Viaggio al termine della notte: Un'analisi approfondita
In questo filmato tratto da Pickwick, il programma televisivo del 1994, lo scrittore Alessandro Baricco racconta e commenta Viaggio al termine della notte di Louis Ferdinand Céline. Ne legge uno struggente brano, l'addio del protagonista a una donna amata in America, da cui si allontana senza un reale motivo, solo per fare ritorno in Europa.
Viaggio al termine della notte è un romanzo a sfondo autobiografico in cui Céline segue le vicende di Ferdinand Bardamu, che combatte nella Prima guerra mondiale, poi va nell'Africa coloniale e negli Stati Uniti del primo dopoguerra. Torna in Francia, dove diventa medico e apre uno studio in un degradato sobborgo di Parigi, per poi finire a lavorare presso un istituto di igiene mentale. La storia è punteggiata dagli incontri con Léon Robinson, che ha vicende parallele alle sue.
Céline racconta la miseria della vita, anche la miseria del cuore dell`uomo, costretto sempre dalla necessità di arrangiarsi. Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.
La vita di Céline: Tra medicina e letteratura
Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches, nasce a Courbevoie il 27 maggio 1894. Laureatosi in medicina, dal 1924 al 1928 viaggia molto in qualità di medico e ricercatore; ritornato in Francia, entra a far parte dell'équipe della clinica pubblica di Clichy, lavorando soprattutto per i poveri. Esordisce con Viaggio al termine della notte (1932).
Fanno seguito Morte a credito (1936), e il pamphlet anticomunista intitolato Mea culpa (1936), scritto dopo un viaggio in Unione Sovietica. L'anno seguente viene pubblicato, suscitando grande scandalo, Bagatelle per un massacro (1937), il più violento di una serie di pamphlet che testimoniano l'adesione dello scrittore, verso la fine degli anni Trenta, all'antisemitismo. Nel 1944 Céline, accusato di collaborazionismo con i nazisti, fugge in Danimarca attraverso la Germania e torna in patria soltanto nel 1951, quando il governo francese lo proscioglie dalle accuse. L'esperienza dell'esilio è raccontata in Da un castello all'altro (1957), Nord (1960) e Rigodon (1969). Muore a Meudon il 1º luglio 1961.
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Lo stile e i temi del romanzo
La miseria umana può essere scrutata, ossia possiamo puntare gli occhi su di essa, senza seguire quell’impulso quotidiano, quell’urgenza di distogliere lo sguardo, come se già sapessimo tutto, come se quella miseria, oltre a un disgusto fisico, a una nausea morale, non potesse dirci più nulla. La miseria che Céline racconta non è allegorica, ma sempre radicata in una precisa situazione storica, di cui l’autore stesso ha fatto diretta esperienza, in quanto esponente della piccola borghesia risentita, soldato coinvolto nella Prima guerra mondiale, assiduo dell’ambiente della prostituzione londinese, amministratore di una Compagnia coloniale in Camerun, medico generalista in uno studio della periferia parigina. Questo patrimonio di esperienze rende la voce di Céline estremamente precisa e sicura nell’evocare un ambiente e un vocabolario sociali. Ma questa fedeltà di stampo “naturalistico” sarebbe ancora poca cosa, se non fosse innervata dalla furia epigrammatica e iconoclasta di un moralista classico.
Lo aveva ben compreso un illustre commentatore come Leon Trostky che nel 1935, a due anni dalla pubblicazione del Viaggio, scriveva: “Céline è un moralista. La macchina narrativa di Céline è infatti basata sul modello del romanzo picaresco, in cui un personaggio fuori casta, senza una degna e stabile posizione sociale, attraversa le situazioni e gli ambienti più diversi, guardandoli con la lucidità di chi si batte per la sopravvivenza ed è in uno stato di perpetua fuga. Da questa posizione mobile ed eccentrica, che non rivendica nulla e non crede in nulla, nasce uno sguardo “del sottosuolo” che irride ogni idolo di società, che coglie al volo l’ombra canagliesca gettata dall’ideale più sublime. E qui interviene il terzo componente del capolavoro céliniano, dopo l’acutezza sociologica e l’implacabilità del moralista, ossia il senso del comico, che è profondamente liberatorio. Si può leggere il Viaggio con una serietà disperata, ma si può anche ridere quasi ad ogni pagina, anche perché Céline è costantemente impegnato nella dimostrazione dell’universale bassezza umana, e questo obbiettivo indiscutibile lo spinge ad anticiparne ad ogni scena i risultati, accelerando i cedimenti, le turpitudini, le ipocrisie. I suoi personaggi, per così dire, devono costantemente sperticarsi nella loro volgarità e pochezza morale, ed il narratore finisce con il far girare la pellicola troppo veloce, come avveniva nei film comici muti e in bianco e nero.
