Come Funziona la Regolarizzazione degli Stranieri in Italia
La regolarizzazione è un provvedimento legislativo straordinario che deroga alle regole che disciplinano ordinariamente ingresso e soggiorno in Italia delle persone straniere, consentendo il rilascio di un permesso di soggiorno per lavoro a coloro che, già presenti sul territorio nazionale, ne siano privi. Per comprenderne la portata, occorre precisare, sinteticamente, che l’ingresso in Italia è ammesso solo a fronte di specifico visto, per uno dei motivi indicati dalla legge (lavoro, famiglia, studio, affari, motivi religiosi, salute, turismo per i Paesi per i quali è previsto ecc.,), per ognuno dei quali vi sono precise condizioni indicate dalla legge e solo a seguito di un ingresso regolare la persona straniera ha diritto ad avere il permesso di soggiorno per il motivo per il quale è stato rilasciato il visto. Nello specifico, il visto per lavoro, è rilasciato a fronte di autorizzazione, a seguito di richiesta inoltrata dal datore di lavoro in Italia a favore di un lavoratore residente nel Paese di origine, che può essere presentata solo se il Governo emana il decreto flussi annuale (art. 3 TU immigrazione d.lgs.
La Regolarizzazione del 2020
Nel 2020 il Governo ha varato una legge per regolarizzare le persone straniere che si trovavano irregolarmente sul territorio italiano. La regolarizzazione 2020, introdotta con l’art. 103 D.L. n. 34/2020, è la nona emanata dallo Stato italiano a partire dal 1979. Fino al 1986 la “sanatoria” (come veniva chiamata all’epoca e talora anche oggi) dei lavoratori stranieri privi di autorizzazione al soggiorno è stata attuata attraverso circolari amministrative, mentre la prima legge con cui si è cominciato a disciplinare la condizione giuridica del cittadino straniero è stata la n. 943 del 1986, che ha introdotto anche la prima grande regolarizzazione, consentendo il rilascio del permesso di soggiorno a 105.000 persone straniere che già lavoravano in Italia ma la cui presenza non era legittimata da uno specifico titolo.
Pur auspicato, questo provvedimento conteneva diversi limiti insuperabili per coloro che si trovavano senza documenti validi o troppo precari per soggiornare con dignità sul territorio italiano, rischiando di escludere dalla sua applicazione migliaia di persone straniere che vivevano con noi nelle comunità territoriali. Va ricordato, infatti, che non esiste un visto per ricerca lavoro, originariamente previsto dal TU d.lgs. 286/98 ma abrogato, nel 2002, dalla legge n. 189/2002, cd.
La ragione della necessità di ricorrere alle periodiche regolarizzazioni - fenomeno per gran parte italiano - è oramai chiara: il sistema della decretazione dei flussi, con l’incontro a distanza tra offerta e domanda di manodopera e l’assenza, di fatto, da ormai un decennio di una vera e propria programmazione destinata al lavoro subordinato ordinario (e non solo a quello stagionale, che mantiene, invece, una costante emanazione) da un lato impediscono alla persona straniera di entrare in Italia esplicitamente per cercare lavoro, dall’altra impongono, inevitabilmente, di entrare irregolarmente o con visti temporanei, protraendo poi la presenza senza titolo avendo trovato un’occupazione lavorativa, senza però potere avere, in ragione di essa, un permesso di soggiorno. Questo irrazionale e inefficace meccanismo si accompagna alla mancanza, nella legislazione italiana, della possibilità di acquisire un permesso di soggiorno per lavoro a fronte di una concreta opportunità occupazionale o dimostrando una risalente presenza sul territorio nazionale, e l’unica possibilità di cambiare la propria condizione, da irregolare a regolarmente soggiornante, passa attraverso il diritto all’unità familiare. Solo chi ha legami familiari, peraltro circoscritti al coniuge ed ai figli minori, può infatti acquisire un permesso di soggiorno anche se entrato in assenza di visto e/o di specifica autorizzazione.
