Crisi del Turismo in Croazia: Cause e Conseguenze
Il turismo rappresenta per la Croazia un contributo pari a quasi il 20% del Prodotto interno lordo (Pil), grazie a sedici milioni di visitatori l’anno.
Qualcosa scricchiola nel settore del turismo nautico in Croazia, impermeabile alle crisi degli ultimi decenni, come la guerra croato - serba, i bombardamenti Nato contro Belgrado, la pandemia. Definito per tradizione il fiore all’occhiello dell’industria ricettiva nazionale, sta invece perdendo colpi e lo attestano i risultati di luglio - diffusi dall’Assoturistica croata - che parlano di flessione sui pernottamenti su base annua e ritardo degli arrivi.
Sono dati che riguardano l’alta stagione turistica, periodo che desta i maggiori appetiti e in cui si rilevano puntualmente i risultati migliori e più remunerativi. Luglio ha invece colto di sorpresa il comparto, fiaccandolo quando meno ci si aspettava. Forse però è la conseguenza logica di una serie di fattori andati a ostacolare l’andamento della stagione, come evidenziato da due persone con le mani in pasta, gente che conosce a memoria il settore, le sue esigenze, i problemi. Parliamo di Paško Klisovic e Sean Lisjak, rispettivamente responsabili di turismo nautico e marina in seno alla Camera d’Economia croata.
Cause della Crisi nel Turismo Nautico
Secondo Klisovic, le cause del “buco” sono facilmente spiegabili: «Abbiamo avuto un giugno dalle condizioni meteo instabili, mese in cui si fanno le prenotazioni di luglio. L’inflazione ci ha messo del suo e a ciò si è aggiunta la crescita di prezzo del carburante e la concorrenza di Grecia e Turchia, Paesi risvegliatisi dopo la pandemia e pronti a rendere la vita dura alla Croazia con le loro coste, i porticcioli, i servizi e relativi costi. È dura ammetterlo, però va sottolineato che ci sono delle esagerazioni nei prezzi riguardanti i fattori legati al turismo nautico croato. Abbiamo anche avuto la maggiorazione dell’8% del prezzo dei viaggi charter e anche questo non ha influito positivamente, in primis per i diportisti cechi e slovacchi, come pure per quelli austriaci, tedeschi e italiani.
Quindi Klisovic ha riferito che nei primi sette mesi dell’anno il numero di soggiorni è aumentato rispetto al 2022 del 2% e gli arrivi dell’1%, cifre che non vengono ritenute soddisfacenti. Per Sean Lisjak c’è da preoccuparsi ma forse non troppo: «Sono dell’avviso che i risultati del 2023 non deluderanno le attese. Gli intoppi ci sono, ma abbiamo di fronte un settore che ha saputo risollevarsi davanti a situazioni gravemente complicate. Le nostre coste, le bellezze naturali continuano a essere un magnete, ma dobbiamo porre freno alla maggiorazione dei prezzi, per evitare che gli armatori e i diportisti si rivolgano altrove e per sempre.
Leggi anche: Gallipoli: la crisi del settore turistico
I marina croati sono adesso più costosi del 5-8% rispetto a un anno fa, ritocchi che non mi sembrano scandalosi. È certo però che Grecia e Turchia hanno approfittato delle nostre manchevolezze, attirando ospiti che per anni hanno bazzicato le acque croate dell’Adriatico. È un momento che ci deve far riflettere perché il turismo nautico croato ha sempre superato i periodi no, confermando di essere resistente davanti alle situazioni difficili.
Overtourism e le sue conseguenze
L'avvento degli affitti brevi, poi, ha reso la questione più complessa. Piattaforme come Airbnb o Booking mettono in competizione residenti e turisti per accedere a un bene che è sempre più limitato: la casa. Un numero sempre maggiore di proprietari finisce per optare per l’affitto breve, che è più redditizio e mette al riparo da alcuni rischi, come eventuali danni e morosità.
In molte città, gli affitti brevi per i turisti hanno comportato un notevole aumento dei prezzi, con la conseguente espulsione degli abitanti meno abbienti e la chiusura di attività commerciali storiche. Nelle mete più in voga si sta assistendo a un vero e proprio spopolamento e desertificazione dei centri storici, che perdono la propria identità.
Il fenomeno è chiamato overtourism (che possiamo tradurre come “sovraturismo”), termine coniato dal magazine Skift nel 2016 per indicare una cattiva gestione dei flussi, che si traduce spesso in una dicotomia irrisolvibile tra turisti e residenti.