Il romanzo fece subito scandalo per gli eventi narrati ma soprattutto per lo stile, quanto di più vicino all’ultimo Joyce. Il flusso di coscienza qui si avvale di un totale rifiuto del francese colto e si aggancia direttamente agli andirivieni di una mente fervida che oscilla, costantemente in bilico, tra la descrizione del mondo esteriore, gli avvenimenti tremendi del Novecento, l’alienazione sempre presente a Parigi come a New York, e il mondo interiore, irrequieto e incerto, alla ricerca disperata di una verità ultima che mai si manifesterà se non come la verità del dolore più profondo e meschino che invade l’umano.
Il Viaggio è una catabasi verso la degradazione e la morte. La morte di Robinson è in un certo senso la morte di una parte di sé, forse quella più estrema, l’es, l’istinto, l’inconscio. Quella parte di sé che ha liquidato il super io una volta per tutte. Il fatto che muoia ha un significato simbolico, è la crescita individuale, il suo approdo alla persona adulta, responsabile, ma anche la rinuncia a quella volontà di potenza che fa sentire il fuoco della giovinezza nella gioia come nella tragicità dell’esistere. Quella parte prima o poi deve morire.
Tutta la distruzione e la devastazione della Grande Guerra, che c’è nella prima parte, agli occhi di Bardamu non è che uno dei sintomi del Male che attanaglia il suo tempo. Le guerre sono anche dettate da una sorta di idealismo e di cattiva coscienza. Il nichilismo di Céline è in questo senso una pretesa di verità nei confronti dell’inganno delle ideologie, che mascherano gli interessi finanziari dei capi di stato, dei governi, delle strutture economiche planetarie e che hanno portato al massacro delle due grandi guerre mondiali.
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Lo stile del libro è un’inversione dei canoni linguistici, e anche l’intreccio è antilineare (non ve lo fanno studiare nelle scuole di scrittura!); Céline diceva a un giornalista che gli chiedeva notizie sulla novità della sua scrittura: il fatto è che io devo entrare nel delirio, mi trovo bene solo in un grottesco ai confini della morte, a tutto il resto sono insensibile. Delirio, allucinazione, follia, per scrivere lui viveva sempre ai bordi della mente. E poi il grottesco, come necessità di derealizzazione che travolge la realtà in un tripudio di fantasmi.
La poetica di Céline è assolutamente antiletteraria, così emerge il suo stile disarticolato, intriso di vita, di strada, destinato a fare scandalo, distruggendo completamente la tradizione della prosa francese. Céline decide di rompere con tutta la classicità. È per certi versi vicino al futurismo. Le rotture sintattiche che agitano il periodo, la dislocazione delle parole anticipate o posticipate nella frase, il moltiplicarsi di risonanze inedite. Dissociazione dal reale che vive in un vorticare caleidoscopico, quasi non lo si segue!
Il nichilismo degli artisti non coincide quasi mai con il nichilismo dei potenti, il nichilismo di Céline è dettato dal suo desiderio di trovare nel mondo una giustizia che non c’è, di veder vendicati gli ultimi, con la conseguente consapevolezza che ciò mai avverrà. Il nichilismo di Céline è platonico. Come Platone rintraccia una perfetta convergenza tra la società e l’animo umano. La corruzione che denuncia è la disgregazione dell’uomo, la sua prossimità alla catastrofe, alla follia, all’abisso personale, che coincide con ingiustizia, sfruttamento, alienazione sociale. Il disagio dell’io è il disagio della civiltà.
Il viaggio di Bardamu: Un percorso attraverso la miseria umana
Il protagonista è un giovane e svogliato studente di medicina parigino, Ferdinand Bardamu - un alter-ego dello stesso Céline, che, dopo un discorso fortemente antipatriottico con un amico, improvvisamente (e inspiegabilmente) decide di arruolarsi nell’esercito francese e di partecipare alla Prima Guerra Mondiale. Questo schema si riproporrà più volte nel romanzo: Ferdinand agisce impulsivamente e finisce per compiere degli errori, ritrovandosi spesso ad affrontare situazioni più grandi di lui, che forse neppure desiderava e dalle quali proverà in tutti i modi a fuggire. Percepisce il mondo e gli altri, finanche se stesso, come suoi nemici, come tasselli di una vita che spesso sfocia nell’assurdità più totale.
