Albergo Atene Riccione

 

Noi Siamo Gli Stranieri: Il Significato di "Clandestini" in Italia

Fino a qualche anno fa, la parola "clandestino", utilizzata come aggettivo, evocava principalmente la storia dei movimenti e dei partiti antifascisti attivi durante la resistenza, o le lotte dei movimenti di liberazione contro i regimi autoritari. In nessuno di questi casi, la parola assumeva una connotazione negativa.

Oggi, la parola è stata "ontologizzata": usata per lo più come sostantivo, identifica nell'uso corrente, soprattutto nel discorso politico e mediatico, i migranti che tentano di raggiungere le nostre coste o che risiedono nel nostro paese privi di un titolo di soggiorno. Dal punto di vista etimologico, nella parola clandestino, di origine latina - clam ('nascosto') e dies ('giorno') , letteralmente 'nascosto di giorno' -, è presente l'idea della segretezza, dell'occulto, dell'ombra e dell'oscurità.

L'associazione della parola al fenomeno migratorio ha accentuato il concetto di "illegalità" che essa porta con sé: tra i significati che essa ha acquisito nel corso del tempo vi è infatti quello che si riferisce a comportamenti e attività posti in essere senza l'approvazione o di fronte all'espresso divieto delle pubbliche autorità. Ma sono stati definiti spesso clandestini anche le migliaia di donne, uomini e bambini morti in quel cimitero a cielo aperto che è divenuto il Mediterraneo, ovvero le persone che non hanno ancora mai toccato le nostre coste e dunque non hanno fatto in tempo a infrangere la legislazione che regola l'ingresso e il soggiorno dei cittadini stranieri nel nostro paese.

"Clandestino": Uno Stigma Xenofobo

"Clandestino" è un marchio, un logo, uno stigma, una parola chiave utilizzata in modo sempre più estensivo dalla retorica xenofoba e razzista per costruire muri e frontiere simbolici tra "noi" e "loro" là dove il "noi" identifica i cittadini autoctoni e il "loro" chiunque provenga da un paese terzo - Stati Uniti, Svizzera, Giappone e Australia naturalmente esclusi. L'uso della parola non è però unica prerogativa delle destre e della Lega Nord.

L'egemonia culturale esercitata dalla retorica del rifiuto nell'ultimo ventennio, a partire dalla crescita del movimento leghista, ha per così dire contaminato non poco anche le forze politiche democratiche e di sinistra. "Clandestino" è un'etichetta che disumanizza le persone: la disumanizzazione è funzionale alla negazione dei diritti, persino del diritto di esistere.

Leggi anche: Approfondimento su Notre Dame de Paris

La clandestinità è un prodotto della legislazione nazionale e comunitaria che regola l'ingresso e il soggiorno dei migranti provenienti da paesi terzi in Italia e in Europa. Non si è clandestini per scelta, lo si diventa per costrizione. Se fosse possibile raggiungere le nostre coste con un mezzo di trasporto di linea, se il diritto a migrare (riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, art. 13) fosse accompagnato da un universale diritto a immigrare, si salverebbe la vita di molte persone e la presenza di migranti privi di documenti diminuirebbe.

La legislazione sull’immigrazione disegna invece una realtà “virtuale” centrata sulla distinzione tra gli “immigrati buoni” che entrano regolarmente in Italia e “rispettano la legge” e gli “immigrati cattivi”, i clandestini, che invece sarebbero “criminali per natura” perché tentano di varcare le frontiere senza avere il titolo di ingresso richiesto.

L'Importanza del Linguaggio

Le parole non sono neutre, al contrario hanno una valenza performativa. L'utilizzo della parola clandestino con riferimento ai migranti andrebbe eliminato dal nostro dibattito pubblico perché se associata al fenomeno delle migrazioni assume un significato discriminatorio, stigmatizzante e fortemente criminalizzante. L'equazione immigrati/clandestini/criminali è uno dei messaggi che hanno maggiormente contribuito a orientare il dibattito pubblico e la pubblica opinione nella direzione di un approccio distorto e prevalentemente sicuritario al fenomeno delle migrazioni.

La rinuncia all'utilizzo di questa parola è stata suggerita per la prima volta alcuni anni fa da una campagna promossa dai Giornalisti contro il razzismo e continua ad essere sostenuta dall'associazione Carta di Roma, fondata nel 2011 da FNSI, Ordine Nazionale dei Giornalisti e alcune organizzazioni della società civile proprio per promuovere una informazione corretta su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.