Le Regolarizzazioni Precedenti
Tra tutte quelle emanate, la sanatoria del 2002, disposta dalla legge 189/2002 (cd. Bossi-Fini), ha avuto numeri importanti, la più ampia mai intervenuta, regolarizzando circa 650.000 stranieri (a fronte di un numero ancora più alto di domande) e questo può far pensare ad un fallimento della allora giovane legge Turco-Napolitano del 1998 n. 40, trasfusa poco dopo nel TU immigrazione d.lgs. Tuttavia, l’entità dei numeri ha ragioni diverse, che vanno comprese, perché se nell’ultimo decennio si è assistito ad un sostanziale blocco degli ingressi per effetto degli inesistenti decreti flussi, dal 1998 al 2002 essi erano stati invece emanati, ma evidentemente assorbivano solo una parte delle esigenze del mercato del lavoro, all’epoca in piena espansione a differenza di oggi. Se una critica va fatta al legislatore pre-2002 riguarda, dunque, l’estrema timidezza nella decretazione dei flussi, con numeri ben inferiori a quelli del fabbisogno nazionale, nonché l’esiguità della decretazione di visti d’ingresso per ricerca di lavoro, prevista dall’originario art. 23 del TU 286/98, che poteva e doveva impedire il prodursi della irregolarità.
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Un ulteriore elemento di differenziazione tra ieri e oggi riguarda la trasformazione della migrazione nell’ultimo decennio, determinata non solo dalle incongruenze normative dianzi indicate (da sempre una costante nella politica legislativa italiana) ma anche dagli sconvolgimenti politico-sociali e climatici che hanno attraversato molte aree del mondo, dall’Africa all’Asia all’America latina, inducendo un diverso movimento migratorio, dal sud al nord del mondo, alla ricerca di sicurezza sotto tutti i profili. L’impossibilità di arrestare la migrazione che, a metà del decennio che si sta concludendo, ha indotto un imponente aumento di arrivi in Europa, le sempre più complesse ragioni dei movimenti e l’incapacità delle istituzioni pubbliche di capirne le trasformazioni, hanno fatto confluire i nuovi arrivi unicamente nel sistema della protezione internazionale, diventato in Europa e ancor più in Italia l’unico canale di ingresso che, pur irregolare, non consente, formalmente, l’immediato rimpatrio ma obbliga a esaminare la domanda di protezione internazionale.
Questo sistema, via via, si è sempre più caratterizzato da un approccio politico anziché giuridico, fino alla decretazione d’urgenza del 2018 che ha eliminato la protezione umanitaria (D.L. n. 113/2018 cd. Non è questa la sede per entrare nel merito di tale sistema e dei drammatici effetti prodotti sulle persone, ma si vuole evidenziare che il numero delle persone straniere prive di permesso di soggiorno è aumentato negli ultimi anni anche per effetto dello stravolgimento del sistema asilo e delle riforme del 2018, così come della riforma del 2017 (D.L. n. 13/2017 cd.
Luci ed Ombre dell’art. 103 D.L. n. 34/2020
A fronte delle stime sulla irregolarità delle persone straniere presenti in Italia e per effetto anche dell’emergenza pandemica da Covid-19 dell’anno in corso (che ha reso visibile all’opinione pubblica le disumane condizioni di molti lavoratori e lavoratrici in nero o irregolari), dopo otto anni dall’ultima sanatoria del 2012 dell’allora governo Monti, nel maggio 2020 il governo si è determinato, all’interno del più ampio decreto legge n. 34/2020 (cd. decreto rilancio), a emanare una disposizione di regolarizzazione delle persone straniere (art. L’art. 103 D.L. 34/2020 ha previsto tre ipotesi di regolarizzazione: 1-2) l’emersione del lavoro irregolare (anche di cittadini italiani, oltre che stranieri) o una nuova proposta di contratto di lavoro, in uno dei tre settori della reglarizzazione, in entrambi i casi da presentarsi a cura del datore di lavoro (comma 1); oppure 3) la richiesta, presentata direttamente dallo straniero, di rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo, di durata semestrale, entro cui, se reperita attività lavorativa in uno dei tre settori individuati dall’art. 103, viene convertito in permesso per lavoro ordinario (commi 2 e 4).