Tutte le avventure di Bardamu si risolvono in delusioni: la guerra si rivela un’inutile mattanza di poveracci mandati a morire per niente; l’Africa coloniale è un mondo depredato e corroso, difficile e ostile, che quasi gli costa la vita; il viaggio negli Stati Uniti si conclude in un nulla di fatto: New York gli riesce quasi incomprensibile, Detroit e il suo lavoro in fabbrica lo stordiscono - e qui la descrizione dell’industria e del ciclo di produzione sembra quasi anticipare Tempi Moderni di Chaplin. E poi c’è il ritorno in Europa: prima la permanenza nel quartiere popolare di Rancy come medico, quindi il lavoro come maschera al Tarambout (un cine-teatro) e infine l’impiego presso il manicomio di Vigny-sur-Seine.
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Ma deludere e a corrompere sono anche e soprattutto le persone, specialmente le donne che egli incontra e con cui crede di poter avere delle relazioni: l’americana Lola, la sfuggente Musyne, l’ipocrita Madelon; o pure altri personaggi, non legati ad una sfera sentimentale: ad esempio la coniuge Henrouille, che con la connivenza del marito tenta in ogni modo di sbarazzarsi della suocera, trascinando lo stesso Bardamu in un vortice di miserevoli macchinazioni.
Se esiste il Male, cioè l’egoismo, vi è però anche il Bene, ovvero l’altruismo: le figure di Alcide, sottufficiale coloniale che invia del denaro in Francia a una nipote che non ha mai visto, di Molly, prostituta dal cuore dolce e nobile, e del piccolo Bébert, sfortunato bambino di periferia, sono davvero riuscitissime, e squarciano - almeno per pochi, intensi momenti - il velo di tenebra e menzogna dell’umano vivere, offrendo un raggio di luce alla perenne notte céliniana.
Difficilmente inquadrabile è infine Robinson (o Léon), una sorta di doppio del protagonista, che va e viene meravigliosamente per tutti i luoghi toccati da Bardamu: in guerra, in Africa, in America, in Francia; buono, incattivito, profittatore, falso, sincero, svogliato?
Linguaggio e stile rivoluzionari
Ebbene, il linguaggio di Céline è fortemente vicino all’argot, ovvero al gergo dialettale e popolare - certo rimodellato e modificato, eppure possiede anche guizzi decisamente più classici: ci troviamo così di fronte ad una forma sempre altalenante, che procede secondo parabole irregolari - o per improvvisi e ripidi capovolgimenti - dall’alto verso il basso e viceversa, da momenti diversamente lirici a caustiche invettive, da sinceri slanci di meraviglia a impietose e ironiche descrizioni di luoghi e persone, senza fare sconto dei termini più diretti o anche volgari, che non sono mai gratuiti ma sempre finalizzati ad un’esigenza espressiva, a tratti espressionistica.
La traduzione italiana restituisce appieno questa viscosità linguistica, che è anche continua tensione e ricerca, e dopotutto il filo conduttore dell’intero romanzo è proprio l’inquietudine, una presenza costante e destabilizzante che - vediamo - si rispecchia nello stile narrativo.
Ma dunque che cos’è questo libro? Un lungo monologo interiore, un ironico diario di viaggio, un romanzo diversamente picaresco? Il viaggio di Bardamu non è diretto solo verso la fine ma anche verso il fondo della notte, cioè dell’esistenza: chi siamo? Cosa c’è oltre l’orizzonte? Céline ha scandagliato la sua contemporaneità, ne ha messo in luce vizi e virtù, esplorando la miseria degli strati sociali più bassi e l’ipocrisia della borghesia, e rimanendone sempre invischiato.
La sua è una narrazione priva di moralismi: attraverso la deformazione di una satira a dir poco pungente a palesarsi è sempre la realtà, nuda e cruda, in tutta la sua povertà, in tutta la sua ricchezza. Bardamu-Céline vede, sente e infine giudica, ma sa di non possedere alcuna verità assoluta; di fronte alle avversità non lotta, preferendo fuggire; è perfettamente conscio di essere anche un codardo e un debole, ma non se ne vergogna.
«Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario: ecco la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. Di professione medico, Louis Destouches assunse lo pseudonimo letterario di Céline ed esordì nel 1932 con il romanzo Viaggio al termine della notte, tuttora la sua opera più famosa.
Controversie e eredità
Purtroppo il valore del pensiero e della letteratura di Céline sono stati a lungo tempo oscurati dalla nomea di nazista che lo scrittore si attirò dopo aver pubblicato, alla fine degli anni ’30, alcuni pamphlet dichiaratamente antisemiti. Opere che appaiono ancora più incomprensibili da parte di uno scrittore di tal valore, pregne di un antisemitismo ben distinto dal nazismo ma che rasenta il farsesco, toccando il complottismo più ingenuo e la pseudo-scienza più cialtrona.
Difficile esprimersi sull’antisemitismo di Céline, tutt’ora oggetto d’incertezza e d’indecisione. Alcuni ridimensionano il razzismo celiniano fino a considerarlo solo un’espressione dell’antisemitismo che in Francia fu serpeggiante fino alla seconda guerra mondiale, e la colpa dello scrittore sarebbe stata l’averlo ammesso apertamente. Altri evidenziano come tale pregiudizio non avesse nello scrittore nessun fondamento religioso o razziale, ma che egli avesse semplicisticamente identificato negli ebrei la grande borghesia arricchita.
Bisogna sempre distinguere tra un uomo ed il suo lavoro, anche quando vita ed opera sono strettamente intrecciate e confuse come in Céline. Ma come è discussa la figura di Céline, così è indiscutibile il valore dei suoi libri.
«Così finiscono i nostri segreti quando li esponi all’aria e in pubblico. Di terribile in noi e sulla terra e in cielo c’è solo quello che non è stato ancora detto. Saremo tranquilli solo quando tutto sarà stato detto, una volta per tutte, allora finalmente faremo silenzio e non avremo più paura di stare zitti.
«…perché ti piace Céline? Perché si è tolto fuori le viscere e ci ha riso sopra. un uomo molto coraggioso. Perché è importante il coraggio? È una questione di stile. Un libro può bastare per cambiare la vita di un lettore? A volte sì.
Viola Ardone, insegnante di lettere, collaboratrice per diverse testate giornalistiche e scrittrice, ha raggiunto il successo con Il treno dei bambini ed è tornata in libreria nel 2021 con Oliva Denaro, la cui protagonista è una ragazzina, poi donna, che lotta contro una società patriarcale. “Viaggio al termine della notte è un libro che ho riletto più volte nel corso della vita e che ho regalato a tantissime persone, è un libro che qualche volta addirittura sono andata a sfogliare come libro delle risposte e l’ho interrogato, per capire me, per sapere qualcosa in più su quello che mi stava succedendo, quindi è un libro che genera interrogativi e su cui ritorno sempre.
Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo di Louis Ferdinand Auguste Destouches, è una figura a dir poco controversa. Esponente delle correnti letterarie dell’espressionismo e modernismo, è stato uno scrittore e saggista francese, oltre che medico. Segnato profondamente dalla Prima Guerra Mondiale, il dibattito sulla sua persona concerne in particolare la Seconda: Céline era davvero antisemita e sostenitore del nazismo? Lui negava di esserlo, così come negava un suo reale sostegno al regime, dichiarando “ho peccato credendo al pacifismo degli hitleriani, ma lì finisce il mio crimine”.
Viaggio al termine della notte viene pubblicato nell’ottobre del 1932, tradotto la prima volta in italiano nel 1933 e pubblicato da Dall’Oglio Editore. Reduce della Prima Guerra Mondiale, debilitato fisicamente e psicologicamente, Céline è un uomo che ha visto il male nella sua forma più pura, è disilluso e profondamente turbato. È da questa esperienza che probabilmente prende avvio Viaggio al termine della notte, che presenta ampi tratti autobiografici.
Il titolo “Viaggio al termine della notte” ha origine da un canto scritto dal tenente colonnello Thomas Legler, comandante di un reggimento dell’esercito napoleonico nell’invasione alla Russia. Dopo la disfatta, scrisse un canto di disperazione, del quale riportiamo una strofa: Unser Leben gleicht der Reise/ Eines Wandrers in der Nacht /Jeder hat in seinem Gleise/ Etwas, das ihm Kummer macht.
La narrazione è priva di moralismi: lo sguardo pessimista sulla natura ed esistenza umana investe tutti, protagonista compreso; nessuno può salvarsi, l’unica verità concessa all’uomo è la morte. Alla fine siamo tutti seduti su una grande galera, remiamo tutti da schiattare, puoi mica venirmi a dire il contrario!… Seduti su ‘ste trappole a sfangarcela tutta noialtri! E cos’è che ne abbiamo? Niente!
