Franco Battiato: Un Invito al Viaggio Interiore Attraverso la Poesia in Musica
Per celebrare la ripresa degli eventi musicali dal vivo, ripercorriamo le emozioni di un concerto tenutosi all’Arena di Verona, un evento degno di entrare nella storia della musica italiana. Circa un mese fa, il 21 settembre, una trentina di cantanti e musicisti si sono riuniti su un solo palco per celebrare le straordinarie opere di Franco Battiato, scomparso lo scorso maggio. A tener insieme il tutto l’enorme orchestra composta dalla Filarmonica dell’Opera Italiana Bruno Bartoletti e diretta da Carlo Guaitoli. Sullo sfondo, video clip create appositamente per la serata e di repertorio.
Hanno scelto il titolo di questa canzone, "Invito al viaggio", per dare un nome a quello che più che un memoriale si è rivelata essere una celebrazione del Maestro carica di emozioni e di felicità. Invece i cantanti si sono succeduti velocemente, senza presentazioni, cantando il loro brano, tutti con grande umiltà e riconoscenza. Hanno saputo ben gestire l’ordine delle canzoni, alternando momenti di calma a momenti in cui l’Arena iniziava a tremare.
È stato commovente e bellissimo per tanti motivi: in primis, perché ci siamo trovati a omaggiare uno dei più grandi artisti e cantautori di sempre; un uomo brillante, fulminante, in grado di raccontare l’essenza dell’essere con immagini evocative e concetti fumosi; un musicista che ha sperimentato, osato. È stato pazzesco vedere tanti dei miei cantanti preferiti in una volta sola: c’erano i Baustelle, Branduardi, Jovanotti, Simone Cristicchi, i Subsonica, Vinicio Capossela, ColapesceDimartino, Diodato. Tornare all’Arena di Verona è poi sempre una grande emozione: è una scenografia mozzafiato, tra roccia antica, marmo e luci di ogni tipo. Insomma: si è riso, si è pianto, si è ballato e si è rimasti ammutoliti, ognuno sommerso dai suoi pensieri e ricordi.
L'Arte di Battiato: Poesia in Musica
In occasione dell’anniversario della scomparsa del maestro Franco Battiato, esploriamo perché le sue canzoni sono poesia. Le canzoni di Battiato sono una forma sublime di arte, una poesia in musica, alcune più di altre. Chi ascolta le note del cantautore siciliano lo sa; ormai conosce il mistero custodito in quelle melodie capaci di trasportarci in una realtà trascendente.
L’album di Battiato composto nel 1999, Fleurs, presenta sin dal titolo un chiaro riferimento alla raccolta Les Fleurs du mal (1857) di Baudelaire. Il filo conduttore del disco, inciso dall’autore in soli due giorni nella sua casa di Milo alle pendici dell’Etna, era il tema del viaggio unito a un senso impalpabile di malinconia. La copertina di Fleurs, il ventesimo album del cantautore, era la riproduzione di un quadro di Battiato stesso, Derviscio Con Rosa, e rimanda alla tecnica dell’èkphrasis utilizzata come fil rouge dei brani: ogni canzone appare come la descrizione di un quadro, in questo caso di un quadro interiore, ovvero di una visione intima della coscienza.
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Invito al Viaggio: Un Dialogo tra Battiato e Baudelaire
L’ultima traccia del disco, Invito al viaggio, è una riscrittura della lirica originale di Baudelaire L’Invitation au voyage contenuto in Les Fleurs du mal. Il viaggio cui fa riferimento Battiato è di proustiana memoria: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” scriveva l’autore della Recherche. Non a caso Franco Battiato fa riferimento al viaggio “in quel paese che ti somiglia tanto”, evocando la libertà del rispecchiamento dentro sé stessi, una capacità di riconoscersi.
Ma quali sono le differenze principali tra la canzone e la poesia? Le più riconoscibili riguardano lo schema metrico e la totale assenza di rime: Battiato si serve della melodia per sposare tra loro le parole e quindi non le unisce secondo accordi o assonanze verbali. In entrambi i casi comunque il tema centrale è il viaggio onirico: il poeta parla del viaggio compiuto guardando negli occhi la donna amata, il cantautore invece non si rivolge a una donna nello specifico, ma un “tu” non meglio identificato che tuttavia conosce bene e per cui nutre un sentimento esclusivo.
