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Pensioni per Stranieri Comunitari: Requisiti e Calcolo

Le pensioni italiane spettano anche ai lavoratori stranieri, sia comunitari che extracomunitari. In base al diritto internazionale, tutti i cittadini stranieri, comunitari ed extracomunitari, in materia previdenziale hanno pari diritti e pari trattamenti. Tradotto in termini pratici, la pensione spetta anche agli stranieri.

E dal momento che si tratta di una prestazione collegata ai contributi versati, questa prestazione può essere fruita anche una volta rientrati nel proprio Paese natio. Tornare in Patria e godere della pensione italiana dopo il lavoro svolto nella Penisola è un diritto di tutti i lavoratori. Naturalmente bisogna rispettare determinate condizioni e completare determinati requisiti.

Per esempio bisogna compiere 67 anni (66 con adeguamento alla speranza di vita) per poter ottenere la pensione italiana dopo il rimpatrio. Un lavoratore extracomunitario al compimento di 67 anni di età può chiedere la pensione per i periodi contributivi versati in Italia. Il lavoro svolto nella Penisola però non deve essere stagionale perché questo è un primo vincolo imposto al diritto di godere del trattamento italiano.

Età pensionabile e requisiti contributivi

Stranieri in pensione a 67 anni, ma con le opportune differenze in base alla data in cui hanno effettuato il lavoro in Italia. Infatti molto cambia tra sistema retributivo e sistema contributivo. La data fondamentale è il primo gennaio 1996 cioè quella che segna l’ingresso della riforma Dini nel sistema e quindi del sistema contributivo di calcolo delle pensioni.

Per gli stranieri che hanno la prima assunzione in Italia successiva al 31 dicembre 1995 la pensione di vecchiaia può essere chiesta anche senza aver completato i 20 anni di contributi minimi richiesti. Ma solo per il rimpatrio. In alternativa, con 5 anni di contributi, pensione di vecchiaia a 71 anni. Limiti che come detto non si applicano a chi ha iniziato la carriera dopo il 1995.

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Quanto prevedeva la famosa Legge Bossi-Fini riguardo al rimborso dei contributi versati dagli stranieri che non raggiungevano il diritto alla pensione italiana è venuto meno. In pratica, o l’interessato riesce a centrare la pensione o perde i contributi versati.

Assegno sociale per cittadini stranieri

Anche i cittadini stranieri possono richiedere l’assegno sociale. Dal 2009 uno dei requisiti per vedersi riconosciuto l’assegno sociale è il soggiorno legale e continuativo in Italia per almeno 10 anni al momento della domanda (art.20, comma 10, del decreto legge 25 giugno 2008 n.

A differenza della residenza, il requisito dei 10 anni continuativi di soggiorno in Italia una volta conseguito, è definitivo. Pertanto la sua sussistenza va accerta solo in sede di domanda di riconoscimento dell'assegno e, come chiarito nella circolare INPS 105/2008, il possesso del requisito dei 10 anni continuativi di soggiorno in Italia va accertato indipendentemente dall'arco temporale in cui s’è verificato. Pertanto, pur dovendo essere concentrato in un segmento temporale della vita del richiedente (di almeno 10 anni continuativi), il soggiorno può essere collocato anche in un periodo temporale distante dal momento di presentazione della domanda di prestazione assistenziale.

Ad esempio l'Inps considera soddisfatto il requisito nei confronti di un richiedente che presenta la domanda nel 2018 in presenza di un soggiorno legale e continuativo in Italia tra il 2000 ed il 2010. Una volta accertato, resta cristallizzato indipendentemente dall’arco temporale in cui lo stesso si è verificato. Ad esempio, il requisito è considerato valido nei confronti di un richiedente che presenta la domanda nel 2022 in presenza di un soggiorno legale e continuativo in Italia tra il 2000 ed il 2010.

Il permesso per lungo periodo soddisfa in sé il requisito del soggiorno continuativo? No, il permesso di soggiorno di lungo periodo di per sé non prova la permanenza legale continuativa in Italia, che dovrà comunque essere verificata dall’INPS. L’Inps ha precisato che qualora sussista continuità delle date di rilascio di due permessi di soggiorno di lungo periodo, il requisito del soggiorno legale e continuativo di 10 anni non deve ritenersi ex se soddisfatto, essendo comunque necessaria l’ulteriore verifica, da parte dell’INPS competente, dell’effettivo soggiorno continuativo decennale nel territorio dello Stato italiano.

