Femminicidi in Italia: Statistiche e Analisi del Fenomeno
La parola femminicidio può suonare forte, ma è necessaria per definire in modo appropriato la categoria criminologica del delitto perpetrato contro una donna perché è donna. Comprendere e spiegare meglio i contesti è fondamentale per evitare di banalizzare il fenomeno e ridurlo a una mera invenzione mediatica. I numeri, d'altronde, parlano chiaro, rivelando una realtà allarmante con oltre 100 femminicidi registrati dall'inizio dell'anno, praticamente uno ogni tre giorni.
Il termine femminicidio si usa quando il genere femminile della vittima è una causa essenziale, un movente del crimine stesso, nella maggior parte dei casi perpetuato all’interno di legami familiari. Donne uccise da fidanzati, mariti, compagni, ma anche dai padri a seguito del rifiuto di un matrimonio imposto o di scelte di vita non condivise.
Come ricorda l’esperta e avvocato Barbara Spinelli, consulente dell’ONU in materia di violenza sulle donne, questa parola non se la sono inventata i giornali. Negli anni ’90 una antropologa messicana di nome Marcela Lagarde ha analizzato le violenze perpetuate sulle donne messicane individuando le cause della loro marginalizzazione in una cultura machista e in una società che non dà tutele dal punto di vista giuridico, con indagini lasciate pendere e con lo stupro coniugale non considerato come reato. Lagarde è la teorica del termine femminicidio. In esso, oltre all’omicidio, racchiude anche tutte le discriminazioni e pressioni psicologiche di cui una donna può essere vittima. Lo definisce così: “La forma estrema di violenza di genere contro le donne - scrive Lagarde - prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano l’impunità tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa”.
I numeri del femminicidio in Italia
Di genere si muore. Il quotidiano La Stampa ha avviato un osservatorio per monitorare i femminicidi appuntando su una mappa dell’Italia i casi di cronaca. Dall’inizio del 2013 questo osservatorio ha contato 73 casi di femminicidio e 38 casi di omicidi generici di donne. La distribuzione geografica dei crimini è abbastanza omogenea lungo il Paese sebbene si possano notare alcuni “addensamenti” di casi in area milanese e napoletana. Gli omicidi si possono suddividere anche in base al mezzo usato per uccidere.
E nella maggior parte si uccide in modo quasi atavico: con un’arma da taglio, magari un coltello trovato in cucina (sono 34 i casi del genere) oppure a mani nude (33 omicidi). Meno usate le armi da sparo (24 episodi); si contano poi 11 uccisioni con corpo contundente, 5 casi di donne arse vive, ed una che è stata avvelenata.
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Nel 2012 sono state 124 le donne uccise da uomini. Il conto l’hanno fatto le volontarie della Casa delle donne di Bologna, unica realtà in Italia che si occupa di raccogliere i numeri sul femminicidio basandosi sulle notizie pubblicate a mezzo stampa. Infatti, sebbene il comitato della Cedaw (la Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, che l’Italia ha sottoscritto), nel 2011 abbia richiesto all’Italia di strutturare un metodo per raccogliere i dati sul femminicidio, il nostro paese è indietro e una raccolta ufficiale ancora non esiste.
Secondo il dossier che la Casa delle donne ha presentato lo scorso 8 marzo, la maggior parte dei delitti avvenuti nel 2012 si sono svolti - a dispetto degli stereotipi - nel nord: uno degli elementi individuati come “scatenanti” sarebbe la parità di genere. Il 31% delle vittime di violenze domestiche erano straniere e di nazionalità italiana il 73% degli assassini.
Il rapporto della Casa delle donne di Bologna ha evidenziato tuttavia una nota positiva: una maggior attenzione della stampa quando si scrive di femminicidio. Evitare frasi fatte che banalizzano e non spiegano, come “omicidio passionale”, aiuta, infatti, a far capire meglio la portata del fenomeno. Sottolineare negli articoli le denunce e i maltrattamenti che hanno preceduto il delitto, senza parlare, in modo facile, di “raptus”, sposta l’attenzione su un fattore chiave: il femminicidio spesso è solo l’ultimo grado di un climax, e raramente è frutto di un momento d'ira incontrollata.
I dati della Casa delle donne dimostrano, infatti, che quattro donne su dieci - un dato che si ritiene sottostimato - hanno subìto abusi prima di venire assassinate. Questo accende un faro sulla prevenzione: è possibile fermare la violenza, dicono le autrici del dossier, “destinando risorse ai centri antiviolenza, rafforzando le reti di contrasto ad essa tra istituzioni e privato sociale qualificato, perché sempre più donne possano sentirsi meno sole e superare la paura”.
