Una notte, un viaggiatore: analisi di un brano di Roberto Vecchioni
Roberto Vecchioni è tornato sulla scena musicale con un nuovo album intitolato “L’infinito”, un lavoro che si distingue per la sua rarità e preziosità. Non troverete questo lavoro sulle piattaforme streaming e il perché è davvero facile da immaginare. Vecchioni è un Maestro, un cantautore, un poeta, un professore. Le sue canzoni sono preziose e rare. Non è neanche pensabile metterlo al confronto con gli album usa e getta che solitamente troviamo in giro.
Il lavoro racchiude 12 brani inediti e inizia subito in modo speciale. “Una notte, un viaggiatore” ci porta in un luogo, non luogo. Una dimensione spazio-temporale indefinita, una stazione fantasma che ci lascia perdere e confondere in una fuga onirica.
L'album "L'infinito" e i suoi temi
L’album prosegue con una gradita sorpresa: l’eccezionale ritorno sulla scena musicale di Francesco Guccini che, per la prima volta, duetta con Roberto Vecchioni nel singolo “Ti Insegnerò a volare”, ispirato alla storia personale del campione Alex Zanardi, che diventa emblema di un leit motiv importante: “la passione per la vita è più forte del destino”.
L’ascolto prosegue con il commovente brano “Giulio”, ispirato alla storia di Giulio Regeni, sulla cui morte vige ancora il mistero. Si arriva così come in una traslazione onirica ad uno dei momenti più emozionanti dell’intera esibizione: la canzone dedicata a Giulio Regeni e soprattutto al dolore di sua madre associato a quello irredimibile, incommensurabile di Andromaca, della madre di Cecilia nei Promessi Sposi fino a Madre Courage di Brecht e alla mamma del comandante Ernesto Guevara de la Serna. Vecchioni finisce il brano tra le lacrime, percependo quelle di gran parte del pubblico e una cascata di lacrime sembra inondare il proscenio dalle gallerie fino alle primissime file a lavare le ferite del povero Giulio.
La title track “L’Infinito” è il brano più bello. Il protagonista è il Giacomo Leopardi degli ultimi anni, quello che ha imparato a lasciarsi conquistare dal canto di vicoli e quartieri e dall’orda di piccirilli di Napoli. Il suo cadere in sogno, l’ammissione del fatto che tutto passa e non resta. Il mantra è: “Vattene via dolore, l’infinito è al di qua della siepe”.
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In “Vai, ragazzo” echi di passione per il greco vibrano in una danza sonora irresistibile. In “Ogni canzone d’amore”, invece, Vecchioni si diverte a immaginare che tutti i poeti scrivano per sua moglie. In “Com’è lunga la notte” il Maestro incontra Morgan in un brano ironico, fuori dagli schemi e autobiografico.
La poesia vibra in “Ma tu”: l’amore non è tempesta e furore, è la donna che aspetta sulla porta di casa”, canta Vecchioni che aggiunge: “Che strano posto è il cuore, le cose che entrano non escono più”. Dedicata alla guerrigliera curda Ayse, “Cappuccio Rosso” racconta una resistenza al femminile. “Non c’è niente di così grande nella vita, niente di così infinito come il perdono” è il messaggio de “La canzone del perdono”.
L’ultimo brano è “Parola”: un testamento, un manifesto, un irrinunciabile elogio alla parola: dono prezioso sempre più bistrattato e svilito. Vecchioni scrive un testo che è impossibile commentare, solo ascoltandolo si può capire come possa essere innato e inestricabile l’amore profondo del Maestro nei confronti della parola stessa. Un finale felliniano alleggerisce la tensione dopo la fatidica domanda: “Amore mio chi t’ha ferita a morte?”.
Vecchioni: un poeta senza tempo
Ragazzo di settantasei anni il cantautore milanese, autore di quarantacinque album e decine di romanzi, continua ancora oggi a raccontare la sua poesia in musica con una caratura fuori dall’ordinario e senza tempo. La sua statura poetica gli permette di essere contemporaneo e anacronistico nello stesso momento aiutandoci a guardare la realtà in modo sempre nuovo e antico come solo i grandi maestri possono fare.
Tra una canzone e l'altra Vecchioni si confida con il suo pubblico che non si perde una singola a battuta. Attraverso la voce e gli aneddoti di Vecchioni il palcoscenico si anima ancora una volta di magia, il cantante mai retorico e nemmeno trombone saccente, camicia bianca e jeans, non ti fa mai sentire fuori posto, o preso in giro. Non c’è bisogno di sospendere l’incredulità per credergli. A testa alta guarda il pubblico con sincerità e racconta le sue storie direttamente al cuore delle persone, senza alcuna sguaiatezza o forzatura; non ha paura di incontrare gli altri ma si apre al sentimento e alla comprensione non si può che ricambiarlo. Vecchioni incanta cioè letteralmente stupisce attraverso il canto, la sua è un arte antica che apparteneva agli aedi o ai troubadours occitani.
