Lotta per Liberare la Patria dallo Straniero: Storia e Significato
La lotta per liberare la propria patria dallo straniero è un tema ricorrente nella storia di molte nazioni. In Italia, questo concetto si è manifestato in diverse epoche, dall'epoca risorgimentale alla Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo articolo esplora alcuni momenti chiave e figure emblematiche di questa lotta.
Il Risorgimento Italiano e la Lotta contro l'Austria
Nel XIX secolo, l'Italia era divisa in numerosi stati, molti dei quali sotto il controllo o l'influenza dell'Impero Austriaco. Il desiderio di unificazione e indipendenza portò a una serie di conflitti e movimenti patriottici. Alessandro Manzoni dedicò l’ode Marzo 1821 al patriota tedesco Teodoro Koerner, che morì combattendo contro Napoleone per l’indipendenza del proprio popolo. L’ode, composta nel 1821, fu pubblicata, insieme al Proclama di Rimini, nel 1848, durante le Cinque giornate di Milano.
Manzoni dedica l’ode Marzo 1821 al patriota tedesco Teodoro Koerner, che morì combattendo contro Napoleone per l’indipendenza del proprio popolo. L’ode, composta nel 1821, fu pubblicata, insieme al Proclama di Rimini¹, nel 1848, durante le Cinque giornate di Milano. Circolò tuttavia manoscritta.
L'atteggiamento riformistico e liberale del giovane Carlo Alberto, erede al trono piemontese, aveva acceso le speranze dei liberali e di coloro che aspiravano all'unificazione dei vari stati italiani sotto un'unica bandiera. Ma le speranze vennero ben presto vanificate sia dall'intervento di Carlo Felice che della polizia austriaca, che procedette a una dura repressione.
Nel timore di una perquisizione della polizia, il Manzoni nascose o addirittura distrusse il manoscritto dell'ode, ma qualche copia venne conservata da amici, e fu pubblicata solo nel 1848, a cura del Governo provvisorio di Milano, a seguito del successo delle Cinque Giornate che facevano ben sperare in una felice conclusione della liberazione dallo straniero, devolvendo i proventi ai patrioti.
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L'ode è un appello alla libertà di tutti i popoli, che va al di là della polemica contro i princìpi (soprattutto quello di legittimità) sanciti dal Congresso di Vienna, princìpi che non tenevano conto delle nuove aspirazioni dei popoli e della nuova situazione europea, venutasi a creare sia con la Rivoluzione francese (sul piano ideologico e politico) che con la Rivoluzione industriale (sul piano economico); l'ode è un appello, infine, contro ogni forma di violenza, ad abbandonare la via del male per seguire quella del diritto dei popoli, rivolto proprio a quei popoli e a quei governi che solo qualche anno prima l'avevano sbandierato per liberarsi dall'oppressione napoleonica.
Le Cinque Giornate di Milano (1848)
Lunedì 27 marzo 1848, alle 5 del pomeriggio, l’arcivescovo di Firenze Ferdinando Minucci intonò un grandioso Te Deum in cattedrale, per celebrare la cacciata degli austriaci da Milano avvenuta a seguito delle Cinque giornate. Durante la seduta del Magistrato comunitativo del 26 marzo, il gonfaloniere Bettino Ricasoli, accogliendo la sollecitazione del ministro dell’Interno Cosimo Ridolfi a solennizzare l’eroico episodio, propose che il giorno dopo Firenze venisse illuminata a festa e che i cittadini, i ministri di Stato, i priori e la Guardia civica si raccogliessero in preghiera nella Metropolitana, per riconoscere «la grandezza dello stupendo fatto Milanese», «esser pronti a cooperare nella Santa Crociata contro lo Straniero» e «dare un pubblico segno della fraterna onoranza agli Italiani di Milano».