Analisi del fenomeno del femminicidio in Italia
Nel dicembre 2012 l’Eures, in collaborazione con l’Ansa, ha pubblicato un’indagine sul fenomeno del femminicidio negli ultimi dodici anni (dal 2000 al 2011). Dai numeri emerge un crescendo del fenomeno negli ultimi anni (dal 2009 in poi) che raggiunge nel 2011 il record del 30,9% degli omicidi totali: un omicidio su tre è rosa.
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Tra i femminicidi censiti nel decennio in analisi, ben il 70,8%, cioè 1.459 casi, è avvenuto nell’ambito di relazioni familiari o affettive. Praticamente sette donne su dieci vengono uccise in famiglia. Questa caratteristica è costante, con piccole oscillazioni, per tutto l’arco di tempo preso in considerazione: nel 2011, il 70,6% dei femminicidi è stato in famiglia. Più della metà dei carnefici (66,3%) sono coniugi, partner, ex partner.
Gli assassini tendenzialmente vivono con la donna che uccidono (nel 41,6% dei casi censiti erano conviventi), mentre il 17,6% sono ex coniugi o ex compagni; c’è anche un 7% che ha ucciso l’amante con cui non ha mai convissuto. Quasi la metà degli omicidi compiuti dagli ex avviene nel lasso di tempo dei primi tre mesi dopo la rottura della relazione. Ma in oltre cento casi l’omicidio è scaturito dalla sola intenzione di interrompere il legame. Secondo il dossier “l’abbandono è un tarlo”.
Che si rinnova a fronte di nuovi eventi (nuovo partner della ex, formalizzazione legale della separazione, affidamento dei figli). La percentuale dei femminicidi scende all'11,8% tra i 90 e i 180 giorni dalla separazione, per risalire al 16,1% nella fascia temporale compresa tra 6 e 12 mesi, al 14,9% in quella tra 1 e 3 anni ed al 6,2% in quella tra 3 e 5 anni, dove giocano un ruolo rilevante le decisioni legali ed i tentativi di ricostruire nuovi percorsi di vita. Soltanto il 3,7% dei femminicidi nelle coppie separate avviene dopo 5 anni dalla separazione.
Sono di più i figli che uccidono le madri (176 vittime, pari 12,1%) dei padri che uccidono le figlie (124 vittime pari all'8,5%). Tutti gli altri tipi di relazione hanno tassi di incidenza molto più bassi, con valori pari al 2,5% per le sorelle, all'1,9% per le suocere e all'1,1% per le nonne.
Uscendo dai contesti strettamente familiari, l’indagine ha rilevato 91 casi (il 4,4% del totale) in cui l'assassino è un amico o un conoscente, 49 femminicidi nei rapporti di vicinato (2,4%) e 29 nei rapporti economici (1,4%). Consistente è poi il numero di prostitute uccise nell’ultimo decennio: 148 vittime.
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Target delle vittime: età e rischio
Oltre metà dei femminicidi dell’ultima decade hanno interessato la fascia d’età tra i 25 e i 54 anni, colpendo giovani donne e madri. In termini assoluti, il numero più alto di vittime si riscontra tra le ultrasessantaquattrenni: 472 nell'intero periodo, pari al 22,9% del totale. Tuttavia, poiché le donne in questa fascia d'età sono più numerose, l'indice di rischio medio annuo è pari a 5,9 donne uccise ogni milione di residenti della stessa fascia d'età, decisamente inferiore rispetto ad altre fasce.
Il valore più alto si registra nella fascia 25-34 anni (7,2 femminicidi per milione di residenti), seguita dalla fascia 35-44 anni (7,0 vittime per milione di residenti) e da quella 18-24 anni (con un indice di 6,9 e 182 vittime censite). Sono infine 130 le minorenni uccise in Italia tra il 2000 e il 2011 (85 nella fascia 0-10 anni e 45 nella fascia 11-17), con un indice di rischio (2,2) decisamente inferiore a quello di tutte le altre fasce di età (5,7 il valore complessivo).
Distribuzione geografica del fenomeno
Tra il 2000 e il 2011, si sono verificati complessivamente 2.061 femminicidi: la metà di questi casi (728 donne uccise, cioè il 49,9% del totale) si è rilevata nel nord Italia, un 30,7% di casi sono al sud e il 19,4% al centro. In termini di incidenza sulla popolazione, la prerogativa del nord si conferma: qui, infatti, ci sono 4,4 vittime ogni milione di donne residenti, contro una media-paese di 4 (al sud è 3,5).
Scendendo a livello regionale, la Lombardia è la prima regione per numero di femminicidi (251, cioè il 17,2%), seguita dall'Emilia Romagna (128 e 8,8%), dal Piemonte e dal Lazio (entrambe con 122 vittime nei 12 anni considerati, pari all'8,4% del totale). Osservando tuttavia l'incidenza sulla popolazione femminile, è il Molise la regione più violenta, con 8,1 femminicidi medi annui per milione di residenti (16 casi); seguono la Liguria (6,1), l'Emilia Romagna (4,9), l'Umbria (4,8 con 26 femminicidi), il Piemonte (4,5) e la Lombardia (4,3).
La Convenzione di Istanbul e le misure legislative
Lo scorso 19 giugno è stata ratificata da Camera e Senato la Convenzione di Istanbul per la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne. La Convenzione è stata approvata dal Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di protezione dei diritti della donna contro ogni forma di violenza.
Dallo scorso giugno, dunque, la Convenzione è legge anche in Italia: lo scopo è quello prevenire atti di violenza, proteggere le vittime e perseguire gli aggressori, oltre che riconoscere una volta per tutte la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani. È composta da 81 punti alcuni dei quali riguardano anche la protezione dei bambini testimoni di violenza domestica, la penalizzazione dei matrimoni forzati, delle mutilazioni genitali femminili e dell’aborto e della sterilizzazione forzata.
Femminicidi nel mondo e un focus sui nostri vicini europei
L'ultimo report delle Nazioni Unite uscito nel 2024 ha evidenziato come solo nel 2023 almeno 51.100 donne e ragazze siano state uccise da uomini con cui avevano avuto una relazione o da familiari stretti, e il dato è in aumento rispetto alla stima del 2022, che ha contato 48.800 vittime. Ciò significa che, nel mondo, ogni 10 minuti una donna viene uccisa.
Nel 2023, secondo le stime del report, il numero più alto di vittime è stato registrato in Africa, con 21.700 vittime. A seguire c'è l'Asia con 18.500, le Americhe con 8.300, l'Europa con 2.300 e l'Oceania, con 300 vittime. Le stime, però, non sono nemmeno finali, date le persistenti limitazioni in termini di disponibilità dei dati.
A livello europeo, in particolare, non va meglio in altri Paesi, se guardiamo ai nostri vicini. Nel 2024 in Francia ci sono stati 93 femminicidi, come testimonia anche il collettivo "Féminicides par compagnons ou ex", che raccoglie le storie delle vittime e si impegna per sensibilizzare l'opinione pubblica. La Spagna, invece, i femminicidi sono diminuiti del 30% in vent'anni, come riporta il Ministero dell'Uguaglianza. Nel 2024 ha registrato 57 femminicidi, rendendolo l'anno con il numero più basso dal 2003. In Germania, solo nel 2023, secondo il rapporto più recente dell'ufficio federale di polizia criminale, si sono verificati ben 360 femminicidi. Praticamente una donna ogni giorno. Nel 2021, i femminicidi registrati erano 337, posizionandosi tra i paesi con il numero più alto di femminicidi in Europa.
La sensibilizzazione e il ruolo della società civile
In Italia, a seguito del caso Giulia Cecchettin sono state intraprese alcune misure legislative, come il rafforzamento delle misure di protezione (per esempio è stato previsto l'uso del braccialetto elettronico per monitorare gli aggressori e garantire la sicurezza delle vittime, ma non sempre ha dimostrato di funzionare) o il "Disegno di Legge per la Protezione delle Donne in Pericolo" in cui si prevede l'arresto in flagranza differita fino a 20 giorni. Ciò significa che pur non trovando l'aggressore sul luogo del reato al momento in cui la violenza è avvenuta, le autorità possono arrestarlo successivamente (entro un certo termine) se ci sono prove solide che dimostrano il reato denunciato dalla vittima o dai familiari.
Inoltre, lo scorso 7 marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di disegno di legge mirato a riconoscere il femminicidio come fattispecie autonoma di reato, sanzionata con la pena dell’ergastolo. Tuttavia, le misure legislative e giudiziarie, finora, raramente si sono dimostrate utili nel prevenire i femminicidi, anche considerando i casi in cui sono state depositate in questura numerose denunce da parte delle vittime. Le leggi, quindi, non bastano: vanno accompagnate da campagne di sensibilizzazione ed educazione affettiva insegnata nelle scuole, ma anche da un cambiamento dei linguaggi utilizzati dai media, che contribuiscono a sensibilizzare l'opinione pubblica. La strada per sradicare la cultura della violenza è ancora lunga da fare, e va percorsa su ognuno di questi fronti.
Che cos’è un femminicidio
L’omicidio di una donna compiuto come atto estremo di violenza misogina è definito “femminicidio”. Le definizioni precise possono variare, ma si tende a ritenere che non tutti gli omicidi che hanno come vittima una donna siano femminicidi: il movente dell'omicidio deve essere specificamente legato al fatto che la vittima è una donna. Questo crimine, spesso compiuto da ex fidanzati, ex mariti, familiari, conoscenti o gli stessi compagni delle vittime, viene spesso anticipato da violenze fisiche, psicologiche, sessuali ed economiche con l'obiettivo di esercitare controllo, potere e dominio sulla donna in questione.
Cause del femminicidio
Dietro al femminicidio stanno molte componenti culturali e psicologiche complesse, ma una è forse più degna di nota di altre perché spesso fugge all'attenzione quando si leggono notizie di questo genere. Esiste un meccanismo psicologico molto complesso nella mente dell'assassino per cui la donna non è più vista come essere umano, ma come oggetto. La vittima infatti viene deumanizzata dal killer: è priva di valore, autonomia, indipendenza, vita e desideri propri, e viene percepita solo e unicamente come una (ex) proprietà. Quando si priva una persona della sua umanità, infatti, è più facile giustificare atti di violenza nei suoi confronti, perché non si vede più il motivo di portarle rispetto. Proprio questa visione di possessione dell'altra persona alimenta nell'assassino gelosia patologica e violenza, fino a sfociare nell'omicidio.
Ma per quanto ostracizzato (anche perché poco compreso da molti e perché necessità di un'attenzione profonda), il motivo principale e matrice dell'odio nei confronti delle donne rimane il sistema patriarcale o quantomeno i suoi retaggi. Per secoli, nel mondo, le donne sono state viste come entità subordinate all'uomo: dovevano sposarsi, fare figli, curare la casa, seguire determinate condotte di umiltà e morigeratezza. Non dovevano saper leggere, né scrivere o sviluppare la capacità di analisi sul mondo perché così era possibile tenerle sotto controllo. Rendere una metà del mondo analfabeta dal punto di vista funzionale ed emotivo è stato ciò che per secoli ha permesso di non porsi domande su quali fossero i suoi desideri e i suoi diritti.
Secondo le statistiche pubblicate dal Ministero dell'Interno in cui viene considerato il periodo 2019-2024, i femminicidi sono aumentati tra il 2020 e il 2023, per poi scendere del 6% tra il 2023 e il 2024. Solo lo scorso anno le donne uccise sono state 113, di cui 61 uccise dal compagno o dall'ex (dati Servizio Analisi Criminale). I femminicidi in ambito familiare e affettivo hanno subito un progressivo decremento a partire dal 2021 al 2023, ma sono incrementati del 3% durante lo scorso anno.
Nell'anno passato, oltretutto, sono leggermente aumentati i femminicidi in cui l'assassinio è un ex partner della vittima: in questi casi, è chiara la predominanza delle vittime di genere femminile, con un'incidenza pari all'86% (91% nel 2023). I report del Ministero dell’Interno riguardanti questo crimine a partire da quest'anno usciranno con cadenza trimestrale sul proprio sito. Infatti, sono già stati resi noti i primi dati (gennaio-marzo 2025). Rispetto ai femminicidi commessi nello stesso periodo dell’anno precedente, emerge che il numero degli eventi è attualmente in diminuzione.
Statistiche sui Femminicidi in Italia (2000-2011)
Regione | Numero di Femminicidi | Incidenza sulla Popolazione Femminile (per milione) |
---|---|---|
Lombardia | 251 | 4.3 |
Emilia Romagna | 128 | 4.9 |
Piemonte | 122 | 4.5 |
Lazio | 122 | N/A |
Molise | 16 | 8.1 |
Liguria | N/A | 6.1 |
Umbria | 26 | 4.8 |
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