Il dibattito si è riacceso lo scorso 21 giugno, quando il sindaco di Barcellona, Jaume Collboni, ha annunciato che nei prossimi anni la città spagnola non rinnoverà le licenze degli oltre 10mila appartamenti che sono attualmente affittati a breve termine ai turisti. Negli ultimi dieci anni, a Barcellona i canoni di affitto sono aumentati del 68%, mentre il costo di acquisto delle case è cresciuto del 38%, secondo i dati condivisi da Collboni stesso. “Quei diecimila appartamenti saranno utilizzati dai residenti della città o saranno messi sul mercato per l’affitto o la vendita”, ha spiegato.
Leggi anche: IA e il futuro del turismo
Quella che si sta verificando è una concentrazione di viaggiatori in particolare su alcune città e località, che finiscono per essere più colpite dall’overtourism. Il turismo infatti non “bacia” tutti allo stesso modo: nel mondo, l’80% dei viaggiatori visita solo il 10% delle destinazioni.
Città più colpite dall'overtourism
Il rapporto annuale “The state of tourism and hospitality” mostra quali sono le città più affollate dai turisti, stilando una graduatoria basata sul numero di notti trascorse dai visitatori per chilometro quadrato.
Nel 2023 al primo posto c’è Dubrovnik (Croazia), seguita al secondo posto da Venezia e al terzo da Macao (Cina).
Per misurare il sovraffollamento turistico in Italia, Demoskopika ha creato un nuovo strumento attualmente in fase sperimentale, l’Indice complessivo di sovraffollamento turistico (ICST). Questo indice si basa su cinque indicatori: densità turistica, densità ricettiva, intensità turistica, occupazione delle strutture e quota di rifiuti generati.
Dall’indice è nata poi una mappa interattiva consultabile liberamente, dove le città sono state classificate in cinque livelli di rischio: molto alto, alto, moderato, basso e molto basso.
Leggi anche: Analisi del rapporto turismo-PIL in Italia
A soffrire maggiormente sono soprattutto sette città, a cui è stato assegnato il livello di rischio molto alto: Venezia, Rimini, Napoli, Verona, Livorno, Trento e Bolzano. In queste aree, il sovraffollamento è molto preoccupante, con impatti critici sulla qualità della vita degli abitanti e sulla sostenibilità stessa del settore turistico.
“È fondamentale implementare politiche di gestione del turismo”, afferma Raffaele Rio, presidente di Demoskopika.
Impatto Ambientale del Turismo
L’impatto del turismo riguarda anche la sua impronta ecologica: un lato il settore consuma grandi quantità di energia, acqua, terra, combustibili fossili, dall’altro riduce la biodiversità, contribuisce all’erosione del suolo e fa aumentare la produzione di rifiuti solidi e acque reflue.
Anche il progetto The World Counts, che mette a disposizione una serie di dati per sensibilizzare l'opinione pubblica su importanti sfide globali, ci mette in guardia: oggi il turismo contribuisce da solo a più del 5% delle emissioni globali di gas serra, di cui il 90% è dovuto ai trasporti.
Entro il 2030, si prevede un aumento del 25% delle emissioni di Co2 dovute al turismo rispetto al 2016.
Strategie per un turismo sostenibile
Nel frattempo, nelle città si stanno affermando alternative sostenibili alle classiche piattaforme come Airbnb e Booking. In Italia esiste Fairbnb, la piattaforma per gli affitti brevi che dà la metà di ogni commissione pagata dagli ospiti direttamente alla comunità, e in particolare a progetti e cooperative locali.
Negli ultimi anni, la mancanza di regolamentazioni del settore ha comportato che diverse città soccombessero sotto il “peso” dei troppi turisti. Tutto questo è dovuto anche alle scelte fallimentari di alcune amministrazioni, che hanno favorito un tipo di turismo estrattivo e poco sostenibile, che ha finito per modificare le relazioni tra i residenti e i luoghi in cui vivono.
Sulla possibilità dei comuni di porre dei limiti agli affitti a breve termine, a settembre 2020 si è espressa la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha giudicato conforme al diritto europeo una norma del governo francese che riconosceva alle amministrazioni cittadine e ai governi nazionali il diritto di richiedere un’apposita autorizzazione per poter offrire un affitto a breve termine.
Politiche di regolamentazione degli affitti brevi
La città che ha fatto da apripista in questo senso è Barcellona, tra quelle che più ha cambiato volto negli ultimi anni per via dell’overtourism: già dal 2011 l’amministrazione comunale ha istituito un sistema di licenze obbligatorie per poter pubblicare annunci sulle piattaforme, per favorire la trasparenza. Nel 2014 ha bloccato la concessione di nuove licenze, e nel 2018 ha introdotto un sistema di identificazione dell’host per verificare che la licenza fosse in regola.