L’invito al viaggio di Baudelaire è amoroso, l’uso reiterato dei pronomi possessivi “mia” mostra la sua vicinanza alla donna amata, è proprio la coincidenza tra la donna e il paesaggio a rendere possibile la fuga; mentre l’invito di Battiato è più contemplativo, fa riferimento a una dimensione trascendente. Nella canzone viene inoltre eliminata la strofa centrale della poesia che descrive nei dettagli il paesaggio contemplato dall’amante restituendoci l’immagine di un regno orientale fatto di lusso, fiori rari, soffitti adornati e specchi che sembrano sollecitare tutti i sensi dal tatto, alla vista sino all’olfatto. Le “corrispondenze” intessute da Franco Battiato ci permettono di avvertire delle vibrazioni contemplative legate a un altrove, che nella poesia di Baudelaire si lega a un luogo fisico - un ignoto e lussuoso mondo orientale - mentre ora, nel canto, appare più simile a una dimensione mentale, una sorta di paradiso dell’anima.
L’incontro tra il poeta francese Charles Baudelaire, forgiatore dello stile bohémien, e quello che a tutti gli effetti è stato un poeta contemporaneo italiano come Franco Battiato avviene negli anni ’90. O meglio, alla fine di quel decennio avvenne il connubio tra la capacità del siciliano di mettere in musica dei versi e le parole di una poesia estratta dal capolavoro “Les Fleurs du mal” (I fiori del male). Grazie al contributo del filosofo Manlio Sgalambro, nell’ambito dell’adattamento della traduzione, Battiato scrisse “Invito al viaggio” ispirandosi proprio alla lirica “L’invitation au voyage” contenuta proprio nella raccolta con cui l’esteta francese contrappose il bene e il male, proponendo due soluzioni per sfuggire alla sofferenza intrinseca dell’uomo.
La domanda sorge spontanea. Il viaggio da intraprendere è interiore o verso un luogo vero e proprio? Sebbene Baudelaire non citi mai un luogo fisico alcune descrizioni sembrano richiamare l’Olanda. Vengono descritti i fiori, i mobili e i saloni delle case, le bellezze, il lusso, la ricchezza di quei luoghi. Ma come nella canzone di Battiato quello che conta è proprio il viaggio. Quel percorso, che in un certo senso richiama il cammino dantesco, colmo di pericoli e difficoltà. Ma essenziali per arrivare all’assoluto. All’Ideal cioè la condizione ultraterrena che garantisce la serenità dello spirito.
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Tra i versi liberi di Battiato, rispetto alle rime baciate di Baudelaire, il viaggio è soprattutto interiore. Poco spazio alla materia. Un viaggio verso un luogo che richiama l’io della sua amata. E se in questo i due scrittori si allontano, come se i vascelli di uno portassero cose che le navi dell’altro non hanno nella cambusa, il finale in francese della canzone del Maestro richiama alle stimolazioni sensoriali provocate dalle parole della lirica de “Les Fleurs du mal”. Un risveglio tra i profumi e i suoni di un giardino e dei suoi fiori. Quei fleurs che danno anche il titolo all’album in cui è contenuto “Invito al viaggio”. Quel viaggio che l’ascoltatore compie tra musica e versi, tra Italia e Francia.
Proprio il viaggio è stato un tema fondamentale di tutta la produzione artistica di Battiato, che insieme al suo amico e filosofo Manlio Sgalambro scrisse quell’immortale pezzo nel 1999. L’invito al viaggio non è altro che un’esortazione al viaggio interiore, un cammino verso il desiderio più profondo attraverso una spiritualità pura che esorta l’anima a conoscere il proprio ignoto, a ritrovare l’ordine nel caos cosmico.
Dallo scorso 18 Maggio anche il viaggio di Franco Battiato ha virato per altri mari, e in questa raccolta c’è tutto ciò che il suo percorso terreno ha donato, osare e sperimentare ascoltando l’anima e il rumore dei silenzi. Come scriviamo nel commento a La cura, un tema fondamentale in Battiato (e Sgalambro) è quello del viaggio a salvezza che troviamo anche in Baudelaire e di cui il modello fondamentale è Dante.
