Il significato di "Straniero" di Lucio Battisti: un'analisi approfondita
L'anno 1982 fu un anno particolare. Proprio come nel lavoro di Fellini, Lucio Battisti epura il riflesso di se stesso (come si può vedere nella copertina interna dell'album "E già") e recupera la purezza, similmente a come Federico Fellini fece con "Il Casanova".
L'esuberanza di Mogol-Battisti, con la sedimentazione di Panella-Battisti, evidenzia ancora l'ego. C'è il pensiero umorale dei primi, in una sinusoide in crescendo, e il pensiero intellettuale del secondo periodo, con una sinusoide che declina cosciente. Ma in "E già" c'è la sospensione: finalmente solo Battisti bascula nel niente del suo punto morto superiore, nel depensamento, nell'inaspettato.
Un'entità che provoca corto circuiti come tutte le manifestazioni che non richiedono baratti: lo scambio sottile genera confusione mettendo in crisi la parte grossolana dell'estetica di ognuno di noi. L'immediatezza della proposta sfiora la beatitudine del non pensiero; "quando stai seduto stai seduto e basta!" suggerisce un detto "estremo" orientale.
Ed è quello che sento quando ascolto questo disco, un'immediatezza serena che condivide senza contrapposizioni nel porgere l'intimità di Battisti, senza i filtri della considerazione che negli altri dischi pre e post si sentiva, eccome. Qui c'è una liberazione dalla vanità, un rilassamento maturo, monda il nostro egoismo di volere che si rispettino le aspettative.
Attraverso un'elettrowave psichico le parole si amalgamano con l'esterno creando un legame immediato, e la grafica non è da meno con quel vestito bianco nel sogno che Lucio ci ha voluto partecipi insieme a lui: lo specchio, il riflesso, il bagliore. Proviamo a dare una chiave facendo un track by track trasversale: in "Scrivi il tuo nome" c'è l'invito ad andare oltre le apparenze, in "Mistero" le nozze alchemiche, "Windsurf" è il viaggio astrale, "Rilassati e ascolta" è consapevolezza del cambiamento, "Non sei più solo" la catarsi, "Straniero" l'accomiatamento dalla vecchia dimensione, "Registrazione" è l'acquisizione dell'unità, "La tua felicità" è il conosci te stesso, "Hi-Fi" visualizza l'invisibile e "Slow motion" lo mistifica, "Una montagna" la fine della dualità, "E già" dirada l'illusione.
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"Straniero": un brano sull'immigrazione
"Straniero" spiega in modo chiaro cosa pensava Battisti dell'immigrazione. Contenuto nel suo disco elettronico per eccellenza, ovvero "E già", e quindi avvolto in un'algida patina ad alta definizione, ha un testo di profondo altruismo che va oltre l'idea di accoglienza spicciola.
Si tratta di un'amicizia che nasce proprio nel conoscere "l'altro da sé". Battisti vuole sapere le peripezie di quel "volto scuro" sul quale "un sorriso è nato / un profumo di grano maturo/ il vento ha accarezzato". Ce l'ha fatta, il treno con cui è partito è un ricordo oramai: "non andare via, qui sei rinato / il posto l'hai trovato" è l'invito accorato di Battisti, che in questo disco probabilmente scriveva di suo pugno i testi con la moglie (qui indicata come Velezia).
Battisti aveva talmente a cuore questo brano che lo scelse come lato B del singolo E già, giunto al secondo posto nella classifica italiana.
Lucio Battisti e il mercato internazionale
Lucio Battisti era infatti sicuramente il più alla “moda” per quello che concerneva la canzone d'autore italiana: grazie al sodalizio artistico con Mogol, che l'aveva proiettato ai vertici del panorama nazionale, l'unica cosa che rimaneva da fare era provare il mercato internazionale. È per questo che la RCA decise di investire e di lanciare il Lucio nazionale nel mercato americano: l'operazione consisteva nell'adattare e tradurre i brani del suo ultimo disco, come “Amarsi un po'” e “Sì, viaggiare”, a cui si sarebbero aggiunte due rivisitazioni di classici come “Il mio canto libero” e “La canzone del sole”.
Infatti nel giro di qualche settimana il disco entrò nell'heavy rotation americana, schizzando in cima alle classifiche e rimanendoci per diverse settimane, con il picco di un secondo posto per “To feel in love”, adattamento di “Amarsi un po'”. E quando arrivò la proposta per organizzare un tour americano, Lucio, che storicamente era restio a esibirsi, dovette accettare. Ovviamente il pubblico americano, che in quelle settimane aveva imparato a conoscere e amare Battisti, era lì solo per i brani in lingua inglese di “Images”, ignari perlopiù dell'enorme quantità di classici prodotta dal duo negli anni precedenti.
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Fu così che nel giro di pochi mesi venne organizzato e registrato il secondo disco in lingua inglese, “Friends”, anche questo un miscuglio di nuove canzoni di un disco che sarebbe dovuto uscire in Italia e si sarebbe dovuto chiamare - a quanto raccontò in seguito Mogol - “Una donna per amico” (si trovano online oggi alcune demo delle canzoni in italiano, mai pubblicate), e altri brani ormai classici del suo repertorio. Ormai la consacrazione di Battisti su suolo americano era definitiva.
Facilitato anche dal suo trasferimento a Los Angeles, Lucio Battisti perse via via il contatto con la canzone e con il pubblico italiano: forse per questa lontananza o per un naturale bisogno di andare avanti, concluse la propria storica collaborazione ed amicizia con il paroliere Mogol, a cui furono preferiti, in questa fase, i testi di Bowie.
L'eredità di Battisti
Grazie all'incredibile successo di “Images” prima e “Friends” poi, tutto il mercato italiano ne risentì ovviamente in meglio, con una grande attenzione nei confronti dei nostri autori e cantautori principali. Sono tantissime le canzoni italiane e straniere dedicate e ispirate alla casa.
Tra le mura domestiche diversi artisti hanno trovato situazioni e sentimenti da mettere in musica per raccontare diversi aspetti della vita. La casa come posto del cuore, come luogo dei ritorni e della memoria. Lo scenario casalingo diventa ambientazione di amori cominciati e finiti, di passioni che nascono e di noia.
Forse perché in casa riusciamo ad essere persone autentiche perché non è tanto la casa in sé, ma quello che la casa significa per noi.
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Altre canzoni sull'immigrazione
È inquietante il silenzio degli artisti pop italiani dopo la strage di Cutro. La vecchia guardia della nostra canzone ha invece descritto con forza e in tempi non sospetti il fenomeno della migrazione nel tentativo di riflettere e sensibilizzare sul tema. Ne ha descritto le speranze, gli orrori, il coraggio, il riscatto.
Non hanno dipinto gli immigrati come vittime, né come eroi, ma come persone, perché immigrati lo siamo e lo siamo stati tutti. Ci hanno fatto salire su quella nave chiamata empatia che è l'unico e ultimo modo per non diventare complici di stragi annunciate. E allora, tutti a bordo.
Esempi di canzoni sull'immigrazione
- Titanic - Francesco De Gregori (1982): Un atto di accusa contro il classismo e le condizioni spaventose dei passeggeri di terza classe, immigrati che cercavano di arrivare in America "per non morire".
- Torneremo ancora - Franco Battiato (2019): Scritto con Juri Camisasca, "Torneremo ancora" parte dal concetto che siamo tutti migranti destinati a reincarnarci, a emigrare in un altro corpo, in un'altra realtà fino al raggiungimento della propria casa madre.
- Pronti a salpare - Edoardo Bennato (2015): Un inno blues al coraggio di ricominciare, a quelli che sono "condannati a rischiare", ma anche un ammonimento per noi occidentali, i privilegiati.
- L’operaio Gerolamo - Lucio Dalla (1973): Narra il continuo movimento di un immigrato per sopravvivere, una costante fuga per non essere mangiato da una belva feroce, che è appunto il capitalismo.
- Oltre il confine - Antonello Venditti (2011): Scritta dal punto di vista di un migrante che è riuscito a toccare terra e viene accolto da una mano sconosciuta.
- Senza frontiere - Pooh (1988): Un pezzo altamente politico che lancia messaggi contro le frontiere, le bandiere, il militarismo e a favore del viaggio come cambiamento.
- Tutt’ egual song’ ‘e criature - Enzo Avitabile (2004): Affronta il tema dei bambini costretti a perdere la loro innocenza, con i fucili in mano o affamati, e la necessità di cercare un futuro diverso per loro.
- Aprite le città - Nada (2016): Un'invocazione potentissima ad aprire le città, ad accogliere l'altro da noi, a salvare invece di affondare.
- Le promesse del mondo - Flavio Giurato (2017): Descrive la condizione del migrare attraverso un linguaggio tra realismo sociale, psicanalitico e onirico, ispirandosi alle stragi di clandestini.
Lucio Battisti: un artista schivo e sincero
Al principio della sua carriera Lucio Battisti, forse anche dietro consiglio dalla sua etichetta, si prestò in apparenza di buon grado alle richieste della stampa. C’è chi sostiene che si rese addirittura volontariamente protagonista di alcuni finti scoop orchestrati ad arte.
Già dai primi anni ’70, quando Battisti aveva ormai preso coscienza dei meccanismi della fama, il numero di interviste che era disposto a rilasciare era drasticamente calato. «Difetti ne ho tanti che non so quale sia il peggiore: forse il dire sempre quello che mi passa per la testa» dichiarava a Bella nel 1979.
Per una persona timida e riservata come Lucio, in effetti, ritrovarsi al centro dell’attenzione di una massa di sconosciuti non dev’essere stato affatto semplice, e poco importa se era stato lui il primo a cercarla, quell’attenzione. Spiegava il suo disagio con una sincerità disarmante: «Per ora sono un divo, un prodotto che si vende, una cosa che va di moda e quindi piace. I fan chiedono l’autografo, le ragazze vogliono toccarmi, baciarmi, i giornalisti parlano di me, i fotografi pretendono che io mi metta in posa. Ma a quante di queste persone interessa ciò che penso, quante di loro sarebbero disposte a fare qualcosa per aiutarmi se ne avessi bisogno?» argomentava.
I fan si fecero ben presto una ragione del desiderio di privacy di Lucio: come è riportato da più e più fonti, andava in giro abitualmente da solo e indisturbato, senza dover adottare accorgimenti da star per eludere eventuali ammiratori molesti. Nei quartieri milanesi dove visse a lungo, Lorenteggio e Città Studi, era un habitué di giardinetti, negozi e supermercati, dove si recava personalmente a fare la spesa o a passeggiare con la famiglia.
La stampa, al contrario, non accettò mai che Lucio fosse così diffidente nei suoi confronti: in gran parte se la legò al dito. Senza farne mistero, peraltro.
Nel tentativo di far passare questo messaggio, alcune testate si lasciarono prendere la mano più di altre, arrivando a insinuare che il suo non fosse un talento poi così genuino, e che il successo ottenuto fosse in fondo immeritato.
L'articolo era accompagnato da un’unica foto: uno scatto in apparenza rubato di Lucio e Grazia Letizia abbracciati e sorridenti. Nonostante già da tempo non fosse più una novità, la relazione tra Battisti e Veronese continuava a essere al centro dell’attenzione generale a tenere incollati ai tabloid milioni di italiani.
Fu così che nel 1975, in un periodo in cui i sequestri di persona erano all’ordine del giorno, sfruttando informazioni facilmente reperibili una banda di malintenzionati tentò di rapire Luca per chiederne il riscatto. La notizia non fu mai confermata né smentita dagli inquirenti, ma il Corriere della Sera ne dava ampio riscontro.
Gli anni con Panella: una svolta artistica
Ben pochi autori si sono azzardati ad analizzare le affinità elettive che avvicinarono Battisti a Panella per circa un decennio, da quel marzo del 1986 in cui Don Giovanni diede una lezione di modernità al sonnolento scenario dello show business italiano.
Specchi opposti racconta la storia e i retroscena delle canzoni che i fan di Lucio hanno prima odiato e poi riabilitato e amato, quelle contenute nei cinque “bianchi”, gli album della sparizione mediatica e del rapporto con l’uomo che osò sostituire Mogol.
Il libro - arricchito da un colloquio con Panella, un’intervista a Stefano Bartezzaghi, enigmista e cultore del poeta-paroliere romano, e tre capitoli dedicati agli inediti del duo, alle cover e alle collaborazioni di Pasquale con altri artisti - è aperto da uno scritto di Luca Bernini su E già, il disco della transizione e per qualcuno del tradimento, quello arrivato dopo Mogol e prima di Panella, con i testi scritti dalla moglie di Battisti, Maria Letizia Veronese.
Lucio Battisti: un innovatore musicale
“Il suo contributo più importante? È stato il primo, secondo me, a portare la melodia sillabica nella costruzione di una canzone. Ai suoi tempi questo procedimento non si usava molto: piuttosto si facevano melodie orizzontali di ampio respiro. Ovviamente erano molto belle e molto italiane, ma il canto sillabico non veniva adoperato quasi mai.” (Ennio Morricone, cit. Assante, p. 65).
“Battisti fu infatti sempre consapevole di quanto fosse fondamentale, per lui, il controllo dell’interpretazione delle sue creazioni. In un’intervista del ’69 sintetizzò il suo pensiero in un’immagine suggestiva. “Fra la canzone che incido io e quella che faccio incidere - disse - c’è la stessa differenza che esiste tra un bacio dato e uno spedito per posta o per telefono”. Era convinto, in altri termini, della qualità fisica e icastica del canto, di come una voce porti nel microcosmo di una canzone il corpo e la personalità dell’interprete.” (Salvatore, p. 47).
Ernesto Assante ripercorre la via seguita da Battisti-Mogol, raccontando in che modo le loro canzoni “precorrevano i tempi, incidevano sulla morale e sul costume, insegnavano a vivere” (p. 120): racconta le canzoni scritte per altri, la collaborazione con le band più originali dell’epoca (Equipe 84, Formula 3 e soprattutto PFM), i duri contrasti della coppia con la Ricordi, che portarono alla rottura con le edizioni musicali, l’attraversamento del mare insidioso del beat, il progressive, fino al grande successo.
Battisti, estremamente pignolo durante le sessioni di registrazione, si adatta male a suonare dal vivo, perché sul palco non può avere completa padronanza del mezzo espressivo.
“Il suo vero amore era la melodia, creava melodie legate agli stati d’animo, che erano certamente legate alla cultura italiana, al nostro sentimento collettivo, che lui però ha saputo legare all’onda sonora che arrivava dagli Stati Uniti e soprattutto dall’Inghilterra, a quel linguaggio popolare del dolore del Novecento che poi è il soul e il blues.” (Franco Mussida, cit. Assante, p. 85).
Assante attira giustamente l’attenzione su un primo tentativo di emancipazione dalla forma-canzone (senza contare che il LP “Amore e non amore” del ’71 era composto per metà da brani strumentali): l’album Anima latina del ’74 sconcerta persino Mogol, che non condivide la predominanza della musica sulle parole; ritiene di aver scritto il suo testo più bello con la canzone “Macchina del tempo”, mentre in fase di registrazione Battisti tiene il volume della voce così basso che rimane oscurato dalla musica, arrangiata come un progressive.
“Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali: devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte.” (Lucio Battisti, cit. Rebustini, p. 101).
“È l’abbandono di una dimensione pubblica, della stardom, in favore di un rapporto diretto, alla pari, tra chi crea e chi ascolta. Dove chi ascolta è protagonista quanto l’artista, e non un semplice fruitore passivo.” (Assante, p. 92).
“L’intento è quello di cambiare la canzone popolare; forse, se ci è concessa l’esagerazione, di farla diventare veramente popolare, in una simbiosi tra pubblico e artisti che, non a caso, altri artisti in altre parti del mondo cercavano di raggiungere.” (Assante, p. 93).
L’autore dei testi che sostituisce Mogol alla rottura del sodalizio artistico, e dopo il breve interludio di un LP nel quale Battisti “fa da sé”, è il romano Pasquale Panella, poeta e già collaboratore di altri cantanti. In un’intervista a Rolling Stone, Panella dichiara che il suo intento nell’accettare questa collaborazione è quello di “togliere le sue [di Battisti] canzoni dai falò, dai pianobar, dalle gite”.
“A Battisti bastava, ed era già una cosa enorme per i 1988, far ‘esplodere’ la canzone, far vedere a tutti che i confini erano stati abbattuti e superati e non con qualcosa di inascoltabile, bensì con melodie, armonie, canto, pensati in un altro modo.” (Assante, p. 136).
E in effetti, gli ultimi cinque album sono lontani dallo sperimentalismo della musica moderna o post-moderna; ascoltare le canzoni diventa un’esperienza, memorizzarle è difficile: un vero e proprio “cut-up musicale e lessicale, la scelta di sviluppare imprevedibilmente le melodie senza rispettare le sequenze classiche della canzone” (Ceri, p. 142).
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