Pur rimanendo all’interno della medesima logica legislativa e di un’inadeguata politica migratoria, l’attuale regolarizzazione, in tutte le tre ipotesi, si differenzia dai precedenti provvedimenti straordinari per un profilo non da poco. Essa, infatti, è destinata non solo agli irregolari, cioè a coloro che erano privi di permesso di soggiorno all’8 marzo 2020, ma anche e soprattutto a chi aveva un permesso giuridicamente “debole”, caratterizzato cioè da temporaneità e non convertibile in permesso per lavoro (permessi per richiesta asilo, per protezione speciale, per protezione umanitaria difficilmente convertibile in lavoro dopo la riforma del primo decreto-sicurezza D.L. n. 113/2018, per assistenza minore ex art. 31, co. Questa estensione alle persone straniere regolari deriva dalla stessa lettura della norma, che non parla mai di irregolarità, ma ha trovato conferma anche nelle FAQ del Ministero dell’interno, tra le quali la n. 14, in cui si afferma che “Il datore di lavoro può presentare istanza di regolarizzazione a favore di un cittadino straniero presente sul territorio nazionale, prima dell’8 marzo.
La platea dei potenziali destinatari, dunque, è/era astrattamente più ampia di tutte le precedenti regolarizzazioni e poteva avere l’effetto di alleggerire la rigidità del diritto dell’immigrazione italiano, in quanto le caratteristiche dell’art. Certo, invertire davvero la logica doveva escludere la ‘mediazione’ dei datori di lavoro, riconoscendo il diritto dello/a straniero/a ad avere un permesso di soggiorno a fronte della dimostrazione di un rapporto di lavoro in corso oppure per cercare un’occupazione lavorativa, come richiesto da migliaia tra persone e realtà associative, tra cui la proponente ASGI. Così non è stato, pur se, come detto, la regolarizzazione di cui all’art. 103 D.L. n. 34/2020 poteva avere notevoli potenzialità.
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Non si sa, oggi, quante di quelle domande avranno un esito positivo. Non si intende definire fallimentare l’iniziativa legislativa del 2020, tesa a far emergere situazioni di vulnerabilità e fragilità (impensabile con una differente compagine governativa), visto che comunque varie migliaia di persone straniere potranno stabilizzare la propria condizione giuridica, ma non si può nemmeno affermare che sia stato un risultato positivo, né che abbia risposto alle premesse che la norma stessa intendeva perseguire: fare emergere il lavoro in nero, rendere le condizioni dei lavoratori, soprattutto agricoli, più umane e stabilizzare coloro che comunque da tempo vivono nella comunità nazionale.
Per meglio comprendere la regolarizzazione 2020, oltre alle caratteristiche generali sopra ricordate (emersione dal lavoro nero, impegno alla stipula di un nuovo contratto di lavoro o richiesta di permesso semestrale), va subito evidenziato il primo grande limite dell’art. 103 D.L. Non c’è una ragione logica che giustifichi detta limitazione, se si considera che in molti altri ambiti produttivi vi è una forte presenza di lavoratori e lavoratrici stranieri/e, come ad esempio in edilizia, nella logistica, nell’industria, nel terziario, ecc.
Nell’ultimo Rapporto sull’occupazione straniera, pubblicato dal Ministero del lavoro nel luglio 2020, si legge che “I settori che occupano più stranieri in Italia sono Altri servizi collettivi e personali (642 mila), Industria in senso stretto (466 mila), Alberghi e ristoranti (263 mila), Commercio (260 mila) e Costruzioni (235 mila). Interessante è anche la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva.