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In particolare, il periodo decennale si considera interrotto in caso di assenza dal territorio italiano per più di 6 mesi consecutivi o per 10 mesi complessivi in un quinquennio. NOTA: La legittimità del requisito del permesso di lungo periodo è stata confermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 50/2019, la quale ha ritenuto che tale richiesta non venisse assorbita da quella dei 10 anni di residenza. Con l’ordinanza del 30.04.2024, la Corte Costituzionale ha disposto di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione relativa alla compatibilità con il diritto dell’Unione della norma che impedisce ai titolari del solo permesso unico lavoro di richiedere tale misura.

Requisiti Economici per l'Assegno Sociale

Per ottenere l’assegno sociale occorre avere un reddito inferiore a 6.947,33 euro annui, elevati a 13.894,66 euro, se il soggetto è coniugato. Chi non possiede nessun reddito riceve l’intero assegno.

Importo e modalità di erogazione dell'assegno sociale

L’importo dell’assegno per il 2024 è pari a 534,41 euro per 13 mensilità. Il pagamento dell'Assegno inizia dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda. Il beneficio ha carattere provvisorio e la verifica del possesso dei requisiti socioeconomici e della effettiva residenza avviene annualmente.

È possibile beneficiare dell’assegno se non si risiede più in Italia? No, la prestazione ha natura assistenziale e non è esportabile; pertanto, non può essere riconosciuta se il titolare della prestazione risiede all’estero. La Corte di Cassazione ha tuttavia chiarito che un allontanamento solo temporaneo non farebbe venir meno il diritto alla prestazione (Cass. civ. sez. lav., n.

Totalizzazione internazionale

I cittadini che hanno regolarmente lavorato in Italia o all’estero e versato i contributi, hanno diritto alla pensione internazionale, al pari di qualsiasi cittadino italiano. All’interno degli accordi dell’Unione Europea è possibile ricongiungere con procedure i contributi versati in tutti i paesi facente parte dell’EU. L’Italia come tutti gli altri paesi dell’Unione Europea ha accordi contributivi bilaterali anche con paesi Extracomunitari.

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Ogni volta quindi lo specialista incaricato dovrà verificare la possibilità del recupero dei contributi versati in un paese extracee. Argentina, Australia, Brasile, Canada e Québec, Isole del Canale, Isole di Man, Israele, Paesi ex Jugoslavia, Principato di Monaco, Repubblica di Capo Verde, Repubblica di S.

La totalizzazione internazionale è ammessa a condizione che il lavoratore possa far valere un periodo minimo di assicurazione e contribuzione nel Paese che deve effettuare il cumulo dei contributi per concedere la pensione. Alcune Convenzioni bilaterali di sicurezza sociale stipulate dall’Italia prevedono la possibilità di estendere la totalizzazione internazionale anche a periodi di assicurazione maturati nel territorio di Stati terzi, alle condizioni e nei limiti previsti dalle singole Convenzioni.

Per poter accedere alla pensione liquidata in Convenzione Internazionale, occorre cessare l’attività lavorativa dipendente svolta sia in Italia che all’estero. Le pensioni in convenzione internazionale vengono pagate all’Estero ogni mese, con le stesse modalità delle pensioni nazionali.

Il sistema di sicurezza sociale italiano

“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” (art.

Il sistema di sicurezza sociale italiano è impostato su due distinte forme di tutela: da un lato la tutela degli inabili e degli indigenti e dall’altro la tutela dei lavoratori, fondata sul principio che alla prestazione lavorativa svolta corrisponde il trattamento pensionistico maturato a seguito del versamento dei contributi.

Il sistema di sicurezza sociale italiano si articola in tre settori rispettivamente gestiti dall’INPS, dall’INAIL e dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Il più grande ente previdenziale italiano è l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS), presso il quale è assicurata la quasi totalità dei lavoratori dipendenti del settore privato e, di recente, anche quelli del settore pubblico.

L’INPS eroga prestazioni sia di natura previdenziale sia di natura assistenziale. Le prime sono determinate in base ai contributi versati, mentre le seconde prescindono dal versamento di contributi (ad es. assegno per il nucleo familiare, assegno a sostegno della maternità e per i nuclei familiari concessi dai Comuni).

