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Ibn Battuta: Vita e Viaggi del Viaggiatore Arabo

«I veri viaggiatori sono soltanto quelli che partono per partire, cuori leggeri, simili agli aerostati, essi non si separano mai dalla loro fatalità, e senza sapere perché, dicono sempre «andiamo», i loro desideri hanno le forme delle nuvole» (Charles Baudelaire).

Spesso i testi letterari medievali, contengono descrizioni di abitudini e usanze di popoli stranieri, lontani, reali o immaginari, ma comunque sconosciuti al pubblico dei lettori. Ho focalizzato in particolare lo sguardo su due autori del Medioevo: Marco Polo e Ibn Battûta, che sono stati oggetto della mia ricerca.

La Genesi della Curiosità per i Viaggi

L’obiettivo del contributo è quello di prendere spunto dai brani di Marco Polo con il suo libro Il Milione e di pagine tratte da La Rihla di Ibn Battûta, per individuare la genesi delle loro curiosità per i viaggi, in un periodo storico caratterizzato da profondi cambiamenti e notevoli contraddizioni. Viene esplorata così l’opera di Marco Polo per le notizie che fornisce, per il vivo sentimento del meraviglioso che andava incontro ai gusti del gran pubblico.

Nell’analisi che ho condotto su un ampio corpus di testi i due autori Marco Polo (Il Mercante) e Ibn Battûta (Il Viaggiatore), impegnati nella scoperta del mondo orientale, sembra abbiano intrapreso questi viaggi con intenzioni diverse. Il Viaggio è da sempre metafora della vita, della ricerca, della scoperta del mondo e di se stessi.

Fin dall’Odissea di Omero, l’eroe viaggiatore va incontro a popoli e terre sconosciuti, ma impara a conoscere se stesso e l’umanità in generale, attraverso le differenze e le analogie culturali. Un viaggio come quello di Marco Polo sulle rotte orientali permette al protagonista di confrontarsi con paesaggi, climi, ambienti e civiltà che hanno lingua, costumi, tradizioni e mentalità totalmente diversi.

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Marco Polo, ancora giovinetto, nel 1271, intraprese il suo lungo viaggio al seguito del padre Nicolὸ e dello zio Matteo, che si erano già spinti in precedenza fino alla corte dell’Imperatore mongolo “Kubilai Khan”, Signore dei Tartari e nipote di “Gengis Khan”. Egli dettὸ i suoi ricordi di viaggio, in francese, a Rustichello da Pisa, nel 1298, mentre intrambi erano in carcere a Genova, a causa delle guerre combattute in quegli anni tra le Repubbliche marinare italiane per il predominio nel Mediterraneo.

Marco Polo racconta il suo viaggio in Cina basandosi sull’osservazione diretta dei luoghi e dei costumi. Egli è prima di tutto un esploratore, che non si mescola ai mercanti, se non nei viaggi in mare. I suoi spostamenti li ha in genere compiuti come funzionario dell’Imperatore che dispone di stazioni di posta e di scorte.

«Chi leggerà od ascolterà queste pagine sappia che deve credere a quanto esse narrano: sono tutte cose vere. Il Milione è un originale resoconto di viaggi, promuovendo una concezione più moderna della conoscenza.

In questo libro, le descrizioni meticolose e fedeli dei paesaggi, delle situazioni e delle persone, ci fanno intravedere un profondo interesse scientifico e il desiderio di documentare con chiarezza le cose narrate. Marco Polo non era solo un mercante, figlio di mercanti, ma un uomo accorto e sagace che andava alla scoperta del mondo per tornare al suo Paese arricchito soprattutto di esperienze da comunicare.

Era anche colpito dalle ricchezze di tanti paesi dell’Oriente, scrive a proposito della Cina: «I muri delle sale e delle camere [nel palazzo del Gran Khan] sono tutti coperti d’oro e d’argento […] La volta è anch’essa lavorata in modo che vi si vedono soltanto pitture ed oro».

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In quel tempo, gli uomini risultano molto sensibili alla magia. All’Asia che accoglie missionari, mercanti, esploratori, si contrappone un’Africa misconosciuta, almeno per quanto riguarda l’interno del continente, le carovane sahariane cedono il posto a quelle delle popolazioni nere. Il traffico si trova completamente nelle mani dei musulmani.

Ibn Battuta: Il Viaggiatore Musulmano

In questa epoca mentre un grande viaggiatore esplora l’Asia come Marco Polo, un altro viaggia per l’Africa: si tratta di Ibn Battûta, nato a Tangeri nel 1304, in una famiglia della grande Borghesia. Parte per l’Arabia nel 1325 per compiere il Pellegrinaggio rituale alla Mecca, ma poi, animato da una insaziabile curiosità, continuerà a percorrere il vasto mondo.

Questo viaggio dura solo ventidue mesi, ma ci fornisce il primo testo attendibile sull’Africa nera, non scritto direttamente da lui, ma sotto sua dettatura, da un letterato, Ibn Giuzayy. Ibn Battûta ha scritto I Viaggi conosciuto anche come Rihla, il cui titolo testuale è Un capolavoro di coloro che contemplano le meraviglie delle città e le meraviglie del viaggio, in arabo تحفة النظار في غرائب الأمصار وعجائب الأسفار‎, Tuḥfat an-Nuẓẓār fī Gharāʾib al-Amṣār wa ʿAjāʾib al-Asfār.

È il diario di viaggio che documenta la vita di Ibn Battûta e le sue esplorazioni, un miscuglio di narrativa personale, descrizioni, opinioni e aneddoti. Cit. “Gli occidentali hanno curiosamente limitato la storia del mondo raggruppando il poco che sapevano sull’espansione della razza umana intorno ai popoli di Israele, Grecia e Roma.

Cosi facendo hanno ignorato tutti quei viaggiatori ed esploratori che, a bordo di navi, hanno solcato il mar della Cina e l’oceano Indiano, o, in carovane, hanno attraversato le immense distese dell’Asia centrale sino al golfo Persico. Uno di questi grandi esploratori è proprio Ibn Battuta.

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Il “Marco Polo arabo”, nato a Tangeri nel 1304, ci riporta nei suoi racconti di viaggiatore a un passato lontano. Considerato uno dei più grandi esploratori della storia, per quasi trent’anni si avventurò tra l’India, l’Africa, il Sud-est asiatico e la Cina.

Così leggiamo nelle prime righe del libro “Rihla”, redatto dal 1354 al 1355 da una scriba del sultano merinde Abu Inan. Il viaggio alla Mecca era per Ibn Battuta molto più di un pellegrinaggio: oltre che una missione dettata da uno dei 5 pilatri dell’Islam, esso costituiva anche l’occasione per dare forma alla sua curiosità.

Pochi soldi, un cammino faticoso, l’incontro con i briganti lo portano ad Alessandria, da dove decide di proseguire per l’India attraversando l’Egitto, la Siria e infine l’Arabia. Ibn Battuta è l’unico viaggiatore medievale noto per aver visitato le terre di ogni sovrano musulmano del suo tempo.

Dopo 28 anni di peregrinazione, centoventimila chilometri percorsi a dorso di cavallo, di dromedario, su carri e imbarcazioni d’ogni tipo, migliaia di incontri dalla costa nordafricana alla penisola arabica, finalmente Ibn Battuta fece ritorno a casa.

Ibn Battuta definì quella degli Omayyadi a Damasco “la più grandiosa moschea al mondo”, apprezzandone i bazar, i gioielli, le stoffe, i libri. A Damasco si unì ad altri pellegrini diretti alla Mecca, il primo dei suoi sette pellegrinaggi. Senza far ritorno a casa, partì per Baghdad “per puro spirito d’avventura”.

Qui rimase colpito dai bagni pubblici: “Ogni locale è fornito di una vasca di marmo con un tubo in cui scorre l’acqua calda e uno in cui scorre quella fredda. Un onore e un sogno, che si traduce per i posteri nel lascito di numerose mappe, resoconti della realtà sociale e religiosa dell’Islam, con le vicende di santi e maestri sufi, oltre a molti racconti di “colore”.

“Mangiano riso cotto con ghee, che viene servito su un grande piatto di legno. In cima mettono piatti della kushan. Si tratta di condimenti, composti da pollo, carne, pesce e verdure. In un piatto servono banane verdi nel latte fresco, in un altro yogurt con limone in salamoia, mazzi di pepe in salamoia in aceto e sale, zenzero verde e manghi.

Dopo aver solcato il Mar Nero, il Mar Caspio, gli attuali Kazakistan, Uzbekistan, Afghanistan e Pakistan, Ibn Battuta lavorò per otto anni come cadì presso il sultano di Delhi e venne inviato come ambasciatore da Toghon Temür, imperatore mongolo della Cina. La perdita di un figlio, del padre e della moglie non fermarono la sua spedizione verso la Spagna e infine il Niger.

“Andai a Damasco, arrivai un giovedì, la gente digiunava da tre giorni… Il numero dei morti era salito a 2.400 al giorno…poi al Cairo mi dissero che il numero era salito a 21.000 al giorno… Tutti gli studiosi e religiosi che avevo conosciuto erano morti.

Il suo viaggio senza programma, partito da un pellegrinaggio, a 700 anni di distanza genera meraviglia, sete di conoscenza e curiosità nel vedere come saremmo stati descritti noi “infedeli”. Se la morte non lo avesse fermato, e se le tecnologie lo avessero permesso, Ibn Battuta non avrebbe esitato a partire per mete ancora più lontane. Come la Luna, forse.

Dopo gli studi in giurisprudenza, a 21 anni nel 1325 partì da Tangeri in pellegrinaggio alla Mecca, come richiesto da ogni musulmano adulto che ne abbia la capacità fisica e i mezzi.

A 45 anni, nel 1349, fece ritorno in Marocco scoprendo che sua madre era morta di peste pochi mesi prima. Così ripartì per la Spagna e tre anni dopo intraprese il suo ultimo viaggio fino alla regioni del fiume Niger e a Timbuctù. Ritornò definitivamente in Marocco nella città di Fès nel 1354. Il sultano, appreso dei suoi viaggi, gli ordinò di preparare un resoconto che allietasse la corte e gli affidò un segretario.

La RiḥlaI rimase sconosciuta al di fuori del mondo musulmano fino al XIX secolo quando alcune copie del manoscritto vennero acquistate, anche in maniera fortuita, da esploratori e studiosi europei.

La Rihla: Il Racconto dei Viaggi

testo di riferimento: Ibn Battuta I Viaggi - I Millenni Einaudi 2006 trad. Claudia M. “Partii solo, senza un compagno di viaggio la cui presenza avrebbe potuto sollevarmi, senza una carovana cui potermi unire, ma spinto da un impulso irresistibile e dal desiderio, a lungo coltivato in cuor mio, di visitare questi nobili santuari.

Abd Allāh Muḥammad ibn Baṭṭuṭa, o più semplicemente Ibn Battuta è considerato uno dei più grandi esploratori e viaggiatori della storia, in quasi 30 anni ha attraversato l’equivalente di quarantaquattro stati moderni; dall’Africa a tutto il Medio Oriente, dalla pianura del Volga alle isole Maldive, dall’India alla Cina, incontrando migliaia di persone e prendendo nota dei loro usi e costumi.

È stato anche un grande giurista, abile in geografia, botanica e teologia islamica. Egli visse nella stessa epoca di Marco Polo ma purtroppo rimase incredibilmente sconosciuto in Europa per molto tempo. Solo nel XIX secolo l’Europa si interessò a lui, quando due studiosi tedeschi pubblicarono separatamente due traduzioni di alcune parti della “Rihla”, il libro dei suoi viaggi. Appunto il motivo principale che ci porta ancora oggi a ricordalo come il più grande dei viaggiatori, è la sua scrittura.

Ibn Battuta ha stabilito una scienza che sarebbe poi diventata l’arte della scrittura di viaggio. Lungo il suo viaggio, ha registrato abbondanti osservazioni, note, approfondimenti, e lezioni. “Al Rihla” divenne anche il nome di un genere letterario molto apprezzato in Nord Africa tra il XII e XIV secolo, le cronache di viaggio appunto.

Successivamente si diresse verso il Cairo, che poi descriverà così: “Metropoli del paese, signora di ampie regioni e di fertili terre, conta palazzi innumerevoli e non vi è urbe più grande in splendore e beltà! Punto d’incontro di ogni va e vieni, è luogo di sosta per deboli e potenti, ondeggia essa come un mare per i flutti dei suoi abitanti.

Al Cairo In particolare rimase entusiasta dalle imbarcazioni, dai giardini, dai bazar, dagli edifici religiosi e dagli ospedali, che giudicava indescrivibili per la loro bellezza architettonica. Ricchi e poveri ricevevano gratuitamente le massime attenzioni e cure. Si utilizzava perfino la musicoterapia. Nelle strutture interne non mancavano bagni, biblioteche, aule per conferenze.

Egli rimase altrettanto affascinato delle piramidi, sulle quali scrisse: “queste piramidi sono tra le meraviglie che saranno ricordate nel corso del tempo. Sono costruzioni in pietra dura, scolpite ed estremamente elevate.

Dal Cairo risalì il Nilo fino all’Alto Egitto. Determinato a raggiungere Medina e La Mecca, Ibn Battuta si diresse a nord verso la Palestina. Dopodiché Ibn Battuta si diresse verso nord e arrivò a Damasco, dove studiò con importanti uomini di cultura musulmani e ottenne un riconoscimento quale maestro.

Anche di Damasco ci riportò una descrizione suggestiva: “Mi apparve davanti agli occhi il fascino della grande Damasco. Dopo aver compiuto i loro riti, quasi tutti i pellegrini fecero ritorno a casa. Tuttavia rimase colpito dai bagni pubblici, o hammam. “Ogni locale è fornito di una vasca di marmo con un tubo in cui scorre l’acqua calda e uno in cui scorre quella fredda”, osservò. E aggiunse: “In ogni locale, infine, sta una persona sola”. Grazie alle raccomandazioni di un emiro disponibile, il giovane riuscì a farsi ricevere dal sultano Abū Sa’īd.

Dall’africa si diresse verso la Cina e l’india. Qui ha modo di vedere con i propri occhi il grande successo dei commerci arabi. La maggior parte dei posti che percorse Ibn Battuta furono paesi con una grande civiltà islamica o comunque con grandi legami e amicizie con essa. L’Islam, con la sua visione globale, aveva unito diversi paesi rispettando, usi, costumi locali e le minoranze. Oggi Ibn Battuta viene definito il viaggiatore dell’islam.

Egli fu davvero il più grande viaggiatore mai esistito sulla faccia della terra prima dell’epoca moderna. Nato nel 1304 a Tangeri, Abu 'Abdallah ibn Battuta è unanimemente riconosciuto come il più grande viaggiatore dell'epoca pre-moderna.

Compì spedizioni non solo nelle regioni centrali dell'impero islamico, ma raggiunse anche le sue remote frontiere, India, Indonesia, Asia centrale, Africa orientale e Sudan occidentale, attraverso l'equivalente di 44 paesi moderni.

Seguendo la sua vicenda e i suoi viaggi, Ross E. "Tradizionalmente - scrive l'Autore -, il mondo occidentale ha celebrato Marco Polo, morto un anno prima che Ibn Battuta lasciasse la sua città per la prima volta, come "il più grande viaggiatore della storia".

Negli inevitabili paragoni col veneziano, Ibn Battuta di solito si è conquistato il secondo posto come "il Marco Polo del mondo arabo" o "il Marco Polo dei Tropici". [...] Tuttavia Ibn Battuta visitò molti più luoghi di Marco Polo, e i suoi resoconti offrono particolari, talvolta in forma di accenni incidentali, talaltra di lunghe disquisizioni, su quasi tutti gli aspetti della vita dell'epoca, dalle cerimonie della corte del sultano di Delhi ai costumi sessuali delle donne delle isole Maldive alla raccolta delle noci di cocco nell'Arabia meridionale.

Il Pellegrinaggio alla Mecca e l'Inizio dei Viaggi

Quando aveva 21 anni, Ibn Battuta abbandonò la sua casa natale, a Tangeri, in Marocco, con il proposito di compiere uno dei cinque comandamenti della fede musulmana, il pellegrinaggio a La Mecca, e approfittare per ampliare i suoi studi giuridici in Egitto e in Siria.

«Presi dunque la decisione di abbandonare le mie amiche e i miei amici e mi allontanai dalla mia patria proprio come gli uccelli lasciano il nido», avrebbe scritto tempo dopo. Incisione di P. Dumouza che rappresenta Ibn Battuta in Egitto. In totale, durante quasi trent’anni, dal 1325 al 1354, viaggiò per mezzo mondo, dal Nord Africa fino in Cina, percorrendo il sudest europeo, il Medio Oriente, il centro e il sudest asiatico, la Russia, l'India, il Kurdistan, il Madagascar, Zanzibar, Ceylon o, in Occidente, i regni di Aragona e Granada e del Mali, che avrebbe visitato in viaggi successivi.

In totale percorse più di 120.000 kilometri e conobbe più di 1500 persone, molte delle quali cita puntualmente nel suo libro di viaggio.Sappiamo poco di questo viaggiatore instancabile, che raccolse le sue memorie nel Rihla, il racconto dei suoi viaggi.

Ibn Battuta ci racconta poco su di lui, sulla sua educazione e la sua famiglia: si recò quattro volte in pellegrinaggio a La Mecca e che, durante i suoi viaggi, si sposò e divorziò in diverse occasioni.Quando iniziò a viaggiare le navi aragonesi, veneziane e genovesi controllavano il Mediterraneo, ma durante i suoi andirivieni calpestò suolo cristiano solo in Sardegna, che apparteneva alla Corona di Aragona, e a Costantinopoli, la capitale dell’Impero bizantino.

Ibn Battuta riferì della bellezza di diverse città, tra le quali Alessandria: «Questa città è una perla splendente e luminosa, una donzella folgorante…» anche se rimase profondamente deluso dal cattivo stato di conservazione del famoso faro. Dopo aver visitato Il Cairo e aver navigato lungo il Nilo, attraversò la penisola del Sinai per dirigersi in Siria e Palestina, fino a giungere per la prima volta a La Mecca nel settembre del 1326.

Si diresse dunque verso le regioni dell’attuale Iraq e Iran, dove visitò città come Tabriz, Bassora o Baghdad. Trascorse in seguito tre anni a La Mecca, immerso nella preparazione di un viaggio che lo avrebbe portato in Yemen e in Oman, fino alla costa orientale africana e al golfo Persico. Quando giunse alla foce del Tigri e dell’Eufrate fu testimone della ricchezza dell’agricoltura mesopotamica.

Grazie alla sua eccellente memoria e alle sue buone doti di osservazione, in ogni luogo raccoglieva aneddoti e impressioni sul paesaggio e ogni tipo di notizie sulla forma di vita del posto. Mangiava e dormiva dove poteva, alcune volte in sontuosi palazzi, grazie alla leggendaria ospitalità dei sultani stupefatti dalla sua avventura, e altre volte in umili alberghi dove si coltivava la fratellanza tra musulmani.

Le sue azioni sono paragonabili a quelle dei missionari cristiani: diffuse la fede musulmana e, grazie alla sua modesta conoscenza delle leggi ereditata da suo padre, agì anche come giudice. In un'occasione dovette punire un ladro indiano condannandolo all’amputazone della mano.

Ibn Battuta rimase esterrefatto dall'abilità dei cavalieri tatari, i migliori del mondo, che bevevano il sangue dei loro stessi cavalli mentre galoppavano. Raggiunse la "Terra delle Tenebre", nella Russia nord orientale, dove gli abitanti avevano avviato un fiorente commercio di ermellini e martore; attraversò il mar Caspio o il Lago d’Aral; percorse una parte della Via della Seta e giunse finanche alle Maldive, a sud dell’India, dove godette di piaceri gastronomici e sessuali.

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