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Il Consolato di Pompeo e Crasso: Storia di un'Alleanza e le sue Conseguenze

Forte dei successi militari, del sostegno dei populares ai quali promise l’abrogazione dell’ordinamento sillano e dell’appoggio del proprio esercito che minacciava una nuova occupazione dell’Urbe, Pompeo ottenne dal senato il trionfo e anche la propria candidatura al consolato, nonostante fosse ben al di sotto dell’età minima richiesta e non avesse seguito il cursus honorum (non aveva infatti ricoperto nessuna magistratura ordinaria). Non meno importante fu l’alleanza con Crasso che, grazie agli abusi compiuti durante le proscrizioni (confisca dei beni di chi era condannato a morte o all’esilio) era diventato l’uomo più ricco di Roma. Così nel 70 a.C. entrambi furono eletti consoli.

Le Riforme del Consolato

Fedeli alle promesse fatte, nel corso dell’anno di carica, i due consoli proposero e fecero votare una serie di leggi che smantellarono l’ordinamento sillano: innanzitutto restaurarono nella loro pienezza i poteri dei tribuni della plebe: essi poterono di nuovo proporre leggi all’assemblea popolare senza sottostare all’approvazione del senato e opporre il veto (ius intercessionis) alle iniziative degli altri magistrati. In secondo luogo furono eletti, dopo un intervallo di quindici anni, i censori, che epurarono il senato di 64 membri giudicati indegni (per la maggior parte creature di Silla) e condussero il censimento, che fece registrare la cifra di 900.000 cittadini. Infine venne modificata la composizione dei tribunali permanenti, togliendone l’esclusiva ai senatori, che fu per un terzo di senatori, per un terzo di cavalieri, e per un terzo di tribuni aerarii, una categoria mal conosciuta, ma il cui censo e i cui interessi erano molto vicini ai cavalieri, che potevano contare in pratica su due terzi dei membri.

Di fronte a questi provvedimenti sarebbe però sbagliato pensare che Pompeo e Crasso abbiano abbracciato completamente la causa dei populares. Semplicemente, loro avevano capito che la politica grettamente conservatrice perseguita dal senato era ormai perdente, e che la corruzione dei potenti aveva raggiunto un livello inaccettabile. A confermarlo, tra l’altro, era scoppiato il famoso scandalo di Verre, un pretore che proprio nel 70 a.C., sotto il consolato di Pompeo e Crasso, venne processato per gli abusi commessi in Sicilia. Nella famosa orazione di accusa (le cosiddette verrine) un giovane e battagliero avvocato, Cicerone, riuscì abilmente a mettere in luce la responsabilità di quei senatori che l’avevano protetto, rendendosi vergognosamente e indegnamente suoi complici.

A questo punto, era inevitabile che si aprissero delle contraddizioni e delle tensioni anche in seno all’aristocrazia. La lotta ormai non contrapponeva più solo gli aristocratici ai populares, ma anche gli aristocratici conservatori agli esponenti più moderni e spregiudicati di questa classe, tra i quali figurava appunto Pompeo.

Le Minacce in Oriente e le Campagne di Pompeo

Negli anni tra l’80 e il 70 a.C. in Oriente erano riemerse e si erano consolidate due gravi minacce, i pirati e Mitridate. La pirateria che era stata estirpata dai mari circostanti l’Italia, era stata invece tollerata in Oriente perché alimentava i traffici di schiavi verso la penisola di cui Roma era la principale acquirente. Le basi principali dei pirati si trovavano sulle coste meridionali dell’Asia Minore, della Cilicia e di Creta. Di fronte al proliferare di questo fenomeno, che arrivò addirittura a mettere in pericolo gli approvvigionamenti dell’Urbe, Roma dovette intervenire. Dopo alcuni tentativi di scarso successo, nel 67 a.C. il tribuno della plebe, Aulo Gabinio, propose che si prendessero misure drastiche contro i pirati e che, per questo scopo, fosse attribuito per tre anni a Pompeo un imperium infinitum su tutto il Mediterraneo con pieni poteri. Nonostante la violenta opposizione del senato contro un provvedimento che concentrava nelle mani di un solo uomo poteri e risorse ingentissimi, esso fu approvato.

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Pompeo riuscì a cacciare rapidamente i pirati dal Mediterraneo occidentale, costringendoli ad asserragliarsi e sconfiggendoli in Cilicia. I pirati fatti prigionieri furono stanziati in varie località soprattutto orientali che avevano subito devastazioni e spopolamenti, in piccole comunità rurali.

