no kids da 5,4 a 5,7 milioni, un aumento del 6%. La condizione della solitudine riguarderà soprattutto gli anziani: oggi gli over-65 che vivono da soli sono 4,6 milioni, nel 2050 diventeranno 6,5 milioni, e di questi 4,6 milioni avranno più di 75 anni.
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Tabella: Composizione Familiare Prevista nel 2050
Tipo di Nucleo Familiare | Percentuale nel 2050 |
---|---|
Persone sole | 41,1% |
Coppie con figli | 21,4% |
Coppie senza figli | 21,2% |
Madri sole | 9% |
Padri soli | 3,1% |
Coabitanti | 3,2% |
Il Ruolo delle Migrazioni
Da qui al 2050 l’Italia si trova di fronte a una sfida epocale. Nel prossimo decennio, è impensabile garantire un ricambio dei lavoratori italiani senza un intenso ricorso alle immigrazioni dall’estero, e senza porre freno alle emigrazioni di giovani dall’Italia. Al di là dei dibattiti di corto respiro, conviene adottare uno sguardo lungo, per comprendere qual è stato e intravedere quale sarà il posto delle migrazioni nel ricambio della popolazione italiana.
Le cause principali delle migrazioni sono di tipo economico, ossia lo squilibrio di ricchezza e di reddito fra zone di partenza e zone di arrivo. Quindi, se nella seconda metà del Novecento la demografia ha agito come push factor, spingendo gli italiani a emigrare, nella prima metà del nuovo secolo ha agito come pull factor, attraendo immigrati dall’estero. Lo squilibrio - già oggi ampio - lo sarà ancor di più nel prossimo decennio, quando i figli del baby boom (nati nel ventennio 1955-75) progressivamente se ne andranno in pensione. Nel 2030 in Italia, stando alle previsioni delle Nazioni Unite, vivranno 9,1 milioni di 60-69enni contro appena 5,8 milioni di 20-29enni.
Uno squilibrio del tutto diverso caratterizza il ricambio generazionale per i diplomati e i laureati. Cosa ci dicono questi dati per il prossimo decennio? L’attrazione migratoria resterà potente verso le persone disponibili ad occupare i posti a bassa qualifica lasciati scoperti dai neopensionati, posti che difficilmente troveranno candidati fra i giovani italiani. Infatti, i giovani residenti in Italia con basso titolo di studio sono e saranno molto pochi, mentre i nuovi diplomati e laureati saranno appena sufficienti per garantire il turn over dei neo pensionati con pari titolo di studio, in un quadro demografico generale dove i 20-29enni continueranno ad essere molti meno rispetto ai 60-69enni.
Da un lato, per non restare a corto di giovani lavoratori poco qualificati, è necessario diventare più attrattivi verso i lavoratori stranieri, che oggi preferiscono la Germania o altri paesi a nord delle Alpi, dove gli stipendi sono più alti e il welfare familiare è più generoso.
Il Dibattito sulla Sostituzione Etnica
È proprio così? Le numerose polemiche intervenute sui media in questi giorni lascerebbero pensare il contrario. I timori di essere invasi o addirittura sostituiti da popolazioni “altre” non sono certo una novità. Tale visione, che nasce negli Stati Uniti nel periodo delle grandi ondate migratorie transoceaniche dall’Europa, viene perpetuata attraverso una serie di saggi e romanzi distopici e trova nuova linfa nel nuovo millennio grazie al contributo del neonazista e negazionista austriaco Gerd Honsik, che nel 2005 propone il cosiddetto “Piano Kalergi”, secondo cui l’arrivo in massa di persone da fuori Europa di milioni di potenziali lavoratori a basso costo sarebbe il frutto di un piano segreto architettato dalle élite politiche ed economiche occidentali al fine di tenere bassi i salari e creare un meticciato debole e facilmente controllabile.
A sostenere questa visione vi è la paura che nasce dalle dinamiche demografiche a livello globale, che identificano modelli di crescita molto diversi tra Paesi occidentali e quelli di altre aree del mondo. L’Italia, con la sua posizione centrale all’interno del Mediterraneo, si trova a far da ponte tra il continente Europeo, con una crescita nulla o negativa come nel caso italiano, e quello africano, che presenta livelli di fecondità ancora elevati (4,3 figli per donna) e la cui popolazione risulta in netta crescita. Le proiezioni demografiche fornite dalla Nazioni Unite indicano, infatti, che nei prossimi vent’anni metà della crescita demografica del pianeta si concentrerà in Africa. Al 2050 ben un quarto della popolazione mondiale vivrà nel continente africano.
