Assistenza Sociale per Stranieri: Requisiti e Diritti in Italia
L’accesso al welfare da parte degli stranieri è al centro di accesi dibattiti. Molteplici sono le soluzioni sperimentate dagli Stati e a livello substatale, da Regioni o enti locali, per limitare la platea dei possibili destinatari delle prestazioni di natura sociale, talvolta legandole al possesso di un particolare tipo di permesso di soggiorno o alla durata della residenza sul territorio nazionale.
Assegno di Inclusione (AdI) e Cittadini Stranieri
L’Assegno di Inclusione è una nuova misura di sostegno economico e di inclusione socio-lavorativa riconosciuta a partire dal 1 gennaio 2024. I cittadini stranieri possono accedere all’AdI solo in presenza di alcune condizioni:
- Cittadino europeo o un suo familiare, che deve essere titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.
- Essere cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
- Essere titolare dello status di protezione internazionale (asilo politico o protezione sussidiaria), di cui al D. Lgs. 19 novembre 2007, n.
- Residente in Italia per almeno cinque anni, di cui gli ultimi due anni in modo continuativo.
La Sentenza della Corte di Giustizia e la Protezione Internazionale
La conformità di tale previsione al diritto dell’Unione europea, e in particolare alla direttiva 2011/95/UE (in tema di qualifiche e contenuto della protezione), è stata esaminata dalla Corte di giustizia nella sentenza 21 novembre 2018 (C-713/17). La decisione è meritevole di attenzione anche ai fini delle valutazioni che gli Stati membri dell’UE sono chiamati a compiere nella definizione dei requisiti di accesso alle prestazioni di natura sociale.
Il rinvio pregiudiziale muove dal caso di un cittadino straniero al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato nel 2016 per la durata di tre anni. Un anno dopo l’ottenimento dello status, lo straniero presenta una domanda di sussidio, al fine di provvedere alle proprie necessità e a quelle della sua famiglia in materia di sostentamento e di alloggio.
Tuttavia, trattandosi di un rifugiato beneficiario di un permesso di soggiorno temporaneo in base alla normativa austriaca in tema di asilo, l’amministrazione ritiene che questi abbia diritto soltanto a prestazioni minime, al fine di garantire il soddisfacimento delle proprie necessità. Il cittadino straniero impugna dunque la decisione, assumendo che il trattamento sfavorevole riservato, da tale normativa, ai rifugiati che non beneficiano del diritto di soggiorno permanente sia incompatibile con il diritto dell’Unione.
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Nell’ambito di tale giudizio vengono dunque sottoposte alla Corte di giustizia due questioni pregiudiziali, essenzialmente fondate sull’interpretazione dell’art. A tal proposito si ricorda che la direttiva 2011/95/UE detta la disciplina in tema di qualifiche e contenuto della protezione internazionale. Il suo art. 29, in materia di assistenza sociale, afferma che «gli Stati membri provvedono affinché i beneficiari di protezione internazionale ricevano, nello Stato membro che ha concesso tale protezione, adeguata assistenza sociale, alla stregua dei cittadini dello Stato membro in questione» (§ 1).
Interpretazione dell'Articolo 29 della Direttiva 2011/95/UE
Il primo profilo che la Corte di giustizia va ad analizzare concerne la compatibilità con l’art. Con riferimento alla portata di tale previsione, la Corte ne chiarisce l’interpretazione soffermandosi in particolare sul concetto di «adeguata assistenza sociale», ritenendo che esso non possa abilitare gli Stati membri a concedere ai rifugiati prestazioni sociali per un importo che essi ritengano sufficiente per soddisfare le proprie necessità, ma che sia inferiore a quello delle prestazioni sociali riconosciute ai propri cittadini.
La Corte ritiene infatti che il riferimento ad un livello adeguato di assistenza sia da mettersi in contrapposizione alla possibilità, ammessa dalla stessa disposizione, di limitare per i titolari di protezione sussidiaria l’assistenza sociale alle sole prestazioni essenziali (§ 2). Sul punto, la Corte di giustizia richiama espressamente anche l’art. 23 della Convenzione di Ginevra, ove si afferma che gli Stati contraenti devono garantire ai rifugiati che risiedono regolarmente sul loro territorio lo stesso trattamento concesso ai loro cittadini per ciò che concerne l’assistenza pubblica, variamente riferita al settore lavorativo e a quello della sicurezza sociale.
Pertanto il livello delle prestazioni sociali che gli Stati membri sono chiamati ad accordare ai rifugiati deve essere lo stesso di quello offerto ai propri cittadini, restando a tal fine ininfluente la durata del permesso di soggiorno a questi riconosciuta. Tali conclusioni non sono revocate in dubbio neppure dalla considerazione per la quale la previsione di un differente trattamento tra rifugiati entrati recentemente nel territorio e rifugiati già presenti da lungo periodo potrebbe giustificarsi dalle maggiori necessità di questi ultimi.
Tale argomentazione andrebbe infatti a legittimare una distinzione interna alla categoria dei rifugiati che non trova alcuna ragionevole giustificazione e che non sembra neppure rispondere alle eventuali peculiarità che possono caratterizzare la situazione dei rifugiati entrati recentemente nel territorio di uno Stato membro. Sul punto la Corte sembra tuttavia ammettere una possibile declinazione di tale argomentazione, basata sulla difficoltà che i rifugiati entrati recentemente in Austria possono incontrare nell’accedere al libero mercato delle abitazioni. A tal proposito, si potrebbe forse ritenere «più opportuno mettere a disposizione di tali rifugiati, entro brevissimo tempo, posti in centri di accoglienza piuttosto che concedere loro un sussidio finanziario».
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Ciò che invece il Governo austriaco ha fatto presente è il gravoso onere derivante dal versamento delle prestazioni sociali ai rifugiati. Sul punto la Corte si limita però ad affermare che tale onere per le istituzioni è in qualche modo «connaturato» alla concessione di prestazioni di natura sociale, senza che rilevi la circostanza che il beneficiario sia cittadino o straniero. Non viene tuttavia chiarito se ed in che termine un tale onere si sarebbe potuto ripartire diversamente a favore delle due categorie di beneficiari, anche perché nel caso di specie non sarebbe stata comunque ammissibile alcuna differenza di trattamento, per le ragioni sopra evidenziate.
Sul tema la Corte ha già avuto modo di precisare che «la concessione di prestazioni sociali ad una determinata persona implica, per l’istituzione chiamata a fornire tali prestazioni, degli oneri, indipendentemente dal fatto che detta persona sia un beneficiario dello status di protezione sussidiaria, un rifugiato, un cittadino di un Paese terzo […] oppure un cittadino». E a tal proposito l’ineguale distribuzione sul territorio dello Stato membro interessato delle varie categorie di soggetti beneficiari (cittadini o stranieri) delle suddette prestazioni potrebbe comportare «una ripartizione inadeguata degli oneri suddetti tra i diversi enti competenti in materia».
Diretta Applicabilità dell'Articolo 29
La seconda questione affrontata dalla Corte concerne sempre l’art. A tal proposito la Corte richiama la propria pregressa giurisprudenza in tema di diretta applicabilità, chiarendo che «in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, vuoi qualora esso abbia omesso di trasporre la direttiva in diritto nazionale entro i termini, vuoi qualora l’abbia recepita in modo non corretto».
Nel caso di specie si può rilevare come l’art. 29 della direttiva 2011/95/UE lasci in vero agli Stati membri un certo margine di discrezionalità, con particolare riferimento alla determinazione del livello di assistenza sociale che ritengano adeguato. Tuttavia, una volta definito tale livello, preciso e incondizionato è l’obbligo per gli Stati di garantire ad ogni rifugiato la stessa assistenza sociale prevista per i propri cittadini.
Contenuto della Protezione e Coordinamento Normativo
Con specifico riferimento al contenuto della protezione, l’art. 27 del citato decreto prevede che i titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria hanno diritto al medesimo trattamento riconosciuto al cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria. Benché la previsione sia chiara nella sua formulazione, si sono registrati alcuni problemi di coordinamento con le specifiche disposizioni istitutive delle varie prestazioni di assistenza sociale, laddove tra le condizioni di accesso non figurava espressamente anche l’essere titolari di protezione internazionale.
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Varie sono state dunque le circolari Inps intervenute a chiarire la spettanza anche ai rifugiati e ai titolari di protezione sussidiaria delle prestazioni di assistenza sociale previste dalla normativa nazionale a favore dei cittadini. Si può richiamare sul punto: la circolare 2 dicembre 2008, n. 105, in tema di assegno sociale; la circolare 22 gennaio 2010, n. 9, in tema di assegno per il nucleo familiare con almeno tre figli minori concesso dai Comuni; la circolare 8 maggio 2015, n. 93, in tema di assegno a sostegno della natalità previsto dalla legge di stabilità per l’anno 2015; la circolare 27 febbraio 2017, n. 39, in tema di premio per nascita o adozione previsto dalla legge di bilancio per il 2017; la circolare 22 maggio 2017, n. 88, in tema di bonus asili nido; la circolare 22 novembre 2017, n.
A prescindere da qualsiasi espresso riferimento alla categoria dei rifugiati e dei titolari di protezione sussidiaria nelle disposizioni istitutive (o in successive circolari interpretative dell’Inps) delle varie prestazioni sociali, queste ultime dovrebbero ritenersi estese anche ai titolari di protezione internazionale in forza della parità di trattamento sancita all’art. 27 del d.lgs 251/2007 (e nell’art. 29 della direttiva 2011/95/UE, direttamente applicabile). Particolarmente critico, ma superabile alla luce della previsione generale contenuta nella citata normativa, la non inclusione dei titolari di protezione internazionale nell’ambito dei beneficiari del “reddito di cittadinanza”, per come individuati all’art. 2 del dl 28 gennaio 2019, n. 6.
La discrezionalità che il legislatore nazionale (statale e regionale) incontra nella definizione dei beneficiari delle prestazioni sociali risulta limitata dagli obblighi internazionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, come chiaramente indicato anche all’art. Con particolare riferimento all’ambito dell’assistenza sociale, significative a tal proposito sono le clausole relative alla parità di trattamento che la normativa dell’Unione europea contempla in relazione ad alcune categorie di cittadini di Paesi terzi, tra i quali - come chiarito dalla Corte di giustizia nella sentenza in commento - i rifugiati.
Gli Stati non sono pertanto liberi di fissare un livello di assistenza sociale differente per i rifugiati residenti sul proprio territorio rispetto a quello garantito ai propri cittadini.
Assegno Sociale: Requisiti per Stranieri
Nei giorni scorsi l’INPS ha fornito una serie di chiarimenti per il riconoscimento del diritto all’assegno sociale, un aiuto dello Stato riservato agli anziani poveri. Ai requisiti di età (almeno 67 anni), di reddito (deve essere inferiore all’importo dell’assegno) e di residenza in Italia, si aggiungono quelli di cittadinanza e anzianità di residenza. L’assegno sociale può essere chiesto dai cittadini italiani, dai cittadini Ue e dai loro familiari extraUe, e ai cittadini extraUe e apolidi titolari di protezione internazionale o di un permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo.
Inoltre, bisogna aver soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale. Tra le altre cose, la circolare n.13 del 12 dicembre 2022 contiene precisazioni sul requisito dei 10 anni di soggiorno continuativo (che non si considerano interrotti da assenze inferiori a sei mesi consecutivi e non superiori a complessivamente dieci mesi per quinquennio) e su come le strutture territoriali dell’INPS possono verificarli. Inoltre, dà indicazioni relative alla Dichiarazioni dei redditi esteri da parte di cittadini extraUe, analoghe a quelle per l’access al Reddito di Cittadinanza.
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