Infine, la già richiamata analisi INPS sulle regolarizzazioni, della Direzione Centrale Studi e Ricerche (DCSR), Regolarizzazione migranti 2020: stime e previsioni dalle analisi delle precedenti regolarizzazioni in Italia, ipotizza che “Se, ad esempio, si assume che il rapporto tra lavoratori irregolari immigrati e autoctoni sia simile a quello del mercato formale, e cioè circa 1 a 10, allora vi saranno circa 330,000 lavoratori irregolari migranti e poco più di un terzo di questi dovrebbe essere impiegato nei settori interessati dalla sanatoria 2020; se tutti costoro rispondessero alla misura potremmo raggiungere un livello massimo di 110mila domande.” Il che significa, però, che due terzi dei lavoratori stranieri con rapporto di lavoro irregolare rimangono fuori dai tre settori individuati dall’art. 103 D.L. Dati che, messi in relazione alla (astrattamente) ampia possibilità dell’art. 103 di regolarizzare, soprattutto a fronte di una nuova proposta di lavoro, dovevano indurre a estendere a tutti i settori produttivi il provvedimento legislativo straordinario. Infatti, se quelli indicati dai Rapporti sono i settori nei quali maggiore è l’occupazione straniera, è in essi che si nascondono verosimilmente anche i rapporti in nero e/o nei quali si fa largo uso di contratti precari e sono indubbiamente quelli nei quali sono impiegate molte persone straniere titolari di permessi di soggiorno ‘fragili’.
Chi da anni si occupa di immigrazione ed ha seguito anche questa ennesima regolarizzazione sa bene che la gran parte dei lavori domestici oggetto delle domande non corrisponde alla effettiva volontà di svolgere quel lavoro e sa altrettanto bene che moltissimi contratti o proposte di contratto sono stati ottenuti a fronte del pagamento di elevate somme di denaro. Del resto, le nazionalità dei lavoratori per i quali è stata presentata la domanda non corrispondono a quelle che statisticamente risultano impiegate nel settore domestico e di assistenza alla persona.
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Come accennato, un ulteriore effetto dell’irragionevole ed illogica limitazione ai tre settori produttivi, previsti dall’art. 103 DL n. 34/2020 (anche con gli ampliamenti merceologici delle attività connesse, indicati dal D.M. 27.5.2020), ha riguardato la compravendita dei contratti (una costante, invero, in tutte le sanatorie), soprattutto nel settore domestico. Non si vuole sostenere che siano contratti falsi, l’esperienza ci insegna che non è così, ma porre l’attenzione al fatto che in moltissimi casi è stato necessario pagare la disponibilità di un datore di lavoro a fare la proposta di regolarizzazione, essendo troppo importante l’obiettivo di stabilizzare la propria condizione e troppo poco il tempo a disposizione per trovare un lavoro in quello specifico settore, tradizionalmente a composizione prevalentemente femminile e che presuppone una particolare relazione di fiducia tra lavoratore/lavoratrice e datore di lavoro.
La compravendita dei contratti ha riguardato sia coloro che versavano in stato di disoccupazione, sia coloro che un lavoro regolare l’avevano ma in un settore non contemplato dall’art. 103, i quali tutti avevano necessità di trasformare il proprio permesso fragile in uno stabile, cioè per lavoro. Non va ignorato, per converso, che in alcune realtà territoriali si sono create vere e proprie reti di solidarietà sociale, che hanno consentito di individuare datori di lavoro disponibili a fare la nuova proposta di lavoro, soprattutto nel settore domestico, accollandosi l’onere economico, al fine di dare stabilità alle persone e di superare, nei fatti, l’irrazionalità della limitazione ai 3 settori posta dall’art.
Dato che va raffrontato con le stime circolate prima dell’emanazione del provvedimento, secondo le quali quest’anno la filiera agricola era in sofferenza di circa 200.000 lavoratori, prevalentemente stranieri, anche a causa della pandemia in atto che ha bloccato la circolazione dei tradizionali lavoratori stagionali.
Richiedenti Asilo e Regolarizzazione
La novità che, in generale, differenzia la regolarizzazione in esame rispetto alle precedenti è di non essere stata riservata esclusivamente agli stranieri privi di permesso di soggiorno, riguardando anche altre fattispecie, nelle quali la persona straniera aveva comunque un permesso di soggiorno ma non convertibile in lavoro. In nessuna parte dell’art. 103 si parla, infatti, d’irregolarità di soggiorno, ciò che è confermato nelle stesse FAQ pubblicate dal Ministero dell’interno.