Anche Berlino è tra le città dove la diffusione degli affitti brevi ha acuito l’emergenza abitativa: secondo uno studio dell'Istituto tedesco per la ricerca economica (DIW), ogni alloggio su Airbnb in più aumenta gli affitti richiesti nelle immediate vicinanze di una media di 13 centesimi al metro quadro.
I canoni di locazione sono in continua crescita, mentre in città si stima che manchino circa 112mila case per soddisfare la domanda. “Le attuali dinamiche di mercato continuano a mettere sotto pressione la già limitata offerta”, si legge in un report di Guthmann.
“L'aumento dei tassi di interesse dei mutui rende più costoso l'acquisto di una casa, con un conseguente aumento della domanda nel settore degli affitti”. Nel 2014 Berlino ha introdotto una legge che vieta ai proprietari di lasciare gli appartamenti vuoti o di affittare per brevi periodi interi appartamenti, lasciando una deroga solo per le singole stanze, con l’obiettivo di incentivare gli affitti a lungo termine.
Ad Amsterdam la scelta è stata ancora più netta: la città ha introdotto un divieto totale di affittare case per brevi periodi nelle tre aree del centro storico più a rischio di overtourism. Dopo l’Europa, la regolamentazione è arrivata anche negli Stati Uniti. Il caso più famoso è quello di New York, una delle città al mondo con il mercato dell’affitto più costoso: oggi le spese per l’alloggio costituiscono in media il 40% delle uscite di chi vive nell’area metropolitana.
Turismo: dati e previsioni
Se si guarda ai dati di lungo periodo, il turismo si rivela uno di quei fenomeni cosiddetti “esponenziali” le cui conseguenze, sull’intera società, cominciano a farsi complesse.
Basti considerare l’andamento del numero di viaggiatori internazionali lungo i decenni: 25,3 milioni (1950); 69,3 (1960); 158,7 (1970); 204 (1980); 425 (1990); 753 (2000); 946 (2010); 1,5 miliardi (2019).
Anche i ricavi, naturalmente, sono aumentati: il turismo e il suo indotto vale il 10% del PIL mondiale, con punte del 15% in Spagna e valori molto alti in quasi tutta Europa (in Italia il 13%).
Le cinque principali destinazioni mondiali - Francia, Spagna, Stati Uniti, Cina e Italia - assorbono oggi il 27% delle presenze turistiche complessive, mentre il 43% della spesa in turismo è coperta dai cittadini di Cina, Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia.
Tuttavia, con l’aumento della propensione a viaggiare da parte dei cittadini della classe media dei paesi emergenti, e la crescita di attrattività di mete un tempo meno gettonate, anche grazie (in Europa) alle nuove rotte low-cost, il turismo spinge verso una crescente diversificazione.
In crescita sono paesi come Australia, Canada, Ungheria, Irlanda, Polonia e Repubblica Slovacca. Per capire come il turismo potrebbe evolversi nei prossimi decenni, è fondamentale esplorare alcuni dei megatrend che hanno maggiori probabilità di avere un impatto sull’universo dei viaggi.
Il settore del turismo e le industrie connesse sono parti dell’economia globale, che si presume siano influenzate da una varietà di megatrend. I megatrend portano sfide, minacce e opportunità nuove e spesso invisibili, i cui impatti possono variare tra l’economia nel suo complesso e i singoli settori.
Nel 2018 per la prima volta l’Africa ha superato l’Europa in termini di crescita annua del numero di turisti (+9% rispetto all’8% europeo). Naturalmente, in numeri assoluti, le dimensioni non sono comparabili, dal momento che l’Europa ha ricevuto oltre la metà dei turisti del mondo (671 milioni) contro gli appena 63 milioni dell’Africa.
Gli analisti prevedono che nel 2030 il 57% del turismo mondiale sarà diretto verso i paesi emergenti, grazie alla crescita dei sottosettori del turismo naturalistico e avventuroso. Oggi l’apporto dei turisti provenienti da paesi a basso reddito continua a essere modesto: solo il 3% proviene dall’Africa e un altro 3% dal Medio Oriente; ma il 25% proveniente dall’Asia-Pacifico è trainato in gran parte dai ritmi sostenuti di crescita del turismo internazionale dalla Cina, a dimostrazione che, all’aumentare del reddito medio pro-capite, la propensione a viaggiare cresce in modo direttamente proporzionale.
Nello specifico, i turisti cinesi sono cresciuti da 10 milioni nel 2000 a 150 milioni nel 2019; tuttavia, solo il 7% dei cittadini cinesi possiede un passaporto, contro il 40-50% degli europei.