L’idea che la decrescita demografica vada combattuta solo favorendo le nascite e non con le migrazioni, al fine di evitare la sostituzione etnica, si basa su tre assunti poco verosimili. Il primo è che migrazioni internazionali e l’aumento delle nascite siano due strategie in competizione. Tuttavia non c’è alcun motivo per pensare che sia così. Se vogliamo incrementare la quota di popolazione giovanile in Italia abbiamo bisogno sia di facilitare le giovani coppie a realizzare i loro desideri di fecondità sia di accogliere migranti da altri Paesi, come anche la Banca Mondiale ha sottolineato di recente. Non solo perché attraverso la sola crescita del tasso di fecondità sarebbe comunque necessario aspettare due o tre decenni per poter avere nuova linfa nel mercato del lavoro. L’arrivo di giovani migranti, oltre a contribuire all’aumento delle nascite, risulta essere anche il modo più rapido per ribilanciare le carenze di lavoratori che stiamo osservando in questi anni e che si verificheranno in maniera sempre più intensa nei prossimi anni.
Il secondo assunto è che vi sia, costantemente, un desiderio insoddisfatto di arrivare in Italia. Di fatto, solo una piccola parte della migrazione internazionale dai Paesi africani si traduce in viaggi verso Europa: solo un quarto delle migrazioni internazionali in uscita da un Paese africano sono dirette verso l’Europa mentre più della metà è diretta verso un altro Paese africano. In Italia, i dati Istat ci mostrano che i cittadini di origine africana sono poco più di un milione, pari a circa un quinto della popolazione straniera e meno del 2% della popolazione totale. La tendenza non sembra proprio quindi quella di un’invasione.
Terzo aspetto, è l’idea che la popolazione italiana sia costituita da un unicum antropologico e culturale potenzialmente a rischio di poter essere sostituito da un altro gruppo altrettanto univocamente definito. Naturalmente anche la popolazione italiana è il frutto di continui e ripetuti rimescolamenti di genti provenienti da varie parti dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa. Dunque appare opportuno sottolineare che non vi è alcuna base scientifica relativamente a complotti o a tentativi di sostituzione. Inoltre, è vero che le migrazioni impongono delle trasformazioni del tessuto sociale che vanno a coinvolgere tanto la popolazione autoctona quanto quella immigrata in un processo di mutua trasformazione che produce esiti non affatto peggiori della situazione di partenza.
Politiche sull'Immigrazione
La disciplina dell’immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero sono contenute nel “Testo unico sull’immigrazione” (D. Lgs. 286/1998). Il documento programmatico, elaborato dal Governo ogni tre anni e sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti, analizza il fenomeno migratorio nel suo complesso, individua i criteri per la definizione dei flussi d’ingresso (ad esempio valutando la domanda di lavoro proveniente dalle imprese) e stabilisce le misure per l’integrazione degli stranieri regolari.
Il decreto sui flussi è invece lo strumento attuativo del documento programmatico, con cui il Governo stabilisce annualmente le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per ragioni di lavoro. L’ultimo decreto flussi (D.L. 20/2023) rappresenta una svolta in positivo: in deroga alla disciplina ordinaria, ha stabilito per la prima volta quote per il triennio 2023-2025 per un totale di: i) 136.000 unità (cumulando lavoratori stagionali e non) per l'anno 2023; ii) 151.000 unità per l'anno 2024; iii) 165.000 unità per l'anno 2025.
Uno dei probabili motivi per la mancata emanazione di decreti flussi ordinari è stata la difficoltà nel controllo dell’immigrazione irregolare e le tensioni sociali che nascono da questo fenomeno. Negli ultimi anni, la migrazione irregolare ha assunto un peso crescente: secondo i dati del Ministero dell’Interno, negli ultimi 10 anni, sono stati registrati più di un milione di ingressi irregolari. Di conseguenza, pur a fronte di una significativa riduzione delle quote previste dai decreti flussi, la popolazione straniera residente in Italia è comunque cresciuta dal 2000 a oggi.