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Stranieri in Belgio: Statistiche e Integrazione

Il Belgio, crocevia di culture e lingue, ospita una popolazione diversificata, con una significativa presenza di cittadini stranieri e persone di origine straniera. Questo articolo esplora le statistiche relative agli stranieri in Belgio, con un focus particolare sull'integrazione a Bruxelles e sull'esempio virtuoso di Mechelen. Esamineremo anche la storia e l'integrazione della comunità italiana in Belgio.

La Diversità di Bruxelles

Bruxelles, capitale belga e sede di importanti istituzioni europee, è un esempio di multiculturalismo. Come lei, nella capitale belga vivono 270mila cittadini di altri Paesi dell’Ue o del Regno Unito, il 22% del totale. Secondo gli ultimi dati dell’istituto nazionale di statistica, la regione bruxellese conta più di un terzo di residenti non autoctoni: oltre 432mila su un totale di un milione e 220mila abitanti.

A questo 35,4% di passaporti stranieri si aggiunge un 39,5% di persone con almeno un genitore di un’altra nazionalità: i “belgi figli di belgi”, dunque, sono soltanto un quarto della popolazione complessiva a Bruxelles, mentre a livello nazionale rappresentano il 67,3%.

«L’inglese è di fatto la terza lingua, anche perché francofoni e neerlandofoni già la utilizzano per comunicare tra loro», spiega la dottoressa Catherine Xhardez dell’Università di Bruxelles (Ulb), esperta di immigrazione e integrazione nella città.

Le diverse “anime” di Bruxelles si incrociano nel centro storico. Negli altri comuni, pur non omogenei dal punto di vista etnico e soggetti a continui mutamenti demografici, c’è spesso una comunità prevalente, come i marocchini a Molenbeek o i turchi a Schaerbeek. Esistono, poi, zone ricche e “bianche” e le due cose vanno sempre di pari passo.

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Così come nel resto del Paese, anche a Bruxelles la nazionalità di provenienza ha un peso non indifferente nel determinare l’esito dell’integrazione. Lo dimostrano dati come quello relativo al tasso di occupazione dei cittadini esteri, frutto di una recente indagine di StatBel: 72,6% per cento per gli europei; 45,7% per tutti gli altri.

Integrazione: Sfide e Percorsi

La Vallonia e le Fiandre, le altre due regioni in cui è suddiviso il Belgio, richiedono ai cittadini non europei che vi si trasferiscono di frequentare un «percorso di integrazione». A Bruxelles, però, le comunità etno-linguistiche sono due e ognuna ha sviluppato il suo percorso d’inserimento, in modo potenzialmente concorrenziale. Il dualismo non riguarda solo l’offerta integrativa, ma tutta la dimensione culturale ed educativa della città, dalle scuole agli spettacoli teatrali, che inevitabilmente privilegiano uno o l’altro idioma.

In tanti, alla fine, preferiscono puntare sull’inglese o in alcuni casi continuano a parlare in prevalenza la propria lingua d’origine.

Sans-papiers: Una Realtà Difficile

Le difficoltà si moltiplicano quando ad affrontarle sono i cosiddetti sans-papiers, cittadini stranieri che non dispongono di un valido titolo di soggiorno per restare in Belgio. Secondo le stime, necessariamente poco accurate, sono tra gli 80 e i 150mila sul territorio nazionale.

«È l’ultima carta che abbiamo da giocarci. Se ci fosse un altro modo di essere regolarizzati, non saremmo qui», spiega risoluto Tarik Chaoui, portavoce dell’Unione dei sans-papiers per la regolarizzazione (Uspr).

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Il problema è che la legislazione belga non stabilisce criteri chiari per la regolarizzazione di stranieri già presenti sul territorio. L’articolo 9bis della legge del 15 dicembre 1980 prevede «circostanze eccezionali» per autorizzare la residenza, ma delinea solo la procedura e non i parametri da seguire: in pratica l’Ufficio per gli Stranieri fa una valutazione caso per caso, basata sulle caratteristiche di ogni dossier. Conoscenza delle lingue, anni trascorsi nel Paese e livello di integrazione giocano a favore del richiedente.

I veri ostacoli a un’apertura verso i residenti irregolari sono però l’architettura istituzionale del Belgio e il suo panorama politico. Il permesso di soggiorno viene infatti rilasciato dalle autorità federali, mentre quello di lavoro dalle autorità regionali.

Senza permesso di soggiorno, non hanno la possibilità di affittare casa con contratto regolare o ricevere prestazioni mediche che non siano urgenti. Per la volontaria, si tratta di «persone praticamente invisibili per lo Stato» e pur facendo parte da anni della società belga, restano ostaggio di una narrativa che li vede come corpi estranei.

Mechelen: Un Modello di Integrazione

Mechelen è un esempio straordinario di inclusione sociale e culturale, realizzato grazie ad amministratori locali illuminati che hanno saputo coniugare iniziative concrete di integrazione con una comunicazione strategica e integrata.

Con il progetto IncluCities, al quale partecipano AICCRE ed il Comune di Capaci, otto città europee e associazioni dei governi locali stanno unendo le loro forze per migliorare l’integrazione dei migranti. Pensate, nella città belga convivono 136 nazionalità e si parlano 69 lingue diverse!

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Il sindaco ha incentivato il trasferimento delle persone più giovani e all’inizio della propria carriera lavorativa in aree più periferiche della città, tradizionalmente abitate da persone immigrate, facendo però in modo che non si verificasse la cosiddetta “gentrificazione”.

Un altro aspetto strategico ed intelligente usato dal sindaco è stato quello di rafforzare le forze di polizia, ma integrandola nel tessuto civile e sociale della città, anziché dispiegarla con un approccio di tipo securitario.

Somers ritiene che il concetto didattico di “incentivi e richieste” possa essere applicato anche alla convivenza sociale. Un luogo in cui si stanno concentrandogli sforzi per l’inclusione è la scuola professionale di Busleyden. L’ottanta per cento degli studenti ha un background immigrato.

Inoltre, il primo giorno a ogni rifugiato viene assegnato un “compagno” che lo aiuta a prendere confidenza con il nuovo ambiente.

Somers ha ridotto i costi del personale nel bilancio comunale dal 65 al 39 per cento, in parte attraverso licenziamenti. Ma l’investimento sta dando i suoi frutti. Questa ripresa sta contribuendo al fatto che sempre più famiglie ad alto reddito si trasferiscono a Mechelen e il gettito fiscale sta avendo un effetto notevole sulle casse della città.

Nella cittadina belga c’è un programma per cui a ogni persona immigrata in città viene affiancato un abitante locale (scelto da una lista di volontari che si rendono disponibili a farlo): firmando un contratto, le due persone si impegnano a incontrarsi una volta a settimana per sei mesi, in modo che la persona appena arrivata abbia modo di fare pratica con la lingua, di sperimentare lo stile di vita locale assieme a una persona del luogo, oppure di ricevere aiuto per questioni più pratiche.

Altri provvedimenti hanno invece garantito che ci fosse una certa eterogeneità all’interno delle scuole, abituando quindi i bambini e le bambine alla coesistenza con costumi e apparenze diverse. Insomma, la tolleranza nasce da una mescolanza sociale pensata e ragionata.

La Comunità Italiana in Belgio: Storia e Integrazione

Il forte legame tra Belgio e Italia ha origine dal consistente flusso migratorio verificatosi in particolare nel secondo dopoguerra, che ha fatto degli italiani la più cospicua comunità immigrata in territorio belga.

La presenza italiana in Belgio, priva fino alla Grande guerra di reale consistenza in rapporto alla popolazione locale, è strettamente legata all’industria estrattiva del carbone; se i primi accordi commerciali risalgono al 1922, il vero momento chiave è il 1946, anno in cui, il 20 giugno, si firmava il protocollo d’intesa italo-belga che stabiliva, in cambio di 2.000 giovani in buona salute a settimana da inviare nelle miniere, la fornitura mensile allo Stato italiano - a prezzo calmierato - di 2.500 tonnellate di carbone ogni 1.000 operai inviati.

La propaganda fu capillare: in tutta la penisola comparvero i manifesti rosa della Fédéchar (Fédération charbonnière de Belgique), che recitavano «Operai italiani / Condizioni particolarmente vantaggiose vi sono offerte per il lavoro sotterraneo nelle / Miniere belghe», elencandone i benefici (salari, vantaggi sociali, alloggi economici).