Poiché il legislatore dell’art. 103, co. 2 D.L. La questione si è posta, tuttavia, con particolare riguardo ai richiedenti asilo, nonostante lo stesso Ministero abbia precisato che “Per richiedere il permesso di soggiorno per lavoro a seguito della procedura di regolarizzazione, il cittadino straniero non è tenuto a rinunciare alla richiesta di protezione internazionale. Nel caso in cui, dopo l’ottenimento del permesso di soggiorno, il lavoratore si veda riconosciuta anche la protezione internazionale dovrà optare per uno dei due titoli.” (FAQ n. Ministero che, tuttavia, ha operato un’illegittima differenziazione, in quanto con la Circolare prot. 44360 del 19.6.2020 ha ritenuto d’interpretare l’art. 103, co. 2 escludendo i richiedenti asilo a meno che non rinuncino alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale. Ciò sull’errato presupposto secondo cui “il requisito essenziale stabilito dalla norma per la definizione della procedura di regolarizzazione di cui al c. 2 è lo stato di irregolarità sul territorio nazionale dello straniero” e poiché il richiedente asilo non può mai versare in detta condizione, essendo autorizzato a soggiornare in Italia ai sensi dell’art. 7 d.lgs. 25/2008, va escluso dalla regolarizzazione se non rinuncia alla protezione internazionale.
Con successiva circolare prot. Interpretazione totalmente illegittima, poiché pretende detta rinuncia solo per coloro che accedono al comma 2, mentre ammette la coesistenza delle due procedure (di protezione internazionale e di regolarizzazione) per coloro che accedono al comma 13. L’asilo politico/protezione internazionale è un diritto in sé, che preesiste al suo riconoscimento e riguarda una condizione soggettiva che origina già al momento della partenza dal Paese e, in presenza di determinati elementi (persecuzione o danno grave), pone la persona sotto la protezione dello Stato italiano con abbandono di quella del Paese di origine (Cass. SU 907/99; SU 19393/2009; SU 5059/2017; SU 29460/2019; Cass. 4455/2018, ecc.).
Per contro, la regolarizzazione riguarda una condizione giuridica di un cittadino straniero che, avendo determinati requisiti soggettivi e oggettivi, aspira ad avere un permesso di soggiorno per lavoro, che potrà essere conservato in futuro nel rispetto delle regole ordinarie previste dal TU immigrazione d.lgs. 286/98. Aspirazione che non sottende un diritto preesistente, ma una mera (legittima) aspettativa al rilascio del permesso se integrati i requisiti di legge ed è solo nel momento in cui questi sono positivamente accertati che si costituisce il diritto al soggiorno per motivi di lavoro, prima inesistente.
Infine, l’interpretazione ministeriale è errata perché pretende la rinuncia all’asilo prima che la persona interessata abbia la certezza di ottenere il permesso per lavoro da regolarizzazione, cioè prima che siano verificati tutti gli elementi per averlo (idoneità del lavoro svolto, permesso scaduto dopo il 31 ottobre 2019, reperimento di un lavoro nei 3 settori prima del decorso dei 6 mesi).
È utile richiamare la giurisprudenza che si sta formando sul punto, che esclude, sia pur in sede cautelare, la legittimità di provvedimenti d’inammissibilità in relazione a domande di regolarizzazione presentate da richiedenti asilo ai sensi del comma 2 dell’art. 103 D.L. 34/2020 (TAR Marche ord. n. 274/2020 e n. Anche la giurisprudenza di merito ha censurato, di fatto, l’interpretazione ministeriale. Il Tribunale di Firenze, infatti, con ordinanza 18 novembre 2020 ha affrontato il rapporto tra la domanda di regolarizzazione ai sensi dell’art. 103, co. 2 D.L. n. 34/2020 e la rinuncia alla domanda d’asilo, in un caso in cui la richiedente asilo aveva dovuto sottoscrivere la rinuncia, come preteso dal Ministero dell’interno, ai fini dell’ammissibilità della istanza di regolarizzazione. Dopo avere chiesto determinate garanzie processuali (procura speciale del difensore) il Giudice fiorentino ha disposto la comparizione della richiedente, che ha confermato la volontà di rinunciare alla domanda di protezione internazionale ma a condizione di ottenere il permesso ex art. 103, co. 2 D.L. 34/2020.