L’insurrezione anti-austriaca, si leggeva nel proclama di Ricasoli affisso per le strade e pubblicato sul giornale «La Patria» (espressione dei moderati toscani) - proclama anch’esso qui a fianco proposto - segnava «il primo giorno dell’Era Nuova della Nazionalità Italiana».
Stando alla cronaca de «La Patria», si trattò della festa nazionale fino ad allora più riuscita, dal punto di vista sia della partecipazione sia del coinvolgimento emotivo della popolazione. Dopo la celebrazione, a dispetto della pioggia battente, una gran moltitudine di persone si recò in corteo verso piazza del Granduca (l’odierna piazza della Signoria), per assistere al momento più atteso della giornata: il Discorso ai toscani di Giovanni Berchet sotto le logge degli Uffizi.
Il proclama del Gonfaloniere di Firenze Bettino Ricasoli, del 26 marzo 1848, esortava: «Afferrate questa bella occasione fattavi miracolosamente da Dio, e salvate in eterno dalla dominazione, e dalla presenza dello Straniero, ogni campo, ogni villa dove si parla italiano. Là, nella gran valle del Po, vi chiama la Patria. Guerra, guerra agli Austriaci è il solo pensiero, il solo bisogno del momento. Là, nella gran valle del Po, è d’uopo che si componga un grande Stato, saldo, compatto, il quale serva d’antemurale a qualsiasi invasione straniera, da qualunque parte essa venga. Viva l’Italia!».
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Scavalcando l’autorità del granduca, un’apposita deputazione composta da Salvagnoli, Luigi Sabatelli e Vincenzo Ricasoli fu incaricata di consegnare a Gabrio Casati una copia del provvedimento e il diploma di cittadinanza. Tuttavia, a causa del tormentato prosieguo delle vicende risorgimentali, la lapide «ad onore dei milanesi/ che nel marzo del MDCCCXLVIII/ dopo cinque giorni di battaglia/ cacciati gli austriaci/ diedero il segno della prima guerra d’indipendenza» sarebbe stata realizzata soltanto nel contesto del neonato Stato unitario (1865), per volontà del Comune di Firenze (l’epigrafe fu dettata da Marco Tabarrini, ex-combattente volontario nel 1848).
La Resistenza Italiana durante la Seconda Guerra Mondiale
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Italia fu occupata dalle forze naziste dopo l'armistizio del 1943. Questo portò alla nascita della Resistenza, un movimento di opposizione armata e civile che mirava a liberare il paese dal nazifascismo.
Nel 1943 infatti, con lo sbarco alleato in Sicilia, inizia lo sfacelo della dittatura fascista con l’arresto di Mussolini da parte del Re Vittorio Emanuele III; comincia la lotta partigiana contro il nazismo che da alleato diventa invasore; si gettano le basi, con i vari gruppi armati dei partigiani che imbracciano le armi, dei vari partiti politici che daranno vita alla Repubblica e che scriveranno insieme la Costituzione.
Nel 1945 viene liberata definitivamente l’Italia dal nazifascismo e nel 1946 non solo viene proclamata la Repubblica Italiana col referendum popolare, ma per la prima volta le donne possono votare, conquistando così un diritto fondamentale. Di conseguenza cade la Monarchia che era stata l’asse portante della Nazione dal 1861, con l’annessione della Sicilia al Regno sabaudo.
Il Ruolo degli Stranieri nella Resistenza
Un aspetto meno noto della Resistenza è il contributo degli stranieri che si unirono alla lotta per la liberazione dell'Italia. Molti di questi erano ex prigionieri di guerra o internati civili che, dopo l'armistizio, scelsero di combattere al fianco dei partigiani italiani.