Nel 66 a.C. mentre egli era ancora impegnato nella guerra piratica, un altro tribuno della plebe, Caio Manilio, propose che venisse esteso a Pompeo anche il comando della guerra contro Mitridate. Il re del Ponto, continuava a tramare ai danni di Roma e si era alleato nuovamente con il re d’Armenia, Tigrane, invadendo con lui (75 a.C.) la Cappadocia e la Bitinia, due regioni poste sotto il controllo di Roma. Senza tergiversare, per rispondere all’affronto subìto, erano state inviate alcune legioni: ma Licinio Lucullo, che le comandava, giunto sul luogo degli scontri si era trovato in difficoltà. Tra l’altro egli era inviso al ceto equestre, che non gli perdonava alcuni editti emessi in Asia, con i quali aveva tentato di mettere un limite all’avidità e alla disonestà dei publicani. In conseguenza di ciò, l’incarico gli venne tolto e affidato a Pompeo, che ottenne una strepitosa vittoria. Attaccato da terra e da mare, abbandonato da Tigrane, che Pompeo era riuscito a farsi alleato, e tradito persino dal figlio Farnace, Mitridate si uccise nel 63 a.C. Pompeo conquistò i suoi territori e si spinse anche in Siria e in Palestina, che conquistò. Mitridate diede così un nuovo assetto all’Oriente. La Siria divenne una provincia; la Palestina (cui venne concesso di restare autonoma) venne posta sotto il protettorato di Roma.

Grazie a Pompeo, il regno dei Seleucidi era scomparso, e il territorio che si estendeva dal mare Egeo al fiume Eufrate era stato organizzato in un sistema di protettorati e di province (oltre alla Siria, anche la Bitinia e il Ponto). Nel giro di soli quattro anni Pompeo aveva conquistato un territorio che fruttava enormi ricchezze al popolo romano.

Il Ritorno di Pompeo a Roma e l'Ascesa di Cesare

Quando Pompeo sbarcò a Brindisi nel 62 a.C. il suo carico di gloria e di bottino era tale che i romani si chiedevano con ansia se e come egli avrebbe usato il suo prestigio e la sua ricchezza. Il sospetto che, contando sull’incondizionata fedeltà delle legioni, egli intendesse abbattere la repubblica e dar vita ad un principato monarchico non era del tutto infondato. Questa sensazione del popolo romano la dice lunga su come i grandi capi non erano più solo politici illuminati o demagoghi, ma generali con un vasto seguito militare: Mario e la guerra sociale, e la trasfromazione dell’esercito e della sua composizione, cominciavano a farsi sentire. Ma il comportamento di Pompeo, quando giunse a Roma, fu molto diverso da quello temuto. Dopo aver congedato l’esercito, Pompeo si limitò a fare al senato due richieste: la ratifica dei provvedimenti presi in Asia e la distribuzione delle terre ai suoi veterani.

Mentre Pompeo estendeva - con le sue vittorie - i confini orientali di Roma, nella capitale lo scontro tra populares e optimati diventava sempre più duro. A difendere l’aristocrazia senatoria erano rimasti sostanzialmente due soli personaggi di rilievo: Marco Tullio Cicerone e Marco Porcio Catone. Dalla parte dei populares e del ceto equestre militavano invece Lucio Licinio Crasso, Caio Giulio Cesare e Lucio Sergio Catilina.

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L’irresistibile ascesa di Cesare verso il potere ebbe inizio nel 60 a.C., quando egli tornò dalla Spagna Ulteriore, dove era stato governatore. L’obiettivo immediato che egli si prefiggeva, a quel punto, era la carica di console. Ma le forze su cui poteva contare, da solo, non erano sufficienti a garantirgli l’elezione. Come sempre, egli aveva bisogno di Crasso (che tra l’altro, prima della sua partenza per la Spagna, gli aveva consentito di assumere l’incarico, pagando i creditori che non volevano che egli si allontanasse). Questa volta, però, non erano solo i soldi ciò di cui Cesare aveva bisogno da Crasso, ma anche i voti da lui controllati, e Crasso glieli garantì.

Ma essi non erano sufficienti: a Cesare serviva un terzo alleato, e a fornirglielo fu inaspettatamente la classe aristocratica.Pompeo, come sappiamo, dopo aver sciolto l’esercito aveva chiesto come sola ricompensa dei suoi meriti la ratifica dei provvedimenti presi in Asia e la distribuzione di terre ai veterani. Ma si era visto rifiutare queste concessioni. Tutto quello che il senato aveva fatto per lui era stato tributargli il trionfo. Cogliendo il momento favorevole, Cesare propose a Pompeo di allearsi con lui e con Crasso, e la proposta venne accolta: nello stesso anno (il 60 a.C.) i tre strinsero un accordo di reciproco aiuto, al fine di raggiungere gli obiettivi che ciascuno si prefiggeva, spezzando il monopolio di potere detenuto dal senato, al quale i tre decisero di contrapporre (come fecero) una concentrazione personale di potere capace di costringere il senato sulle posizioni dell’opposizione. Tale accordo è comunemente chiamato dai moderni come «primo triumvirato».