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Sembra quasi che tutti i poeti del mondo, sostiene, in realtà, abbiano sempre cantato i loro versi per una stessa donna con nomi diversi, ogni canzone d’amore si perde nel vento e non sai dove va. Il poeta chiede a questa donna, sotto le cui meravigliose spoglie mortali si cela l’inesorabile Nera Signora, di porre fine alle proprie sofferenze. Per questo invoca l’ultima musa pregandola di portarlo via: non riconosco più nessuno…questo non è più il mio tempo. Non è più il mio canto, non è la mia gente.
L'eredità musicale di Vecchioni
Dante, Petrarca e Boccaccio. Le 'Tre Corone' della letteratura italiana, che c'entra? Niente se non con l'analogia del numero 3, relativo stavolta ai diamanti scorti nella canzone d'arte italiana: 'Radici', 'Elisir', e quello forse definitivo, inimitabile ed inarrivabile a prescindere: 'La buona novella'.
Uno dei pochi tentativi di 'concept-album' da parte di Vecchioni, che proprio da dopo questo disco comincerà ad usare una forte componente autobiografico, rendendo gli album spesso dei 'resoconti' della sua rocambolesca vita sentimentale (soprattutto 'Montecristo'), qui abbiamo un Vecchioni ancora puro, che non deve molto spazio alle sue vicende personali invadenti e spiacevoli, cosa che peserà molto su 'Samarcanda' rendendolo un disco un po' semplice ed asciutto proprio per questo.
L'elisir è il viaggio verso l'ignoto, la sfida a ciò che non si conosce, sempre a testa alta nonostante la totale incapacità di capire cosa sarà. Nella recensione de 'L'isola non trovata' accennavo ai 'viaggi' di Guccini e di Vecchioni, che infatti sono molto diversi. Quello di Guccini, verso un'isola non trovata, è un viaggio cupo e disperato, un vagare tra le tenebre, con canzoni 'di notte', senza meta, senza senso se non l'esorcizzare le paure del vivere quotidiano e le sue volgarità. Non si può non parlare dell'LP 'Guccini', in cui 'Argentina' è un po' il resoconto di questa dissennatezza del viaggiare, ma soprattutto si possono confrontare due viaggiatori modello: 'Gulliver', cioè chi dedica la vita al viaggio, e tornato a casa si trova in mano soltanto 'gusci di parole', che è quello che resta delle sue avventure infinite; e 'Velasquez' che incontriamo invece in questo album, che è il viaggiatore di sempre, quello che continua a viaggiare e deve convincere la ciurma a seguirlo, perché solo col viaggio ci si muove, perché stare fermi è morire, ed una risposta (che non può arrivare) la si deve cercare.
L'elisir, il rimedio alle 'ipertensioni' di due anni prima, è per Vecchioni la lotta, la forte fede in valori di umanità e gentilezza, la lotta fatta soprattutto per e con gli altri.
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Nell'album incontriamo diversi punti di riferimento, non dimentichiamo l'ossessione per la coerenza artistica, tema che coinvolge molti dei lavori 'antichi' di Vecchioni: questi sono Rimbaud, nel brano A.R. (cioè andata e ritorno), il musicista fedele alla propria arte, puro ed estraneo ai compromessi (Il suonatore è stanco) e addirittura Guccini (Canzone per Francesco), quest'ultima canzone ha diverse sfaccettature, oltre al forte sentimentalismo, ancora non una componente fortissima in Vecchioni, c'è il profilo di una figura 'mitica', assimilata in sé per i parallelismi con le qualità dell'autore e la sua storia, stavolta è una figura amicale, per di più in difficoltà, il brano è una 'risposta' alla bellissima 'Canzone per Piero', tra l'altro entrambe le canzoni terminano con la parola 'male'.
Oltre che pieno di bellissime canzoni, ben quattro ancora oggi è possibile ascoltarle (almeno a me è capitato) dal vivo, dopo quarant'anni; oltre che un disco 'concettuale' che quindi ha una storia individuale e coerente; è anche l'album che sceglierei se fossi costretto a raccontare Vecchioni tramite uno solo dei suoi LP. Qui c'è tutto, o quasi, del professore, e se vi piace questo tipo di taglio, in cui si chiude l'intera produzione di un artista in un LP o un brano (cosa che ho sentito a proposito di 'Smisurata preghiera' e che ritengo ridicola), invece qui potrei quasi dire che c'è un brano che è 'il' brano, quello dove c'è tutto Vecchioni, tutta la sua forza artistica e la gentilezza poetica, cioè 'Figlia'.
"...e i sogni, i sogni, i sogni vengono dal mareper tutti quelli che han sempre scelto di sbagliare..."un invito a sognare, a voler costruire anche quando la convenzione ci vuole in torto. Un discorso non diverso da quello fatto in 'Sogna ragazzo sogna', più di trenta anni dopo: "...lasciali dire che, al mondo, quelli come te, perderanno sempre..."In più quest'ultimo è un brano scritto in occasione della pensione e dell'addio, quindi, ai ragazzi.
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