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Se la precondizione della presenza di stranieri nella Resistenza italiana è, in larga parte, la precedente esperienza di prigionia, è decisivo il momento in cui questa viene meno, nelle ore o nei giorni immediatamente successivi alla diffusione della notizia dell’armistizio. Con la disgregazione delle autorità civili e militari, comprese quelle impegnate nella gestione dei campi per prigionieri di guerra e per internati civili, per i reclusi si apre un ventaglio di possibilità che vanno dal totale abbandono dei campi da parte dei corpi di guardia alla ribellione dei prigionieri stessi nella prospettiva di una fuga in massa, passando per uscite - pur sempre in massa ma raramente nella totalità - più o meno pacifiche perché sostanzialmente concordate con i comandi e con le guardie.
Perciò solo una parte dei campi di prigionia viene immediatamente bloccata dagli occupanti, che contemporaneamente iniziano una serrata caccia ai fuggiaschi. Le ragioni dell’attenzione immediatamente prestata dalle truppe occupanti nei confronti di questa marea disordinata in fuga sono relativamente facili da intuire.
Per gli stranieri decidere di prendere parte attiva alla Resistenza non è inevitabile, infatti solo una parte lo fa e per di più in maniera non sempre continuativa. Se per gli italiani esiste la possibilità di non schierarsi, né con i nazisti e i fascisti, né con i “ribelli”, la neutralità non è possibile per gli ex prigionieri di guerra o internati civili che, nemici a prescindere, corrono il rischio di essere nuovamente catturati e condotti in prigionia o, peggio, di finire nel Reich.
Sono perciò evidenti il significato e il valore della scelta di coloro i quali diventano partigiani in Italia: combattono per liberare un Paese che è stato nemico in guerra e che, in più, ha la colpa indelebile di avere generato il fascismo; rischiano la morte per chi ha invaso e occupato il loro territorio, ha ridotto alla fame, ha bruciato, distrutto, ucciso.
Di reparti che aggregano combattenti stranieri della medesima nazionalità ce ne sono sin dall’inizio dappertutto, ricordiamo fra gli altri un “battaglione russo” sul territorio della Repubblica di Montefiorino, inizialmente autonomo poi aggregato a una brigata Garibaldi della zona. Lo comanda Vladimir J. Pereladov e il commissario politico è Anatolij M.
La presenza di sovietici nella Resistenza italiana è consistente, le cifre parlano di oltre 4000 combattenti. Non si tratta di prigionieri di guerra degli italiani.
Quelli che talvolta vengono ricordati, genericamente, come “inglesi” o “alleati” in realtà rappresentano, oltre agli statunitensi e ai britannici, molte fra le nazionalità del Commonwealth: irlandesi, canadesi, originari di varie colonie o ex colonie africane, sudafricani, australiani e neozelandesi.
Vi sono poi polacchi e cecoslovacchi, provenienti da territori occupati dai nazisti a partire dal 1939.
L’abbandono del reparto per unirsi ai partigiani italiani li accomuna a un’ultima particolare categoria, i veri e propri «partigiani della Wehrmacht» ossia coloro che, da cittadini del Reich (tedeschi e austriaci, o cechi dei Sudeti), hanno disertato dalle loro forze armate e si sono uniti a quelli contro cui avevano combattuto fino al giorno prima.
Se «particolare» può essere definita l’esperienza appena illustrata, si fatica a trovare aggettivi per una vicenda da pochi anni ricostruita e legata a un gruppo di etiopi, somali ed eritrei, fra i quali alcuni ascari della Polizia dell’Africa italiana (Pai), portati in Italia nel maggio 1940 e fatti sbarcare a Napoli per essere esibiti alla Mostra delle Terre d’Oltremare.
La loro memoria, sempre più lontana e flebile, rimane comunque incisa sulle pietre di lapidi e monumenti o di cimiteri, dove può capitare che la grafia delle generalità sia sbagliata o manchino del tutto il nome o il cognome, perché ignoti o mai realmente compresi. C’è un luogo che ne raccoglie però più di altri, circa 450, ed è il «Sacrario commemorativo degli Jugoslavi caduti, morti e dispersi 1941-1945», realizzato nel 1973 all’interno del cimitero di Sansepolcro, in provincia di Arezzo.