Tre agenzie di stampa italiane, Redattore sociale, Dire e Adn Kronos, si sono già impegnate a non utilizzare questa parola con riferimento ai migranti. Sarebbe più che opportuno che il loro esempio venisse seguito dalle altre testate giornalistiche di stampa, radio e tv, in primo luogo quelle pubbliche. E sarebbe ugualmente auspicabile che di essa facesse a meno chi riveste un ruolo di rilevanza pubblica nei partiti, nelle istituzioni e nel mondo della cultura.

Leggi anche: Impara l'italiano: livello B1

Migranti, profughi, richiedenti asilo, persone senza documenti: le parole alternative sono molte, usiamole.

L'Evoluzione del Linguaggio e della Percezione

Sorpresa: nell'anno della crisi dei migranti, l'Italia si scopre più sensibile a un linguaggio corretto e attento. Cambia l'uso delle parole e lo scopriamo con il motore di ricerca più famoso al mondo. Quel nome li colloca, decide per loro: viaggiatori illegali oppure persone che rischiano per salvare la propria pelle e quella dei propri figli.

E abbiamo verificato che la lingua cambia e con lei di conseguenza anche la percezione che abbiamo dei fenomeni. Guardiamo per esempio il grafico qui sotto ed elaborato attraverso Google Trends. Mette a confronto le ricerche di tre termini chiave con cui in Italia sono stati chiamati fino a oggi gli stranieri che arrivano nel nostro paese in modo più o meno regolare. Abbiamo tenuto volutamente fuori espressioni che hanno un significato razzista come l’ormai in disuso “vu cumpra’”.

Innanzitutto si nota una lenta e inesorabile discesa di “extracomunitario”. Un termine e un concetto che la nostra lingua sta piano piano espellendo dall’uso comune. La Comunità Europea non esiste più da tempo e anche l’italiano registrato da Google ne sta prendendo atto. Cosa ci dice questo secondo grafico? Che l’interesse intorno al tema dei migranti è più o meno costante negli ultimi dieci anni. E che le esplosioni d’interesse segnalate dai picchi di “clandestini” coincidono con fatti eclatanti di cronaca nera o politica.

Ma inoltre quel grafico racconta di un cambiamento in corso. “Rifugiati” è stata fino a poco tempo fa parola perlopiù tecnica, per addetti ai lavori dei diritti umani e che difficilmente in passato è entrata in una reale discussione pubblica. In un passato più lontano erano i pochi esuli provenienti dai paesi dell’est Europa e poi del Sud America. Poi sono stati quelli, anch’essi lontani fisicamente e nell’immaginario, dei campi mediorientali o africani. Ma dal 2015 non è più così.

Leggi anche: Letture semplificate in italiano A2

Nei mesi passati, le due linee che seguono l’andamento delle ricerche su “clandestini” e “rifugiati” si avvicinano fin quando nella settimana a cavallo tra agosto e settembre avviene il sorpasso.

È un’estate straordinaria quella del 2015, pochi mesi in cui il numero di coloro che hanno attraversato il mare in cerca di salvezza è cresciuto in maniera impensabile fino a pochi mesi fa. A Lampedusa e nelle altre regioni meridionali arrivano decine di migliaia di persone in fuga dalla guerra e da persecuzioni politiche, le immagini dell’esodo dei siriani dalla Turchia verso la costa greca colpiscono con forza l’opinione pubblica italiana e non solo. L’impatto è inevitabile anche sui media.

Poco alla volta quelli che erano “clandestini” ora nella lingua, sui media, sugli autobus, nelle scuole, iniziano a essere chiamati “rifugiati”. E non è solo una questione di parola, di iniziare a sostituirne una con un’altra ma anche di sensibilità diffusa verso le persone. Molti giornali e tv stanno iniziando a usare parole adeguate, hanno iniziato a chiamare col nome rispettoso chi fugge da guerre e persecuzioni. Al tempo stesso le persone, tutti noi impariamo a selezionare le informazioni, filtrando il linguaggio e condizionando così di rimbalzo i media.

La Riflessione Etica e Religiosa

Le parole del Levitico, capitolo 19, versetto 34 sono chiare «Il popolo ebraico si è trovato molte volte nella sua storia nella condizione di fuggiasco. Siamo quindi nella condizione di comprendere anche psicologicamente chi è costretto a lasciare la propria terra per via della guerra o della povertà. Ma c’è di più. Nel salmo 119 David dice ‘Io sono straniero in terra’. Essere stranieri è una condizione esistenziale. Attenzione, non dell’ebreo, come si potrebbe pensare. Siamo stati per secoli indicati come ‘erranti’ ‘popolo dannato all’esilio’. È una condizione esistenziale di tutta l’umanità. Tutta l’umanità è in un certo senso ‘di passaggio’ su questa terra. E chiunque può trovarsi nella condizione di migrare, o ad aver bisogno di rifugio.