Viaggio al termine della notte è un viaggio difficile, feroce, nella disperazione della condizione umana, nella miseria dell’esistenza, da cui tutti cerchiamo di allontanarci, andando sempre alla ricerca di qualcosa che ci consenta di sfuggirle.
Ci sono libri che ti sconquassano, sempre, anche se li hai già letti, e siccome lo sai bene, li tieni anche a distanza, ché rileggerli non è mai come la prima volta, ma sai pure che non sarà mai per svago, per occupare il tempo: Viaggio al termine della notte occupa il tuo, ti sequestra.
È, con un po’ di enfasi, il miracolo dell’arte quello che si offre al lettore.
Céline non disseziona cadaveri. Céline guarda ai vivi. Pur esercitando, come medico dell’umanità che racconta, nelle “periferie più desolate”, tra quegli ultimi tutto meno che idealizzati, circondato da “brutti, sporchi e cattivi”, è con l’occhio clinico che li osserva. Ed è infallibile. Da ri-lettore, questa volta per la prima volta, ciò che più mi colpisce è l’acume professionale, l’esattezza chirurgica della diagnosi. L’anamnesi è da premio Nobel, su questo non ci piove, della prognosi e delle eventuali terapie sembra interessarsi nulla, forse cinicamente disilluso sulla effettiva curabilità del mondo, ma a meravigliare è l’implacabilità dell’occhio, la capacità di osservazione, la “definita” luminosità con la quale fa emergere tutto ciò che incontra prima del termine del viaggio: raccontando quella “scheggia di luce” che è la vita.
Sono queste schegge che la ri-lettura mi regala. Alcune già annotate a margine del primo incontro, altre scoperte per la prima volta, sicuro che alla prossima lettura se ne illumineranno di ulteriori, ché il ritmo del testo, il flusso quasi sempre incontenibile delle parole autorizza la distrazione (era un punto teorico di Luca Ronconi, l’idea di uno spettacolo potenzialmente infinito, che non potesse che prevedere l’intermittente attenzione dello spettatore: c’est le vie…). E sono alcuni di questi sguardi che da ri-lettore mi piace condividere, regalandoli a chi il Viaggio non lo ha mai intrapreso o a tutti quelli che stanno pensando di riprenderlo, una collezione di osservazioni che ti fanno alzare gli occhi dalla pagina sobbalzando, sbalordito dalla lucida ineluttabilità della visione: altro che delirio!
“Quando non si ha immaginazione, morire è poca cosa, quando se ne ha, morire è troppo. Ecco il mio parere. [Raccontando del Generale des Entrayes] “Gli piacevano i bei giardini e i roseti, non ne mancava uno, di roseto, dovunque passassimo. C’è nessuno come i generali per amare le rose. “Chi parla dell’avvenire è un cialtrone, è l’adesso che conta. “Come il montone che, sul fianco, in un prato, agonizza e bruca ancora. La maggior parte della gente non muore che all’ultimo momento; altri cominciano e si prendono vent’anni d’anticipo e qualche volta anche di più. “Poiché lei mi sfuggiva. “Il Nord almeno ti conserva le carni: sono pallidi una volta per tutte quelli del Nord. “Ecco quel che penso. Non bisogna mai fare i difficili sul modo di evitarsi uno sbudellamento, né perder tempo a cercare le ragioni della persecuzione di cui sei oggetto. “Figuratevi che era in piedi la loro città, assolutamente diritta. New York è una città in piedi. Ne avevamo già visto noi di città, sicuro, e anche di belle, e di porti e di quelli anche famosi. “Forse è anche l’età che sopraggiunge, traditora, e ci annuncia il peggio. “Ha un certo modo di parlare la gente distinta che intimidisce e che mi spaventa, a me, semplicemente, soprattutto le loro donne, saranno pure solo frasi mal combinate e pretenziose, ma lucidate come dei vecchi mobili. Fanno paura le loro frasi anche quando sono insignificanti. [La mia diagnosi preferita, da ri-lettore] “Un matto, altro non è che le solite idee di un uomo ma ben chiuse in una testa. Il mondo non ci passa attraverso la testa e tanto basta. “Si addormentò di colpo, alla luce della candela. Dormiva come tutti. Aveva l’aria proprio normale. Accidenti! Che bello sarebbe, infatti, avere qualcosa per distinguere i buoni dai cattivi. Magari, ogni tanto, un buon libro da rileggere.