E’ utile ricordare che già l’art. 1 D.L. 416/89 (conv. con mod in legge 39/90), al comma 11 stabiliva che ” I richiedenti asilo che hanno fatto ricorso alle disposizioni previste per la sanatoria dei lavoratori immigrati non perdono il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato. Si segnala anche l’interessante ordinanza cautelare del Consiglio di Stato sez. III, n. 1905/2021 (RG. 2064/2021) che, in sede di impugnazione di un provvedimento di rigetto della regolarizzazione ex art. 103, co. 2 D.L. 34/2020 per mancanza di rinuncia alla domanda di protezione internazionale, pur ritenendo che «la questione relativa al rapporto tra i diversi titoli ha formato oggetto di contenzioso e richiede un giusto approfondimento nella appropriata sede del merito», ha concesso la cd. Più esplicita è la sentenza n. 739/2021 (RG. 519/2021) del TAR Piemonte che ha annullato un provvedimento di inammissibilità della domanda di regolarizzazione ex art. 103, co. 2 D.L. 34/2020 motivata sul difetto di rinuncia alla domanda di protezione internazionale.
Secondo il TAR piemontese c’è un difetto di coordinamento legislativo tra la procedura relativa alla regolarizzazione e quella della protezione internazionale, anche se notoriamente molti richiedenti asilo lavorano nel settore agricolo, cioè uno di quelli inrteressati dal D.L. Inoltre, il TAR Piemonte afferma che l’art. 103, co. 2 D.L. Il TAR Piemonte si è nuovamente pronunciato sul punto con la ordinanza n. 582/2021 accogliendo la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato e ritenendo che la circolare del 24 luglio 2020 (che aveva riconosciuto l’ammissibilità della convivenza tra la procedura di riconoscimento della protezione internazionale e quella di regolarizzazione comma 1) abbia il medesimo “orizzonte teleologico” rispetto alle fattispecie di cui al comma 2.
Iniziative e Ritardi
Nel 2022, a fronte dei ritardi accumulati con migliaia di persone ancora prive di un permesso, assieme ad altre associazioni, ASGI ha avviato una raccolta di casi per avviare una class action contro i ritardi del Ministero dell’Interno e le prefetture. A settembre 2024 il Consiglio di Stato, con la sentenza del 20 settembre 2024, n. 7704, ha accolto, per la prima volta in materia di immigrazione, l’azione collettiva (class action) contro la Pubblica amministrazione (in particolare la Prefettura di Milano) per i gravi e sistematici ritardi nella definizione della procedura di emersione ex art.103 d.l. n. 34/2020, conv. in l. n. Nel 2024 non sono conclusi ancora i procedimenti riguardanti quanti hanno presentato la domanda di regolarizzazione nel 2020.
Fin dalla nascita del governo Conte II, il tema delle regolarizzazioni dei migranti irregolari e la necessità di superamento del sistema dei flussi rientra nell’agenda politica in quanto viene da più parti riconosciuto che le politiche sin lì attuate hanno sostanzialmente prodotto più di mezzo milione di irregolari, avendo precluso qualsiasi possibilità di regolarizzazione.
Dati e Statistiche
Report finale Ministero dell’Interno. Si è conclusa la procedura di emersione dei rapporti di lavoro, avviata lo scorso 1 giugno ai sensi dell’articolo 103, comma 1, del decreto legge n. 34 del 19 maggio 2020, che ha riguardato i settori dell’agricoltura, del lavoro domestico e dell’assistenza alla persona. Il totale delle domande ricevute dal portale del Ministero dell’Interno ammonta a 207.542.
Ogni giorno, dal 1º giugno, sono state presentate dai datori di lavoro al portale del ministero dell’Interno oltre 2.650 domande di regolarizzazione dei rapporti di lavoro nell’ambito della procedura di emersione prevista dall’articolo 103, comma 1, del decreto legge n.34 del 19 maggio 2020 per i settori dell’agricoltura, del lavoro domestico e di assistenza alla persona.
Settore | Domande Presentate |
---|---|
Agricoltura | Dato non disponibile |
Lavoro Domestico | Dato non disponibile |
Assistenza alla Persona | Dato non disponibile |
Totale | 207.542 |
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