Impatto della pandemia sul turismo
Nel 2020 l’epoca d’oro del turismo internazionale si è arrestata bruscamente quando l’impatto della pandemia Covid-19 ha condotto il settore a un punto morto senza precedenti. Il turismo è stato sicuramente uno dei settori più duramente colpiti dalla pandemia, soprattutto in termini quantitativi.
Secondo l’analisi delle previsioni di UNWTO, il settore ha perso circa il 60% del flusso totale di turisti e stime del 2021 riportavano danni pari a circa 4000 miliardi di dollari a livello globale dall’inizio della crisi sanitaria.
Nel 2023 il turismo internazionale ha recuperato l’84% dei livelli pre-pandemia: in tutti i continenti sono stati quasi raggiunti i livelli pre-pandemia tranne che per il continente Asiatico, dove gli arrivi sono arrivati al 61% dei livelli pre-pandemia.
La storia del turismo ci insegna che i trend di crescita hanno subito già altre volte diverse battute d’arresto a partire dal XX secolo, quando due guerre mondiali e la terribile influenza spagnola fermarono improvvisamente i viaggiatori nel mondo.
Rischi e resilienza del turismo
Catastrofi naturali come eruzioni vulcaniche, terremoti e inondazioni di grande portata possono tuttavia compromettere sul lungo termine una destinazione turistica, cosicché la dipendenza dell’economia locale dal comparto turistico può diventare uno svantaggio per la ripresa economica dopo un disastro.
È il caso di Haiti, colpita da un disastroso terremoto nel 2010, o delle aree devastate dal maremoto del 2004 nell’Oceano indiano: qui, paesi come Maldive, Thailandia e Malesia sono stati particolarmente danneggiati nelle loro economie nazionali dalla perdita di introiti dal turismo negli anni immediatamente successivi.
Tuttavia, in questi due secoli il turismo ha dimostrato una straordinaria capacità di resilienza. Ad Haiti, già nel 2014 il numero di presenze turistiche aveva superato i livelli pre-tsunami. L’Islanda, appena due mesi dopo la fine dell’emergenza vulcanica, ha visto riprendere i suoi flussi turistici.
La pandemia Covid-19 richiede un ripensamento dei modelli previsionali di crescita finora utilizzati per il settore del turismo, in cui è mancata l’attenzione a rischi inattesi come quelli della contagiosità e del relativo distanziamento sociale.
Turismo e Cambiamento
La questione dell’overtourism, ossia del turismo di massa incontrollato in destinazioni turistiche particolarmente affollate, ha iniziato a creare resistenze in città e paesi dove la capacità di assorbimento dei flussi turistici è bassa. Fino a pochi anni fa, Venezia era il caso europeo più noto ed eclatante di overtourism. Nel giro di breve tempo, però, altre destinazioni hanno lanciato l’allarme: da Barcellona ad Amsterdam, da Reykjavik a Napoli, aree urbane che solo recentemente hanno conosciuto il successo come meta internazionale di viaggio.
In Islanda il rapporto tra turisti e cittadini residenti ha raggiunto l’incredibile valore di 5,1 contro 1; valori analogamente alti si riscontrano in Croazia (3,3 a 1) e Montenegro (2,6 a 1). Nelle aree metropolitane il rapporto tra turismo e fenomeni di neo-gentrificazione sta diventando un tema di dibattito politico rilevante: le attività commerciali dei centri storici e delle località ad alta frequentazione turistica modificano la loro offerta per intercettare le maggiori capacità di spesa del viaggiatore, con l’effetto di aumentare i prezzi al consumatore, cosicché il costo della vita si impenna.
A ciò si aggiungono i processi di sharing economy che hanno trasformato molti aspetti della settore turistico tradizionale con forme di turismo “on demand” (Corbisiero e La Rocca, 2020) e piattaforme di prenotazione online come Uber e Airbnb e altri servizi di economia condivisa come Eatwith o Vayable.
Il numero di posti letto nelle città europee è aumentato in maniera spettacolare: a Firenze, il 18% degli appartamenti del centro storico è offerto su Airbnb, a Matera addirittura il 25%. Negli ultimi anni sempre più città hanno iniziato a usare il pugno duro: a Barcellona il governo municipale ha deciso di impedire la concessione di nuove licenze per case-vacanze nelle aree del centro, seguendo gli esempi di New Orleans e Vancouver, dove i residenti dei centri storici sono sempre più ostaggio dei turisti.
In Francia diverse municipalità, tra cui Parigi, hanno imposto un limite di affitto della prima casa per locazione turistica a 120 giorni l’anno; Londra, Berlino, San Francisco hanno abbassato questo limite a 90 giorni complessivi, Amsterdam a 30. Sono in fase di sperimentazione strategie più complesse per gestire il fenomeno dell’overtourism.
TAG: #Turismo