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Vedere e Guardare: Differenze Sostanziali e Uso Corretto

Vedere e guardare sono verbi dal significato profondamente diverso e non sempre fungono da sinonimi. S’intuisce che le due frasi non sono né equivalenti né interscambiabili.

Coinvolgimento Emotivo e Analitico

È palese la diversa tensione emotiva che si avverte nella lettura dell’una e dell’altra. Si sarebbe tentati di dire che nella prima si respira un pathos vivo, partecipe, decisivo per il significato stesso della frase. Nella seconda, invece, l’emozione scompare per lasciare il posto a qualcosa di più freddo, staccato, analitico. Chi guarda, controlla.

Nel verbo vedere sembra quindi “inglobato” un coinvolgimento diretto del soggetto osservante nell’oggetto osservato. Guardare e vedere muovono entrambi da un’azione osservativa che risulta uguale nella forma (l’atto del vedere e del guardare sono identici in colui che li compie), ma diversa nella sostanza.

Presa di Coscienza e Comprensione

In colui che vede infatti, come risulterà dalle nostre riflessioni, si sviluppa (nasce) una presa di coscienza in grado di trasformare colui che guarda in colui che comprende. Il guardare, per sua stessa natura, non è risolutivo.

Noi potremmo guardare qualcosa o qualcuno (oggetto osservato) per un tempo infinito senza arrivare a conclusione alcuna. Colui che guarda può giungere a qualche risultato dell’analisi osservativa, solo nel momento in cui riesce a vedere l’oggetto osservato.

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E questo, beninteso, non perché l’azione del guardare sia (in sé) superficiale o poco accorta, anzi. Guardare può richiedere sforzo, attenzione, profondità d’analisi. Il verbo vedere, quindi, arricchisce qualitativamente il significato della frase e ne fa assumere una connotazione più alta.

La persona che vede, infatti, non ha semplicemente guardato, ma si è spinta oltre raggiungendo l’obbiettivo dell’osservazione: ha capito, ha compreso, l’oggetto precedentemente guardato. Guardare è quindi condizione necessaria, ma non sufficiente per poter andare oltre: riuscire, cioè, a vedere.

Superare la semplice osservazione richiede un salto qualitativo che coinvolge direttamente la coscienza del soggetto osservante. Colui che si mantiene nella sfera osservativa del guardare, non viene implicato nel soggetto osservato, ma rimane al di fuori di esso, in una posizione di distacco: egli eventualmente osserva, valuta, esamina, controlla.

Colui che, compiendo il salto qualitativo (presa di coscienza), riesce invece a vedere, esce dalla propria sfera osservativa ed entra direttamente in quella del soggetto osservato fino a comprenderlo.

Esempi di Uso Improprio

I verbi vedere e guardare sono usati in modo improprio, se non addirittura errato. In particolare, se l’affermazione “vedendo dal finestrino” può infastidire la media dei lettori, la prosecuzione “ho guardato un terribile incidente”, risulterà, ai più, del tutto insopportabile.

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Aggiungiamo all’esempio specifico solo la seguente riflessione, nel tentativo di rafforzare le idee fin’ora espresse: colui che si limita a guardare difficilmente si ferma: più probabilmente passa oltre.

Perduto o Perso: Una Sovrabbondanza Linguistica

Si dice Perduto o Perso? Si dice in entrambi i modi. Entrambe le forme sono corrette e in uso. Se qualcuno vi corregge “perduto” è lui ad essere in errore. Si tratta di uno di quei casi in cui la lingua italiana presenta una sovrabbondanza di forme all’interno dello stesso paradigma verbale per esprimere lo stesso valore.

È il caso, ad esempio, anche di veduto o visto, sepolto o seppellito, o, ceduto o cesso. La differenza sostanziale, secondo la visione d’uso, sta nel fatto che perduto è una forma più arcaica, preferita indubbiamente in passato ma che dalla metà del secolo scorso è stata semplicemente soppiantata dalla più comune perso.

Manzoni stesso corresse in visto ogni apparizione di veduto in occasione della prima edizione de I promessi sposi. Cesso è appunto un caso interessante: ad un fruitore nato dopo la metà del ventesimo secolo forse solo ceduto apparirà forma corretta (unica con finire in forma debole uto), mentre sicuramente tenderà a riconoscere come corrette solamente le forme forti perso, visto, sepolto.

Mentre la forma veduto è praticamente uscita del tutto dall’uso comune, per perduto si conservano delle forme vitali. Nel cercare di trovarne modalità di scelta, per taluni esse non dovrebbero proprio esistere: aver più modi di significar una cosa stessa, non è ricchezza, ma sopraccarico, non è libertà, ma impaccio; e impaccio tale, che l’uso tende naturalmente e di continuo a liberarsene (Alessandro Manzoni, Della lingua italiana, 1840).

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Mentre per altri è vero esattamente il contrario: in risposta ad un articolo apparso nella “Gazzetta di Milano” sull’uso della doppia forma reso e renduto, in una nota pubblicata nello Spettatore italiano, tomo VIII, 1817 Giacomo Leopardi replica che credo che il tesoro della lingua si voglia piuttosto accrescere, potendo, che scemare.

Come visto, una vera e propria scelta tra perduto e perso non si rivela pertanto necessaria, se non sul sentire dello scrittore (o dell’oratore). In tal caso, è bene ricordare come perduto, dal sapore pertanto più arcaico, venga spesso correlato ai contratti più altisonanti (e pertanto importanti): Paradiso perduto, Alla ricerca del tempo perduto, I predatori dell’arca perduta.

È interessante anche notare come tempo perduto e tempo perso abbiano due significati del tutto differenti. In sintesi Io ho perso le chiavi, ma ho perduto l’amore.

Tabella Comparativa: Veduto vs. Visto, Perduto vs. Perso, Sepolto vs. Seppellito

Forma Arcaica Forma Moderna Note
Veduto Visto Quasi completamente uscito dall'uso comune.
Perduto Perso Mantiene vitalità, spesso usato in contesti altisonanti.
Sepolto Seppellito Entrambi usati, ma "sepolto" è più comune.

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