L’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) ha invece un ruolo attivo nell’ambito della tutela della salute e della sicurezza del lavoratore. L’INAIL si occupa quindi del regime assicurativo, finanziato mediante i contributi versati solo dai datori di lavoro, garantendo protezione ai lavoratori in caso di infortuni, malattie professionali o morte sul lavoro.

Gli infortuni sul lavoro sono tutti quegli eventi occorsi al lavoratore che hanno luogo per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o l’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che comporta l’astensione al lavoro per più di tre giorni.

I lavoratori dipendenti hanno diritto alle prestazioni INAIL anche se il datore di lavoro non ha adempiuto agli obblighi contributivi. L’INAIL eroga prestazioni di natura temporanea o pensioni a carattere permanente in caso di disabilità permanente, oppure può concedere indennità in caso di morte.

La normativa previdenziale applicata agli stranieri

Il lavoratore straniero che svolge la sua attività in Italia viene assoggettato alla legislazione previdenziale e assistenziale italiana in base al principio della territorialità dell’obbligo assicurativo.

L’erogazione delle prestazioni previdenziali prevede l’avvenuto versamento di un certo numero di anni di contributi, sia per gli italiani sia per gli stranieri. Per i lavoratori dipendenti la quota dei contributi dovuti viene versata dal datore di lavoro. I lavoratori autonomi invece provvedono al versamento dei contributi dovuti all’INPS sulla base del reddito denunciato ai fini fiscali.

Un regime particolare è previsto per i lavoratori stagionali, i quali beneficiano solo di alcune forme assicurative (pensioni, infortuni, malattia e maternità). Se il datore di lavoro non procede al versamento dei contributi, il diritto alla prestazione previdenziale non viene meno se richiesto dallo straniero interessato entro il termine di prescrizione di tre anni.

Esportabilità delle pensioni

In generale, tanto per gli italiani che per i cittadini comunitari e non comunitari sono esportabili le pensioni (ad esclusione di quelle a carattere assistenziale) e le rendite infortunistiche, ad eccezione di quelle previste in caso di malattia, maternità, disoccupazione e cassa integrazione.

Occorre tuttavia distinguere il caso in cui decide di rimpatriare un lavoratore straniero proveniente da un Paese che ha stipulato con l’Italia una convenzione in materia di sicurezza sociale e quello in cui tale decisione è presa da un lavoratore proveniente da un Paese non convenzionato. In particolare, mentre non si pongono problemi se il lavoratore ha raggiunto in Italia il diritto ad una pensione autonoma, diverso è il caso in cui il diritto alla pensione matura solo totalizzando i periodi contributivi maturati in Paesi diversi.

Attualmente, infatti, per aver diritto ad un regime di totalizzazione della pensione, è necessario che vi siano delle convenzioni bilaterali tra l’Italia ed il Paese di origine del lavoratore straniero. Dette convenzioni infatti garantiscono al lavoratore il cumulo dei periodi assicurativi svolti negli Stati contraenti, per conseguire il diritto alle prestazioni qualora non sia stato maturato in maniera autonoma in un singolo Stato.

Nel caso, invece, in cui il lavoratore straniero che decide di rimpatriare proviene da un Paese non convenzionato con l’Italia in materia di sicurezza sociale, il regime di totalizzazione della pensione non trova applicazione. Inoltre, in tal caso, mentre prima della legge 189/2002 (cd Bossi-Fini) ai lavoratori extracomunitari che rimpatriavano definitivamente, veniva riconosciuto (Legge n.335/1995 art.3, comma 13) a prescindere da accordi di reciprocità tra l’Italia e il loro Paese, il diritto a ottenere il rimborso dei contributi versati fino a quel momento,ora tale facoltà non è più prevista.

Attualmente i lavoratori stranieri rimpatriati conservano i diritti previdenziali e di sicurezza maturati, ma possono goderne solo a partire dall’età pensionabile e previa maturazione del requisito contributivo minimo sulla base della normativa vigente in Italia.

Gli italiani soggetti al calcolo esclusivamente contributivo della pensione, invece, possono pensionarsi a 67 anni solo con 20 anni di contributi e un assegno almeno pari a 1,5 volte l’assegno sociale.

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