Nel seguente passaggio, tratto dall’Hymne au Beauté (poesia da Les Fleurs du Mal significativamente intitolata Inno alla Bellezza) troviamo precisamente espresso questo fondamentale concetto:
Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa,O Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!Se il tuo occhio, il tuo sorriso, il tuo piede, mi aprono la portaDi un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?
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Se da Satana o da Dio, che importa, Sirena o Angelo,Che importa, se tu rendi - fata occhi-di-velluto,Ritmo, profumo, luce, o mia sola regina! -L’universo meno orrendo e gli istanti meno gravosi?
In connessione con la Bellezza, troviamo quindi, l’altra faccia del viaggio, che alla fine dell’epopea de Le voyage, si rivela la Morte, chiamata con l’epiteto di «vecchio capitano», che è personificata come interlocutore principale, nell’apostrofe finale, che accenna un barlume, seppur effimero, di speranza:
Ô Mort, vieux capitaine, il est temps! Levons l’ancre!Ce pays nous ennuie, ô Mort! Appareillons!Si le ciel et la mer sont noirs comme de l’encre,Nos coeurs que tu connais sont remplis de rayons!
Verse-nous ton poison pour qu’il nous réconforte!Nous voulons, tant ce feu nous brûle le cerveau,Plonger au fond du gouffre, Enfer ou Ciel, qu’importe?Au fond de l’Inconnu pour trouver du nouveau!
In questo capitale passaggio, risiede tutta l’antropologia e l’estetica baudelairiana: l’uomo in continuo disequilibrio tra spleen (l’inquietudine esistenziale, mai repressa) e idéal (l’assoluto, l’infinito, perpetuamente da ricercare), che, non importa come, bisogna raggiungere. Bisogna affogare nel gorgo profondo dell’Ignoto (l’Inconnu), per trovare il nuovo. Ed è per questo che il poeta offre l’Invitation au voyage, l’invito al viaggio. L’invito è rivolto alla donna amata, chiamata «ma soeur» («mia sorella») e «mon enfant» (nella traduzione di Raboni «mio bene»; ma ritengo più consona la traduzione di Bufalino, «bimba»).
Il paesaggio è un paesaggio nordico, luminoso ed umido, molto probabilmente olandese seppure non sia mai nominata l’Olanda esplicitamente, ma attraverso una rete di allusioni, la sontuosità delle stanze, di mobili e soffitti, i fiori, lo splendore dell’Oriente, i canali, i vascelli. Il poeta immagina la luce di un Paese mai visitato grazie alla rappresentazione pittorica. Nell’armonia, sognata attraverso gli occhi della donna, si evoca un paesaggio che diviene stato d’animo. Nella descrizione del paese agognato, troviamo varie tracce dello sfarzo esotico: i lucenti mobili, i rari fiori che adornano la camera, le profonde specchiere, i soffitti affrescati. La visualizzazione prosegue con il sole che tramonta e le navi mercantili, e una pace e una luce universali.
Nel refrain, il luogo ideale viene analizzato e ritratto dai seguenti elementi: ordine (ordre), bellezza (beauté), lusso (luxe), calma (calme) e voluttà (volupté). L’Invito al viaggio è un invito al viaggio interiore, viaggio verso l’infinito e ritorno, luogo specchio della donna amata.
Nell’omonimo passo in prosa tratto da Le Spleen de Paris, Baudelaire ricrea l’atmosfera semantica, dell’affascinante, dell’esotico, del meraviglioso, Paese di Cuccagna, l’Oriente dell’Occidente, la Cina dell’Europa.
In questa puntata del programma GAP (Generazioni Alla Prova), realizzata da Francesco Iannello, il filosofo e poeta siciliano Manlio Sgalambro racconta le origini della sua vocazione filosofica, rivendicando la distanza della propria filosofia da quella accademica, che ha ormai ridotto il filosofo ad un impiegato del pensiero e dalle filosofie pratiche contemporanee.
Invitare qualcuno al viaggio, dice Battiato, è invitarlo ad abbandonare i propri luoghi comuni, una rinuncia indispensabile per intraprendere il percorso della riflessione filosofica. Sgalambro critica le trame sempre più inconsistenti dei romanzi contemporanei e definisce la filosofia il romanzo dei ricchi di spirito, arrivando a mettere in discussione il concetto stesso di cultura, che giudica un concetto negativo.
Manlio Sgalambro (Lentini, Catania 1924 - Catania, 2014). Intellettuale tra i più originali e indipendenti del panorama culturale italiano, fuori dei quadri accademici e libero dai condizionamenti del pensiero dominante.
Franco Battiato, sia nei testi delle sue canzoni che nei suoi film, ha dimostrato di essere un autentico indagatore delle spiritualità. Tuttavia le sue canzoni e sceneggiature richiedono un approfondimento teologico, proprio perché egli nella sua lunga carriera ha attraversato tradizioni esoteriche e religiose molto diverse tra loro. Lo ha fatto un Forum del Centro Studi Interreligiosi della Gregoriana, lo scorso 17 gennaio 2022, attraverso una conferenza dal titolo «E ti vengo a cercare… L’invito al viaggio spirituale di Franco Battiato. Una lettura teologica» del prof.
Un cantautore come Franco Battiato, che molti considerano un maestro spirituale, merita un approfondimento teologico. Dal momento che non si possono analizzare tutti i suoi testi, un obiettivo minimo è quello di proporre delle chiavi di lettura che consentano di interpretare le sue canzoni a tema religioso o anche soltanto di comprenderle un po’ meglio.
La fede del cantautore siciliano rimane un mistero, perché egli ha fatto riferimento a religioni diverse senza mai argomentare in modo esaustivo e sistematico il suo credo. La sua ricerca è passata attraverso l’induismo, Gurdjieff, il sufismo, il cristianesimo, lo shivaismo del Kashmir, il buddhismo tibetano, religioni tra cui è oggettivamente impossibile una sintesi armonica.
In una canzone dal titolo Di passaggio (ascoltala qui), Battiato fa un’associazione emblematica tra «le religioni e gli urlettini dei cantanti», a testimonianza di quale fosse la sua idea delle religioni istituzionali. Solo una visione religiosa può accostarsi alla sensibilità finora tracciata: il Vedanta.
In questo testo scrive: «Non sono mussulmano né induista. Nor Christian nor Buddhist» (ascoltala qui). Battiato avrebbe in realtà dovuto chiarire questioni più rilevanti di quella del nome. Avrebbe dovuto spiegare se per lui Dio è una Persona, come credono i cristiani, oppure una legge impersonale, come per i buddhisti.
In un’intervista, Battiato si è autodefinito un mistico. Ed è certamente mistici il testo della canzone Stati di gioia: «Mi trovavo a lottare contro i miei fantasmi. Spostandomi in avanti per quanto lo permette la catena (cioè il karma). Ancora più mistica, anche se alla stesura del testo ha contribuito Fleur Jaeggy, è la canzone in cui egli afferma: «Bisognerà per forza. Attraversare alla fine. La porta dello spavento supremo» (ascoltala qui).
L’impressione è che Battiato separasse la mistica dalle religioni, e fosse tra coloro che ritengono le religioni diverse, ma la mistica uguale. Non è un caso, però, che nel docufilm Attraversando il bardo (disponibile qui) egli abbia dedicato uno spazio importante al monaco missionario e maestro zen Willigis Jager, il quale ha cercato di creare un ponte tra buddhismo e cristianesimo.
Invitato a suonare in Sala nervi davanti a Giovanni Paolo II, si affrettò a dire che non era cattolico. In una recente intervista, è arrivato persino a dire che papa Bergoglio «non parla di teologia, non affronta i massimi sistemi della fede».
Dal punto di vista teologico, lo si può definire un «pluralista teocentrico». Egli non pone l’accento sulla chiesa o su Cristo, ma su Dio. Non c’è dubbio, però, che la sua riflessione su Dio avrebbe tratto giovamento da un discernimento esegetico e teologico.
„Il Maestro è andato via“. Da quando si è spento, anche la musica leggerissima di Colapesce e Dimartino ha assunto una connotazione più grave, più triste. Il Maestro è partito per un nuovo viaggio, lasciandoci in eredità un bagaglio stracolmo della più pregiata forma di poesia in musica. Battiato era una persona privata e taciturna, dall’umorismo timido e brillante e, soprattutto, un uomo di grande cultura.