Tale definizione però è impropriamente modellata sull’unico triumvirato che sia effettivamente esistito come magistratura della repubblica romana: quello ricoperto da Ottaviano, Antonio e Lepido a partire dal 43 a.C. Il cosiddetto «primo triumvirato» fu invece un accordo esclusivamente privato e segreto, la cui esistenza divenne chiara solo in un secondo tempo, in base al quale Cesare avrebbe dovuto essere eletto console per il 59 a.C., Pompeo avrebbe ottenuto l’approvazione dei propri provvedimenti e Crasso leggi a favore dei publicani.

Comunque si voglia considerare questo accordo tra privati cittadini, la sua esistenza e la facilità con cui venne stipulato, mostrano in maniera evidente lo stato di crisi in cui versavano le istituzioni repubblicane. Eletto console, Cesare onorò gli impegni presi con Pompeo e con Crasso, propose e fece approvare due leggi, che rispettivamente distribuivano la terra ai veterani di Pompeo e riducevano di un terzo i canoni che i publicani delle province orientali dovevano versare allo stato (con notevole vantaggio economico della classe dei cavalieri, cui Crasso apparteneva e che aveva il monopolio degli appalti di imposte). Inoltre fece approvare una lex Iulia de repetundis, per i procedimenti di concussione, che ampliava e migliorava la precedente legislazione sillana in materia. Un altro provvedimento prevedeva che i verbali delle sedute delle assemblee e del senato venissero resi pubblici.

Durante l’anno di carica, Cesare era riuscito ad assicurarsi il comando proconsolare per cinque anni nella Gallia Cisalpina (Italia settentrionale) e nell’Illirico (in seguito ottenne anche la Gallia Narbonese, l’attuale Provenza). Le ragioni per cui scelse questa provincia erano inconsuete: la zona infatti, oltre a non essere particolarmente ricca, era anche assai turbolenta. Ma probabilmente era proprio questa seconda caratteristica che risultava attraente agli occhi dell’ambizioso e lungimirante console. Cesare ottenne quindi il comando di tre legioni e il diritto di nominare i propri legati e di fondare colonie.

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Quello che gli si proponeva era di impegnare le sue legioni in un’azioni di conquista, volta a portare i confini di Roma sempre più a occidente nella Gallia libera (che i romani consideravano la Gallia barbarica) che si estendeva oltre i confini della sua provincia. Prima di lasciare Roma, però, tentò di assicurarsi un certo controllo della situazione politica. D’accordo con Pompeo e Crasso, appoggiò la candidatura al tribunato della plebe Publio Clodio Pulcro a lui alleato.

La Fine del Triumvirato e la Guerra Civile

Eletto tribuno, Clodio fece approvare una nutrita serie di leggi. Tra queste dobbiamo ricordare quella che abolì la pratica di prendere gli auspicii prima delle assemblee legislative, un provvedimento dalle notevoli conseguenze pratiche: gli auspici, infatti, erano manovrati dall’aristocrazia; quando temeva che un’assemblea prendesse provvedimenti sgraditi, essa riusciva regolarmente a rinviarla dichiarando che gli auspicii erano sfavorevoli.

Dopo il ritorno di Pompeo, a Roma viene costituito il cosiddetto "primo triumvirato", accordo personale tra il vincitore di Mitridate, Cesare e Crasso. Le problematiche della politica interna restano tuttavia aperte; personaggi abili e ambigui come Clodio riescono così a ritagliarsi ampi spazi.

Gli eventi dell’11 settembre 2001 e il successivo impegno militare occidentale - inteso come "guerra preventiva" - in Afghanistan e Iraq hanno, nuovamente, portato il mondo a domandarsi se e in quali termini possa esistere una "guerra giusta". Il problema, come naturale, ha un’ampia tradizione, che parte dal Medioevo e giunge sino ai nostri giorni. Anche Roma antica si poneva tale interrogativo, ma con sensibilità molto diversa.

Il generale, tornato a Roma nel 62 a.C., non pare però voler approfittare della propria forza. È solo nel 60 a.C., con il ritorno del propretore Cesare dalla Spagna, che la situazione si sblocca. Anch’egli scioglie l’esercito, rinunciando al trionfo (che, richiedendo la permanenza in armi fuori dall’Urbe, gli avrebbe impedito di candidarsi al consolato). Propone quindi a Pompeo e Crasso un accordo privato, definito spesso - in riferimento al patto ufficiale del 43 a.C. tra Ottaviano, Antonio e Lepido - "primo triumvirato". Se la normativa sui publicani, volta a offrire agli esattori d’Asia un forte sgravio d’imposta, non solleva problemi, l’approvazione delle due leggi agrarie si rivela difficile.

La prima, che assegna ai veterani di Pompeo quanto resta del demanio italico, giunge al voto solo impedendo con la forza l’opposizione dell’altro console, l’ottimate Marco Calpurnio Bibulo. Questi, barricatosi nella propria dimora, rimarrà inattivo per l’intero anno, a scrutare quei segni del cielo che potevano, per tradizione ma in ben altre circostanze, interrompere la vita politica. Una seconda proposta, rivolta alla plebe urbana, assegna il territorio campano - particolarmente fertile e costellato di ricche ville - a 20 mila padri di famiglia bisognosi.

Cesare fa poi confermare quanto stabilito da Pompeo per l’Oriente; le nuove provinciae di Bitinia-Ponto, Cilicia e Siria danno così a Roma la possibilità di raddoppiare le entrate fiscali. Una normativa de repetundis vieta ai governatori delle provinciae di accettare doni e rende loro obbligatorio il deposito di rendiconti non solo a Roma ma anche in due città dei territori amministrati.

Dopo questi passi bisogna assicurarsi continuità. Il tribuno filocesariano Publio Vatinio propone allora una legge che, contro la prassi ma sull’esempio di Gabinio (67 a.C.) e Manilio (66 a.C.), conferisce al console, sino al marzo del 54 a.C., Gallia Cisalpina e Illirico.

La lunga assenza di Cesare, i continui scontri tra Pompeo e Clodio e le pressioni senatorie rendono necessario un nuovo patto triumvirale: nell’aprile del 56 a.C., a Lucca, per l’occasione confluisce gran parte della classe dirigente romana. Pompeo e Crasso ottengono un nuovo consolato congiunto per l’anno successivo. Tra i loro atti vi è una legge, passata con la forza e contro il volere del senato, per assicurare a Cesare otto legioni e il rinnovo del mandato proconsolare in Gallia.

Nell’angolo rimane Crasso; desideroso di eguagliare gli illustri colleghi, pianifica allora una spedizione contro il grande impero orientale dei Parti. Innumerevoli segni infausti, raccolti da sacerdoti e auguri, non riescono a smuoverlo dal temerario intento. Le conseguenti maledizioni che ne accompagnano l’irrituale partenza per la Siria paiono invece avere effetto: nel 53 a.C., a Carre (oggi Haran, al confine turco-siriano), la sua armata di 35 mila uomini, logorata dai 10 mila arcieri e dai cavalieri catafratti del generale Surena, viene pesantemente sconfitta.

Con la morte di Crasso, l’alleanza si sfilacciò definitivamente, e il rapporto tra Cesare e Pompeo divenne sempre più teso. Pompeo, che nel frattempo si era avvicinato al Senato e agli optimates, vide in Cesare un pericolo crescente, soprattutto a causa della sua crescente popolarità e del suo potere militare derivato dalle vittorie in Gallia. Da parte sua, Cesare si rese conto che il Senato, sotto l’influenza di Pompeo, cercava di limitarlo.

Nel 49 a.C., il Senato chiese a Cesare di lasciare le sue legioni e di rientrare a Roma senza truppe, temendo che potesse prendere il controllo della città. Cesare, invece, interpretò questo ordine come un’ingiustizia e un tentativo di privarlo del suo potere. La decisione di attraversare il Rubicone, il fiume che segnava il confine legale tra la Gallia Cisalpina e l’Italia, fu un gesto di ribellione che sancì l’inizio della guerra civile. La frase attribuita a Cesare, “Alea iacta est” (“Il dado è tratto”), rappresenta simbolicamente questo punto di non ritorno.

Con lo scontro tra Cesare e Pompeo, culminato nella battaglia di Farsalo nel 48 a.C., la Repubblica romana subì un colpo decisivo, aprendo la strada al dominio assoluto di Cesare e al successivo crollo della Repubblica.

Tabella Cronologica degli Eventi Chiave

AnnoEvento
70 a.C.Consolato di Pompeo e Crasso
67 a.C.Pompeo ottiene l'imperium infinitum contro i pirati
66 a.C.Pompeo ottiene il comando contro Mitridate
63 a.C.Morte di Mitridate; Pompeo riorganizza l'Oriente
60 a.C.Formazione del Primo Triumvirato (Cesare, Pompeo, Crasso)
59 a.C.Cesare console; leggi a favore di Pompeo e Crasso
56 a.C.Rinnovo del Triumvirato a Lucca
54 a.C.Morte di Giulia, figlia di Cesare e moglie di Pompeo
53 a.C.Morte di Crasso a Carre
49 a.C.Cesare varca il Rubicone; inizio della guerra civile
48 a.C.Battaglia di Farsalo; Pompeo sconfitto e assassinato in Egitto

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