Il personaggio-Rossetti, di origine veneta, è rappresentativo del primo periodo dell’ondata migratoria, quando il patronato carbonifero belga riteneva i lavoratori del norditalia, per la più lunga esperienza di industrializzazione di quel territorio, migliori candidati rispetto ai lavoratori meridionali, perché più assidui, più disciplinati, meglio preparati, meglio integrabili nella comunità locale.

Tale tendenza si invertì intorno alla metà degli anni Cinquanta, quando l’immigrazione dall’Italia meridionale e insulare superò quella del resto della penisola, tanto che a oggi la comunità italiana in Belgio è composta soprattutto da siciliani, cui seguono pugliesi, abruzzesi, campani, e infine veneti.

Da più parti è ribadito anche il disinteresse, sempre da parte delle autorità belghe, verso una qualsivoglia forma di preparazione al lavoro in miniera, alle sue condizioni e ai suoi rischi.

La maggior parte delle miniere imponeva condizioni di lavoro estremamente gravose, in quanto le vene di carbone erano di basso spessore e a grande profondità; per raggiungerle erano necessarie gallerie sovente soggette a crolli e a fughe di grisou, il gas che si sprigiona dai filoni di carbone.

La situazione economica della Vallonia, la regione con maggior concentrazione di miniere - e di italiani - si trovò purtroppo prestissimo, a partire già dalla fine degli anni Quaranta, all’interno di una congiuntura negativa.

Per evitare soggetti politicizzati e quindi potenzialmente perturbatori, gli intermediari delle autorità belghe per l’immigrazione che operavano direttamente in Italia avevano dato la preferenza, al fine di assicurarsi una manodopera affidabile e di modeste pretese, al reclutamento dalle zone rurali attraverso la mediazione delle reti parrocchiali e delle opere vaticane.

Intorno alla casa si ricrea la campagna conosciuta, con l’orto, gli animali, e si dà inizio a quella che viene definita da Flavia Cumuli con una felice espressione la conquête du paysage.

E sarà proprio la casa, spesso frutto di un cospicuo investimento, che determinò la tendenza degli italiani a rimanere nella zona di arrivo, in particolare nella regione della Vallonia, rinunciando al ritorno in patria.

Ai tempi della Prima guerra mondiale, nonostante il suo regime di neutralità, e una strenua resistenza guidata dallo stesso re, il Belgio fu occupato dai tedeschi. Di ciò si tenne conto nella conferenza di pace al termine del conflitto, che aggiunse alla colonia del Congo anche una parte dell’Africa Orientale Tedesca.

La complessa architettura istituzionale non valse a superare gli aspri confronti di natura economica, linguistica e politica tra i partiti tradizionali e i nuovi partiti su base linguistica e territoriale.

Gli obiettivi raggiunti dal Belgio in questa materia, tutt’altro che facili, hanno comportato un notevole impegno per il superamento di non pochi ostacoli. La difficoltà del percorso appare evidente quando si fa riferimento alla fase iniziale, in cui la posizione fu dura nei confronti degli immigrati, la cui presenza era ritenuta accettabile solo temporaneamente e unicamente per motivi di lavoro, senza alcuna apertura a una convivenza stabile.

Giovani di Origine Marocchina: Sfide Attuali

I giovani di origine marocchina residenti in Belgio, sono di fronte ad una nuova svolta dopo i pericolosi attacchi terroristici che hanno colpito recentemente Parigi e Bruxelles.

Gli immigrati di terza generazione soffrono di problemi seri, che influenzano il loro presente e il futuro che vogliono per sé stessi e per il loro ambiente familiare e sociale. Si tratta di problemi che riguardano la stigmatizzazione sociale, l’esclusione sociale, l’estremismo religioso, la rottura identitaria, il fallimento scolastico. È una categoria di giovani che vive nelle periferie delle città belghe, è nata e/o cresciuta e ha studiato in Belgio; la maggior parte di loro non è riuscita a condurre a buon fine il proprio percorso scolastico - sono giovani disoccupati ed insicuri.

In assenza di coerenza identitaria, i membri di questa categoria vivono in gruppi disgregati ed isolati culturalmente sia dalla società che dalla cultura dei loro genitori. Spesso vengono visti come un “problema”; e se aggiungiamo alla loro forte sofferenza, causata dalla stigmatizzazione e dalla discriminazione, la frustrazione e la contraddizione del loro vissuto, si comprende come il loro habitat quotidiano si possa trasformare facilmente in un ambiente in cui vengono covati l’estremismo religioso, la criminalità, i sentimenti di rancore, di ira e d’insicurezza.

Per comprendere come questi giovani diventino facile preda dell’estremismo religioso è necessario, invece, orientarsi verso lo studio della violenta rottura identitaria che si trovano a vivere, della loro ricerca di un senso identitario ed una sicurezza legata ad esso, del loro bisogno di crearsi delle appartenenze identitarie e collettive, che però in realtà sono fragili, non in grado di appagare i sentimenti di insicurezza e insoddisfazione.

La ricerca mira a dare un’immagine, il più possibile aderente alla realtà, alle concezioni e percezioni dei giovani emarginati di terza generazione: la loro realtà socio-ambientale, la loro visione dell’Islam e dell’estremismo religioso, la loro convivenza con “l’altro, il diverso”.

Prima Categoria: costituita da 50 giovani belgi di origine marocchina che risiedono nel quartiere Borgerhout nella città di Anversa, la loro età varia fra i 17-30 anni. A questa categoria, secondo gli studi accademici sull’immigrazione, appartiene la terza generazione di immigrati, nella maggior parte nati in Belgio da genitori marocchini, provenienti dalla regione del Rif nel nord del Marocco, che godono della cittadinanza belga (alcuni di loro sono cresciuti in Marocco e hanno raggiunto i loro genitori in età molto giovane).

Seconda categoria: composta da 50 immigrati di origine marocchina con un’età che oscilla tra i 30 e 45 anni, figli della prima generazione di immigrati marocchini, nati in Marocco, che hanno raggiunto i loro genitori negli anni ottanta quando avevano tra i 6 e i 18 anni; oppure studenti istruiti, in possesso di diplomi di alto livello, conseguiti in Marocco, spinti dalla disoccupazione a immigrare in Belgio negli anni novanta del secolo scorso, o sposati a donne belghe di origine marocchina, o ancora studenti venuti all’epoca per proseguire i loro studi nelle università belghe.

Terza categoria: composta da 50 persone, la maggior parte delle quali ha superato i 60 anni e costituisce la prima generazione della migrazione. In grande maggioranza pensionati, hanno lasciato i villaggi del Rif alla fine degli anni sessanta individualmente, prima di fare il ricongiungimento con le loro famiglie a partire dalla metà degli anni ottanta.

È da notare che c’è una scarsità di ricerche in lingua araba inerenti al tema dei giovani immigrati in relazione alla questione dell’integrazione, della discriminazione, dell’estremismo e della rottura identitaria.

Dal momento che la cultura e la lingua prevalenti in questo quartiere sono la cultura e la lingua berbera del Rif (relativa alla zona montana che si trova nel nord del Marocco), abbiamo effettuato le interviste in lingua berbera sia nel quartiere Borgerhout che nelle città di El Hossima e Nador in Marocco, città nelle quali un numero importante di abitanti del quartiere Borgerhout torna durante il periodo estivo per passare le vacanze.

L’islam è considerato la seconda religione in Belgio dopo il cristianesimo e la maggior parte dei musulmani sono immigrati o figli di immigrati o loro nipoti. Infatti il Belgio ha riconosciuto ufficialmente la religione musulmana nel 1974. E nel gennaio 2015 il numero dei musulmani presenti in Belgio ha raggiunto quota 781.887 persone, cioè il 7 per cento della popolazione belga.

La grande maggioranza dei musulmani in Belgio è di origine marocchina e turca. I marocchini costituiscono il 46 per cento della popolazione musulmana, e i turchi, invece, il 26 per cento.

Malgrado il peso demografico, gli immigrati di origine marocchina, soprattutto i giovani che sono nati e cresciuti in Belgio, rimangono tra quelli maggiormente affetti da disoccupazione e discriminazione in svariati settori, soprattutto nei campi del lavoro e dello studio.

Il Belgio viene considerato, a livello di integrazione professionale degli stranieri non europei residenti in Belgio, il peggiore modello tra i paesi dell’unione europea. Questo può spiegare in parte la tendenza o la conversione rapida e improvvisa di alcuni di loro all’estremismo religioso, nonché il facile proselitismo da parte delle organizzazioni Jihadiste, soprattutto dell’organizzazione cosiddetta dell’ “Isis”.

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