La Festa della Liberazione
La Festa della Liberazione è la festa nazionale che celebra la dura lotta della Resistenza combattuta per liberare l’Italia dal governo fascista e dall’occupazione nazista. La festa, in particolare, è stata istituita con decreto legislativo luogotenenziale del Re Umberto II su proposta del Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (ufficializzata con legge n° 260 del 27 maggio 1949).
Il 25 aprile 1945, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai) assunse il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo Italiano”, ed ordinò via radio l’insurrezione generale di tutti i territori occupati dai nazisti e dai fascisti: celebre l’annuncio di Sandro Pertini “Arrendersi o perire”.
La Liberazione dal regime fascista avvenne attraverso una duplice legittimazione: politica (risultante dai rapporti di forza) e giuridica (attraverso il d.lgs.lgt. 151/1944).
Difatti, a guerra terminata, furono gli stessi partiti che avevano guidato l’Italia verso la Liberazione a prendere parte all’Assemblea costituente: la Costituzione generata da queste forze sociali non poteva non essere antifascista ed eretta sui valori di democrazia, di libertà ed essere dotata degli anticorpi necessari a respingere il ritorno ad un regime totalitario.
La Costituzione Italiana come Garanzia Contro il Ritorno del Fascismo
Per le forze della Resistenza ancorare la forma di stato democratica alla Costituzione fu l’obiettivo delle Costituzioni nate sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale. Oggi tutto questo non sarebbe possibile perché allo stato d’eccezione viene dato un limite temporaneo, previsto o nella stessa Costituzione (Germania), o in legge ordinaria (Italia).
L’Italia Repubblicana si è eretta sulla sintesi di un sentimento comune: l’anti-fascismo. A futura memoria della lotta in nome della libertà contro il regime fascista, è stata elaborata la XII disposizione transitoria e finale: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
In Costituente si discusse anche sulla reale portata del divieto: avrebbe avuto ad oggetto qualsiasi forma di partito “fascistizzante” o “soltanto” la particolare esperienza storica che il fascismo aveva avuto nel nostro Paese? Fu Palmiro Togliatti a precisare che le parole “disciolto partito fascista” lo legano ad un’esperienza storica concreta, non ad un “concetto puro”.
Ad attuare tale disposizione è stata la Legge Scelba con l’introduzione del reato di “apologia di fascismo”.
Ebbene, in questo caso non si fa riferimento alla disposizione ma all’intera Costituzione: è l’intera architettura costituzionale ad essere antifascista. La Costituzione, generata dall’antifascismo, si fonda su valori antifascisti.
Il fascismo, prendendo il potere dall’alto, aveva negato le libertà, il pluralismo, l’uguaglianza. L’Italia è ora una Repubblica democratica, legittimata dal popolo, fondata sulla libertà, sul pluralismo, sull’uguaglianza.
A conclusione, si vuole qui riportare un passo, tratto dal “Fascismo eterno” di Umberto Eco, quale esemplare testimonianza della “Liberazione”. Egli ci racconta quando, il 27 luglio del 1953, andando a comprare il giornale, si rese conto della “libertà”.
Tabella dei Contributi Stranieri alla Resistenza Italiana
Nazionalità | Numero Stimato di Combattenti | Note |
---|---|---|
Sovietici | Oltre 4000 | Ex prigionieri di guerra |
Britannici e del Commonwealth | - | Irlandesi, canadesi, africani, sudafricani, australiani, neozelandesi |
Polacchi e Cecoslovacchi | - | Provenienti da territori occupati dai nazisti |
Partigiani della Wehrmacht | 1000-2000 | Tedeschi, austriaci, cechi dei Sudeti disertori |
Etiopi, Somali, Eritrei | - | Ex ascari della Polizia dell’Africa italiana (Pai) |
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