«Gher, straniero, ha la stessa radice di gar, abitare. Questo ci dice alcune cose sul rapporto tra l’uomo e la terra. La Torà ci dice di amare lo straniero. Diversamente dal versetto che prescrive di amare il prossimo, che in ebraico va letto correttamente “ama per il tuo prossimo”, intendendosi “desidera per il tuo prossimo ciò che desideri per te stesso”, verso lo straniero il precetto è proprio “ama lo straniero”. Ma oggi su questo si fa molta retorica. Di fronte alla tragedia dei migranti nel nostro mare abbiamo sentito la parola “vergogna”. È molto facile fare demagogia populista. Ma amare lo straniero, come prescrive la Torà, amare l’uomo nella sua dignità profonda implica il concetto di tzedakà, giustizia. Implica offrirgli casa e lavoro. Non farlo vivere di elemosina, ma dargli una dignità. E allora dobbiamo sapere quanto questa “civilissima” Europa è in grado di fare.

Integrazione e Accoglienza

Se non si lavora per l’integrazione, per la valorizzazione della ricchezza data dal confronto, si rifiuta in toto, qualsiasi cambiamento, qualsiasi novità. E soprattutto si osteggia chi finora aveva accettato di vivere nell’ombra, e comincia a chiedere di avere pari dignità. Se questo non viene accettato, se si vede in questo il pericolo della contaminazione o del dover dividere una “torta” con poche fette, allora è facile che si instilli l’odio.

Rimane straniero, estraneo, altro da me e forse per questo si merita pure quanto gli succede. Si annulla l’empatia, il sentirsi esseri umani tra esseri umani.

Migranti: Chi Sono?

Chi sono i migranti? E, specularmente, chi sono gli autoctoni? Crediamo di avere delle risposte a queste domande anche se già la costruzione dell’Europa unita ha modificato e continua a modificare una delle categorie che abbiamo adottato per distinguere fra “noi” e “loro”, quella degli “extracomunitari”.

Se guardiamo un po’ più in profondità, però, ci accorgiamo che definire chi siamo “noi” e chi siano “loro” comporta anche problemi di altra portata. La storia dell’umanità è una storia di migrazioni. Lungo le loro rotte sono passati i popoli perseguitati, come quello ebraico, che affonda la sua identità nell’esodo e nella diaspora. Sulle rotte dei migranti hanno viaggiato le grandi religioni, diffondendosi nel mondo; Cristo stesso le ha percorse, e così i suoi genitori - Giuseppe e Maria - che in fondo erano dei viaggiatori costretti a cercare un’ospitalità per la notte, in una città e una regione che non conoscevano, nella notte più fredda dell’anno, e che furono anche “rifugiati politici” in Egitto.

Se oggi celebriamo, giustamente, la Giornata mondiale delle migrazioni, dobbiamo dunque chiederci in primo luogo chi sono i migranti; solo quando avremo ben chiaro che migranti siamo tutti, che tutti noi siamo il frutto di incontri, confronti, mescolanze, “contaminazioni”, potremo riconoscere in quelli che le leggi classificano oggi come immigrati, i nostri fratelli, nei quali specchiarci.

Tuttavia, mai come oggi la condizione del migrante è una condizione difficile. Migranti criminalizzati perché clandestini, senza distinguere in base alla loro condotta. Migranti sfruttati dalle economie sommerse o criminali, e perseguitati se osano protestare, come nelle mille Rosarno d’Italia.

Valorizzare le differenze significa considerare la diversità come fonte di ricchezza, un principio che è parte integrante, lo sottolineiamo di nuovo, della nostra Autonomia speciale. Ciò non vuol dire annullare le differenze, naturalmente, o disconoscere l’esistenza di un forte, solido, sostrato culturale e valoriale, su cui la comunità trentina ha edificato il benessere di oggi, la sua qualità della vita. Significa però accettare il fatto che nessuna cultura è immutabile e impermeabile, che si cresce attraverso l’incontro con l’altro, imparando a governare le proprie paure e a trarre gioia dall’esperienza del dono, che da sempre è il gesto con cui gli uomini testimoniano della loro volontà di fare amicizia anche quando sono stranieri gli uni agli altri.

Perché riconoscendoci come persone mettiamo a fuoco nell’altro ciò che lo accomuna a noi. La sua umanità, certo.

TAG: #Stranieri

Più utile per te: