Albergo Atene Riccione

 

Turisti per caso: Un itinerario indimenticabile nella West Coast

Pubblichiamo il diario di viaggio di Luca Viola che ha voluto condividere con la community di Viaggi-USA le emozioni e le sensazioni che ha provato durante il suo on the road della West Coast in 15 giorni.

Partenza da Milano e arrivo a San Francisco

Abbiamo voluto condividere il nostro racconto con gli utenti del sito web viaggi-usa.it, da cui abbiamo tratto molteplici spunti e consigli utili alla pianificazione del nostro viaggio. Bene. Non resta che partire per l’aeroporto.

Alle 13.00 circa prendiamo posto sull’aereo, un Boing 737 Max della Air Italy, fresco di nuova rotta diretta Milano-San Francisco! Che pacchia, “solo” tredici ore e saremo dall’altra parte del mondo a…rivivere la stessa giornata!

“Cabin crew…prepare for landing!”. Sbrighiamo facilmente le pratiche doganali ed il ritiro bagagli. Saliamo in superficie con i nostri valigioni e riusciamo ad “acchiappare” al volo un taxi di un coreano, un tipo sbrigativo che viaggia spedito a finestrini aperti su e giù per ‘Frisco. È il primo contatto con la città.

Esplorando San Francisco

Dico mitico perché avevamo scelto con cura questo hotel mesi prima dall’Italia e, fortunatamente le attese non restano deluse. È un ambiente accogliente con una camera in perfetto design marinaresco, con elementi di decoro post-industriale molto raffinati.

Leggi anche: Esplorare il Messico: cosa sapere

Ci rilassiamo un attimo, riposiamo un’oretta, doccia e siamo pronti alle nove di sera per la prima avanscoperta della città. Raggiungiamo facilmente a piedi la zona dei Piers ma con disappunto vediamo che un po’ tutti i localini e ristoranti stanno chiudendo…alle 21.30?…a San Francisco ? Camminiamo un poco lungo il Pier decisamente poco vivo ed animato per poi far rientro stanchi in albergo.

C’è il sole, il cielo è di un azzurro incredibile e non c’è una nuvola. Tutto è perfetto per una prima camminata lungo la baia. La baia sale dolcemente verso un parco gremito di gente che corre, fa ginnastica e yoga. è domenica e la città si appresta a vivere una giornata di tipico riposo californiano.

Confidiamo in un bel caffè per fare colazione ed è quello che riusciamo a trovare non dopo poche ricerche. La vista dalla veranda del bar è di quelle che non si scordano; il parco degrada verso la spiaggia dove, nonostante i venti gradi, diverse persone fanno il bagno e fanno canottaggio. Fatto il pieno di energie siamo pronti per un bel giro.

Da North Point imbocchiamo Hyde Street verso l’interno. Scatto le prime fotografie in serie con la macchina reflex e lo smartphone e faccio i primi video con la GoPro, con buona pace di Valeria che me la ha regalata per il mio compleanno.

Proseguiamo la bella passeggiata verso ovest, attraversando playground pieni di bambini che giocano e ci spingiamo poi fino alle pendici della collina sulla cui cima sorge la Coit Tower. è un avamposto dalla cui piazza si gode una bella vista sull’isola di Alcatraz.

Leggi anche: Turks e Caicos: la tua prossima meta di viaggio

Scendiamo dalla collina e Filbert Street ci porta diretti ad una bella chiesa neogotica, frontale ad un parco. È la chiesa di San Pietro e Paolo. Entriamo per una preghiera pasquale e con stupore ci troviamo nel mezzo di una messa celebrata in italiano! Ci fermiamo per un cordiale in un bar di “Paisà”, il caffè Greco.

Ed eccoci a Union Square. Il cuore pulsante di Downtown. Ci sediamo per una pausa e per goderci un poco della vita cittadina di San Francisco. È ormai l’una passata e proseguendo ora verso nord arriviamo alla Grace Cathedral, la bella cattedrale cittadina a cui dedichiamo una visita.

Sulla strada ci imbattiamo in due hotel molto lussuosi come l’Intercontinental (sul cui rooftop è posto il celebre bar Top of the Marks) e il Fairmont, di cui conoscevo la più famosa versione del Principato di Monaco.

Nel mentre si sono fatte quasi le quattro e ci accorgiamo di non aver ancora pranzato! Del resto l’apporto calorico del cookie di Ghirardelli è stato pari ad un pranzo equivalente!

Decidiamo di puntare ad uno Starbucks vicino al nostro albergo per una merenda a base di smoothies e tramezzini al tacchino. Per fare in fretta prendiamo la mitica Cable Car, la locomotiva su binario che attraversa i punti nevralgici della città. Tagliamo in men che non si dica tutta Columbus Avenue.

Leggi anche: Roma: un weekend indimenticabile

è bellissima, sembra di essere catapultati a fine ottocento quando ancora non c’erano auto e tutto risulta molto vintage. Instancabili proseguiamo ora verso il mare, verso i Piers del Fishermans Wharf. Immancabile la foto alla colonia di leoni marini che sollazzano al sole; certo che paiono proprio beati, alcuni prendono il sole, altri dormono, alcuni emettono forti versi.

Sul molo si fa sentire il vento che soffia sulla baia e sulle diverse barche a vela che la solcano. Davanti a noi vicinissima l’isola di Alcatraz ed in lontananza il Golden Gate Bridge. Passeggiamo fino al Ferry Building, dove ha oggi sede un ricco mercato di primizie. Nonostante studi universitari non indifferenti sia io che Valeria non riusciamo a capire la numerazione dei moli che a volte pare seguire il criterio pari e dispari ma con dei salti illogici.

Lungo il percorso, informati dalla guida, andiamo a cercare la sede della Levi Strauss, il marchio di jeanseria e denim americano. Dopo aver visitato il Ferry Building ed il suo mercato di primizie optiamo per un rientro all’albergo in filobus…è un bellissimo mezzo anni Cinquanta, tutto di metallo e color panna, guidato da un tipo che pare più un surfista che un autista; abbronzato, occhiale da sole multicolor, capello biondo lungo che spunta da un cappello.

Attenzione: facciamo il biglietto elettronico online sulla app, ebbene sì… questa è la città 4.0! Ne approfitto per un riposino “pre-dinner”.

La cena è superba; “ingresso” a base di ostriche, molto diffuse qui a San Francisco. Ne assaggiamo di due tipologie, alcune molto piccole di provenienza giapponese ed altre molto grandi di provenienza locale. Il Giappone, almeno ad ostriche, si riprende decisamente la rivincita sugli Stati Uniti. Dulcis in fundo… sformatino al cioccolato, un vero piacere per la gola. Le luci della sera brillano ora lungo tutta la baia; da qui San Francisco lascia proprio a bocca aperta.

La mattina si apre con una bella colazione da Starbucks a base di cappuccino, muffin e yogurt con granola. Il negozio, un megastore di nome Sport Basement, ci attira per vari motivi: è vicino all’albergo, ha un numero spropositato di biciclette di ogni tipologia e soprattutto recita al sui ingresso “Sport Basement… rent a bike basically free”. Inseriamo i nostri dati nel computer di accettazione e subito il commesso ci procura due biciclette da passeggio, con tanto di rapporti per cambiare marcia.

Alla cassa fanno sessantaquattro dollari per l’intera giornata e così chiedo umilmente dove sarebbe il concetto “Basically free”. Prendiamo le nostre biciclette e come due adolescenti partiamo a razzo per le vie del Wharf. Costeggiamo il lungomare sulla baia e subito ci imbattiamo in un leone marino arenato al sole sulla spiaggia. Riprendiamo il giro, immergendoci nel parco lungo il Marina Boulevard, la via principale che costeggia tutta la baia.

Migliaia di persone in bicicletta, con i pattini, a piedi, di corsa. Molti si godono la stupenda giornata di sole in spiaggia, con frisbee o in compagnia dei loro cani, giocando, passeggiando o facendo il bagno.

Il Golden Gate Bridge, tinto del suo inconfondibile “international orange”, si fa sempre più vicino e quando ci siamo praticamente sotto la vista e le dimensioni sono impressionanti. La baia, in questa punta esposta, appare in tutto il sui splendore. È uno spettacolo eccezionale e sono così emozionato che, come un bambino, continuo a scattare foto ed a fare riprese.

Superare il ponte non è affatto semplice, la strada si impenna ripida ed abbiamo il nostro bel da fare a pedalare in salita. Arrivati sul promontorio che domina la spiaggia lasciamo le nostre biciclette e raggiungiamo il litorale sabbioso, concedendoci una oretta sdraiati al sole… è così piacevole che mi scotto tutta la fronte senza nemmeno accorgermene! La perfetta armonia di questo istante vale da sola l’intero viaggio!

L’ultima tappa sul nostro percorso è il Palace of Fine Arts, una ricostruzione neoclassica molto graziosa posta all’interno di un giardino con ampi spazi verdi, laghetti solcati da placidi anatroccoli e ninfee.

Raggiungiamo infine il noleggiatore e gli raccontiamo entusiasti la nostra giornata e tutte le belle cose fatte e viste. “Cool” è la sua risposta, la stessa dell’autista del filobus del giorno prima, la stessa di tutti gli abitanti di San Francisco… è come se fosse il loro credo, il loro “mantra”, il loro approccio alla vita.

Abbiamo fatto le quattro del pomeriggio, senza nemmeno aver pranzato. Ci prepariamo così alla serata; abbiamo in programma una cenetta a base di pesce in uno dei localini caratteristici del Wharf. La consumiamo da Gioppino’s, dove proviamo il tipico piatto che da il nome al locale stesso e che risulta essere la pietanza caratteristica di San Francisco. Si tratta, in tutto e per tutto, di una rivisitazione del caciucco toscano, una zuppa di pesce in brodo di pomodoro.

Nonostante abbia il mio bel da fare a pulire le chele di un granchio (il famoso “crab” californiano), il piatto è buono e ben cucinato. Terminata la cena prendiamo un taxi al volo, guidato da un flemmatico taxista indiano vestito con il classico copricapo sikh.

La destinazione è il Top of the Marks, il rooftop più “glamourous” di tutta la città, all’ultimo piano dell’Intercontinental Hotel, nel cuore di Nob Hill. La vista che si ha da quassù è impagabile. Lo sguardo si perde tra le mille luci dei grattacieli e dei ponti sull’Oceano. è tutto così affascinante da lasciarci stupiti.

In viaggio verso Big Sur

È una Dodge Journey bianca, targata Arizona - Grand Canyon State - BSH7010. Grande, comoda e spaziosa. Un vero e proprio SUV. Accendo l’auto e si parte! Per prima cosa passiamo dal Pier 2620 a ritirare i bagagli.

Questo è solo un breve tratto della 101 che percorre l’intera West Coast da nord a sud, precisamente da Seattle a San Diego. La vista sulla baia è fantastica in una giornata baciata anche oggi dal sole. Riprendiamo il cammino, direzione Big Sur.

Si tratta di un posto leggendario, noto ai surfisti di tutto il mondo. Qui la costa si fa aspra, con rocce spioventi a picco sul mare. Ci fermiamo in più punti ed affacci per ammirare la scena… è tutto un fiorire di fiori di campo arancio, viola, rosa. Ci spingiamo fino al celeberrimo Bixby Bridge, immortalato in numerosissime foto.

Verso l'interno: Fresno e Sequoia National Park

Siamo ora pronti per tornare sui nostri passi e dirigerci verso l’interno. La strada è la 152 e nel primo tratto è anche caratterizzata da un po’ di traffico che ci fa perdere un’oretta sulla tabella di marcia, impiegata serenamente ad ascoltare la playlist musicale di canzoni che abbiamo appositamente creato a tema nei mesi precedenti.

Come quella, per esempio, che stiamo ascoltando ora, Malibù delle Hole di Courtney Love, a tutto volume e coi finestrini giù per respirare la brezza marina. Distraendoci e senza quasi accorgercene entriamo verso l’interno ed il traffico scompare. La nostra attenzione viene all’improvviso catturata da un bellissimo lago che, guardando la cartina, scopriamo essere il San Louis Reservoir, probabilmente un bacino artificiale che serve all’irrigazione dei campi della zona circostante. Alle otto di sera giungiamo infine a Fresno. Strade enormi e vuote.

Arriviamo poco dopo e ad attenderci troviamo la concergie, una yankee di nome Nanci. Interviene Valeria, un portento nel risolvere queste situazioni di diatriba che a me creano solo imbarazzo; in men che non si dica mi ritrovo in camera, un vero e proprio appartamento stile anni sessanta, un poco demodè nell’arredamento ma sicuramente molto spazioso. è una vera e propria casa al secondo piano, affacciata a mo’ di corte e casa di ringhiera…sulla piscina! Doccia al volo e siamo pronti per la cena. Ci accontentiamo di un Pizza Hut; la pizza è molto buona, forse perchè siamo letteralmente affamati. Ritorniamo in albergo, stanchi ma felici.

Ma prima di fare qualsiasi considerazione scendiamo a fare colazione. Attraversiamo un giardino assai carino e curato, pieno di fiori tra cui glicini rampicanti, rose di ogni colore e le particolari sterlizie (soprannominati anche fiori del paradiso). Arriviamo ad una sorta di serra vetrata al cui interno viene disposta a self-service la colazione. Una colazione sana a base di toast, marmellata, latte e cereali è quello che ci serve.

Si riparte, oggi alla guida Valeria. Direzione ovest, Sequoia National Park. Dopo un’oretta arriviamo all’ingresso del parco delle Sequoie. Ad attenderci un vero e proprio “ranger” in carne ed ossa, con tanto di divisa e di inconfondibile cappello in testa.

Procediamo con cautela lungo la strada che si addentra nel bosco; è incredibile notare come in soli due giorni siamo passati dal livello del mare con i suoi ventidue gradi ai duemilacinquecento metri della montagna con i suoi quindici gradi e con ancora tanto di neve!

Ci fermiamo ad osservare l’orizzonte sconfinato che emerge da alcuni affacci; il bosco si fa sempre più fitto e le piante sono gigantesche. Seguiamo le indicazioni per la Generals Trees Highway, la zona con le sequoie giganti e millenarie.

Finalmente arriviamo al cospetto del primo “generale” Grant. Siamo ammutoliti davanti all’enormità di questa pianta. Le radici sono una opera d’arte e si estendono per diversi metri tutto intorno. Il tronco è di un caldo marrone terra e morbido, riusciamo a toccarlo. Stiamo ancora discutendo per le bellezze di questa pianta che senza accorgerci ci imbattiamo nell’altro “generale” Sherman.

Ah… questa è la pianta più alta, grande, vecchia e chissà altro ancora della terra. Basti pensare che il suo tronco può essere abbracciato “solo”, si fa per dire, da ventotto persone in cerchio che si tengono per mano. Dopo la bella divagazione, riprendiamo l’auto diretti verso l’uscita del parco, dal lato opposto da cui siamo entrati, in prossimità del centro di Three Rivers.

Rifornimento e cena a Ridgecrest

Three Rivers ci serve per fare rifornimento di benzina (nel parco non ci sono distributori nonostante la strada sia di diverse miglia) e per cercare del cibo. È da poco passata l’ora di pranzo e ci incamminiamo nuovamente percorrendo ancora tutta la strada 99 e passando per Visalia, Tulare, Delano, Bakersfield fino ai bizzarri paesi di Tehachapi e Mojave, dove viriamo a ovest sulla strada 14.

Il tempo di tirare fuori un cambio dalla valigia, una doccia ed eccoci ad esplorare Ridgecrest per la cena. A guidarci è il profumino di carne alla brace che fuoriesce dal Triple T’s Tavern. È il tipico “saloon”. Tavola calda, bistecche e patatine, birre, tavoli da biliardo, maxischermi che proiettano partite di basket NBA, baseball ed hockey su ghiaccio. Il tutto in un rumore di voci assordante.

Ordiniamo alle ragazze che indossano stivali, cappello, shorts di jeans e maglietta con nodo sopra l’ombelico, nonchè con la moda del momento, ciglia finte lunghissime. Io vado sul classico per non sbagliare e per farmi capire dalla cameriera: una mega beef tenderloin (la costata) & Budweiser.

TAG: #Turisti

Più utile per te: