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Difficoltà linguistiche per gli studenti stranieri in Italia

La scuola italiana sta affrontando una profonda trasformazione nella composizione della sua popolazione scolastica in relazione alla progressiva ed elevata presenza di alunni di origine straniera in tutti gli ordini e gradi. Alla notevole crescita della popolazione straniera non poteva che corrispondere un sensibile aumento degli alunni non italofoni nelle scuole del nostro paese. Nell’anno scolastico 2022/2023, gli alunni con cittadinanza non italiana nelle scuole italiane erano 914.860, pari all’11,2% del totale degli studenti, con un incremento di 42.500 unità (+4,9%) rispetto all’anno precedente.

Uno degli aspetti di maggior rilievo è l’aumento di studenti non italofoni iscritti nella scuola secondaria di secondo grado, il cui afflusso è, in percentuale, superiore a quello degli altri gradi d’istruzione. Infatti, in dieci anni, dall’a.s. 2006/2007 all’a.s. Con i suoi 815.000 alunni di cittadinanza non italiana (a.s. La presenza degli alunni non italofoni in tutti gli ordini scolastici è un dato strutturale e significativo del sistema scolastico italiano, così come le difficoltà che spesso questi ragazzi incontrano nel loro cammino scolastico.

Il fenomeno degli alunni di cittadinanza non italiana, unito a quello delle seconde generazioni, pone la scuola di fronte a molteplici interrogativi: perché gli alunni di origine straniera, più degli altri, hanno difficoltà nell’ apprendimento scolastico e raggiungono raramente livelli ottimali di apprendimento? L'aumento del numero di alunni non italofoni impone di prestare attenzione alle difficoltà che possono incontrare nel processo di apprendimento scolastico. Ogni bambino porta con sé un bagaglio pieno di bisogni, desideri, caratteristiche individuali, esperienza scolastica e conoscenza della lingua.

Numerosi studi e ricerche (Favaro e Napoli, 2004) hanno messo in luce come l’età di migrazione sia uno degli elementi più incisivi sulle modalità con cui il percorso migratorio verrà vissuto e rielaborato: i bambini e gli adulti sono in qualche modo facilitati, dal punto di vista affettivo e psicologico rispetto agli adolescenti e ai pre-adolescenti, che per il particolare periodo di crescita in cui si trovano, devono accettare a priori l’esigenza di lasciare la propria terra e i propri affetti per trasferirsi in un altro paese o ritrovare la famiglia migrata. Al contempo diviene necessario per i ragazzi e le ragazze neo-arrivate conoscere un contesto socio-culturale altro, acquisire una nuova lingua, affrontare la scuola, superare le difficoltà tipiche dell’adolescenza.

Difficoltà nell'apprendimento

La conoscenze e la comprensione della lingua italiana sono tra le difficoltà che i bambini stranieri si trovano a dover affrontare nel momento del primo ingresso della scuola italiana. Il bambino straniero che si trova a svolgere il proprio percorso scolastico nel sistema italiano è in molti casi in ritardo nell’apprendimento scolastico o comunque non ottiene risultati paragonabili a quelli dei suoi compagni italiani. Quando non sono presenti difficoltà specifiche o disturbi di altro genere, le difficoltà maggiori per i bambini di origine non italiana consistono nel raggiungimento dell’apprendimento della lingua, ovvero l’apprendimento dell’italiano per comprendere i testi scolastici delle diverse materie e poterli studiare, in cui le difficoltà sono conseguenti all’aspetto linguistico.

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Le difficoltà che possono presentarsi durante l’acquisizione della L2 come lingua per apprendere tendono a scomparire progressivamente, se non sono presenti difficoltà specifiche di apprendimento. Le rilevazioni sull’ apprendimento, infatti, evidenziano significative differenze di successo scolastico tra alunni italiani e non italofoni, anche se con segnali di miglioramento nelle “seconde generazioni” (Invalsi 2016). I dati MIUR (2017) mostrano come la percentuale di alunni in ritardo e di ripetenti è tra gli studenti non italofoni sistematicamente maggiore di quella dei compagni italiani.

A livello nazionale, infatti, gli studenti italiani in ritardo nella frequenza scolastica sono circa il 10,5% contro il 32,9% degli studenti non italofoni; analizzando i singoli ordini scolastici si osserva che: la distanza a sfavore degli studenti stranieri nella percentuale dei ritardatari (cioè degli studenti la cui età anagrafica è maggiore di quella degli studenti regolari in ciascuna classe) è di 11 punti percentuali nella scuola primaria (1,8% contro 13,2%), di 29 punti percentuali nella secondaria di I grado (6,6% contro 35,4%) e di circa 40 punti percentuali nella secondaria di II grado (21,9 % contro 61,3%). Questo fenomeno sta destando sempre più l’interesse della ricerca scientifica e del mondo della scuola, ma, in realtà, ha origini lontane.

In passato, in molti Paesi occidentali, le difficoltà che i bambini immigrati incontravano in ambito scolastico erano attribuite a deficit strutturali di natura cognitiva, con la conseguenza di un loro inserimento in classi di “educazione speciale” (Cummins, 1984; 1989). Marie Rose Moro, etnopsichiatra infantile (1998), ha condotto in Francia un’interessante analisi delle difficoltà scolastiche incontrate dagli alunni migranti e figli di immigrati. I risultati mostrano una diffusa condizione di svantaggio fra i bambini figli di immigrati relativamente ai problemi scolastici: rispetto ai bambini autoctoni essi hanno il doppio delle difficoltà di calcolo; una probabilità maggiore di essere bocciati; difficoltà nettamente superiori nel comportamento e adattamento a scuola.

Un’altra ricerca (Murineddu et al., 2006) ha preso in considerazione alcune abilità di tipo linguistico, matematico e di memoria visuo-spaziale in bambini non italofoni dalla seconda classe primaria alla terza della secondaria di primo grado. I risultati mostrano che il gruppo degli alunni non italofoni si distingue dal gruppo degli alunni italiani solo per le prove di lettura e quindi per l’aspetto linguistico, in particolare nella lettura di parole. Questo risultato è importante perché mette in discussione l’idea che i bambini stranieri presentino difficoltà cognitive e scolastiche generalizzate. Un’ipotesi parzialmente confermata in tale studio è quella che il livello di apprendimento degli alunni non italofoni sia influenzato dall’esposizione all’italiano.

La spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che, indipendentemente dal tempo trascorso in Italia, i ragazzi parlano, almeno in famiglia, la lingua d’origine e ciò non facilita l’acquisizione di una buona padronanza della lingua italiana. Questi risultati sono stati, in parte, confermati da un altro studio che ha illustrato per la prima volta in modo sistematico le difficoltà di scrittura di ragazzi della scuola secondaria di II grado nati all’estero (Cornoldi et al., 2018). Tale indagine ha interessato 3714 studenti, di cui 3583 italiani e 131 stranieri (tutti gli stranieri sono nati all’estero e in famiglia parlano una lingua diversa dall’italiano); i due gruppi sono stati confrontati su 14 misure di scrittura previste dalla nuova batteria di Prove MT Avanzate-3-Clinica per il biennio della Scuola Secondaria di II grado (Cornoldi, Pra Baldi e Giofrè, 2017).

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I risultati dimostrano che i ragazzi nati all’estero risultano più deboli in tutti gli aspetti della scrittura, con maggiori difficoltà rispetto ai ragazzi italiani nelle prove di competenza ortografica, in particolar modo nel Dettato di parole, ma anche nel Dettato di brano (soprattutto nella scrittura di doppie e accenti) e nel Dettato di non-parole. I differenti punteggi tra parole e non-parole confermano, sia pur in misura meno accentuata, l’effetto riscontrato da Murineddu e colleghi (2006), ma mostrano che, nel caso della scrittura, il problema è ben presente anche con le non-parole. La differenza tra i due gruppi si riduce nella Produzione del testo, probabilmente perché quando i ragazzi scrivono un testo, scelgono parole che conoscono bene e ritengono di saper scrivere correttamente.

Le differenze sono meno evidenti nella qualità dell’espressione scritta e nel grafismo, dove le abilità linguistiche hanno un peso minore. Una possibile spiegazione delle difficoltà emerse in questi studi potrebbe risiedere nel fatto che gli alunni non italofoni utilizzano principalmente la via fonologica, ossia quella che prevede la conversione grafema-fonema, poiché posseggono un lessico italiano ridotto. Ciò potrebbe significare che lo studente non ha ancora acquisito le rappresentazioni lessicali delle parole (ossia la rappresentazione della parola intera), rendendo necessario l’utilizzo della via fonologica anche per le parole. Tali difficoltà hanno inevitabilmente una ricaduta sulla capacità di comprensione del testo con effetti negativi sulle capacità di studio in generale.

Strategie e Interventi

La scuola ha l’importante compito di individuare tempestivamente e segnalare quei casi in cui le difficoltà incontrate dal bambino sono tali da non poter essere giustificate da uno svantaggio linguistico. Si sta rivelando molto utile un lavoro mirato sui linguaggi specifici delle singole materie, evitando però di semplificare eccessivamente i testi e le attività didattiche. Infatti, l’uso di testi semplificati risulta molto utile e spesso indispensabile nella fase dell’accoglienza e dell’inserimento, ma successivamente è necessario esporre gli alunni non italofoni a un livello linguistico più complesso, seppur gradualmente e con un costante appoggio dell’insegnante. Il lavoro sulla comprensione del testo dovrebbe avere l’obiettivo di migliorare le aree della comprensione in cui i bambini non italofoni sono in maggiore difficoltà, ovvero la comprensione sintattica e la comprensione di frasi idiomatiche (Dosso, 2008).

Ad esempio, il 62% dei dirigenti scolastici intervistati afferma di aver attivato un laboratorio di italiano per accelerare l'apprendimento della lingua. “I riscontri scientifici sono noti: il dispositivo pedagogico più efficace è quello della compresenza con i compagni”. “L’aumento della presenza di alunni di nazionalità non italiana nelle scuole del nostro paese - spiega Novara - è una buona notizia, in grado di contrastare il perdurante calo demografico che, purtroppo, sta colpendo il nostro Paese. È chiaro che occorre una scuola in grado di diventare, per questi alunni, l’occasione per acquisire una cittadinanza attiva e per praticare una vera integrazione.

“Gli alunni di origine straniera devono restare in classe - aggiunge il pedagogista - ed è la scuola che deve essere sollecitata verso una adeguata formazione pedagogica che possa mettere in i docenti di utilizzare le giuste tecniche come la didattica sociale, il lavoro di gruppo, il mutuo insegnamento e la continua reciprocità. Sono i compagni la grande risorsa dei bambini stranieri nell’apprendimento linguistico. “Sbaglia chi pensa che l’isolamento, con insegnanti più o meno specializzati nell’apprendimento linguistico, possa essere la migliore strada da percorrere. L’apprendimento è un processo di imitazione, tanto più quello linguistico.

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“Auspico un ripensamento da parte del Ministero perché la pedagogia è una scienza operativa ed è necessario ascoltare quelle che sono le scoperte scientifiche piuttosto che insistere con decisioni troppo segnate dalle ideologie. Il Ministero ha sintetizzato le novità in merito all’integrazione degli alunni stranieri. Basti pensare che il tasso di dispersione scolastica per questi studenti stranieri si attesta, infatti, a oltre il 30% a fronte di una dispersione degli studenti italiani pari ad appena il 9,8%.

BES e Svantaggio Linguistico

Cosa vuol dire BES? La complessità dell’insegnamento in classe sta diventando sempre più evidente in diversi contesti scolastici. Alcuni di questi, come abbiamo già accennato nel nostro articolo sui BES, vengono definiti zone di sostegno per l’istruzione speciale. La dicitura B.E.S comprende tre sottocategorie principali: disabilità; disturbi nell’area evolutiva; svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. I bisogni educativi speciali si riferiscono a difficoltà di sviluppo che operano nel campo dell’insegnamento e dell’apprendimento e richiedono un’educazione speciale per un’inclusione personalizzata.

Cosa s’intende per Svantaggio Linguistico? Per svantaggio linguistico s’intendono tutte quelle situazioni derivanti da difficoltà dovute alla non conoscenza della lingua italiana. Nel 2006, con la circolare ministeriale n. 24 del 10 marzo, il Ministero dell’Istruzione ha emanato le linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli studenti stranieri. L’obiettivo è stato quello di sviluppare linee guida culturali ed educative generali, nonché proposte logistiche e didattiche per facilitare il successo dell’integrazione e dell’istruzione degli studenti stranieri.

Le raccomandazioni del 2006 sono state un importante punto di partenza, ma da allora sono passati anni e la situazione si è sviluppata ulteriormente, sia in termini di numeri che di diversità dei Paesi di origine e delle culture. La realtà di un mondo migratorio sempre più complesso, sia in termini numerici che di diversità nazionale e culturale, dovrà essere costantemente riesaminata al fine di trovare soluzioni per l’integrazione interculturale.

Tipi di Svantaggi Linguistici Culturali

Esistono molti tipi di bisogni educativi speciali quando si tratta di stranieri in generale:

  • Alunni NAI (riferiti agli alunni stranieri che sono entrati nel nostro sistema per la prima volta nell’anno in corso o in quello precedente);
  • Alunni stranieri arrivati in Italia negli ultimi tre anni (cioè alunni che hanno superato il primo livello di alfabetizzazione ma non hanno ancora raggiunto una competenza sufficiente nella lingua italiana per apprendere le materie di studio);
  • Studenti stranieri che si trovano in Italia da più di tre anni ma che hanno difficoltà con la lingua italiana e nell’andamento scolastico;
  • Studenti stranieri la cui età non corrisponde al grado scolastico a cui vengono trasferiti perché sono stati relegati a uno “inferiore” a causa di studi ripetuti o di circostanze familiari.

Come deve comportarsi la scuola?

Le scuole devono rispondere alle esigenze specifiche di questi alunni senza utilizzare un approccio generico. Pertanto, è necessario predisporre percorsi individualizzati e personalizzati (attraverso misure compensative e deroghe), essendo questi particolarmente utili per coloro che incontrano difficoltà dovute a una conoscenza insufficiente della lingua italiana. Questo si può fare attraverso la stesura di un PDP che risulta essere fondamentale, e l’attivazione di progetti PON. ll PDP può (e dovrebbe) essere sviluppato quando gli studenti stranieri sono svantaggiati dal punto di vista linguistico, poiché esso permette loro di seguire il percorso educativo presentato alla classe in maniera adeguata attraverso la facilitazione o semplificazione di: testi; consegne degli esercizi; valutazioni finali.

Il tutto sempre promuovendo l’inclusione in classe, ma soprattutto, in Italia.

I criteri del PDP

I criteri in base ai quali il consiglio di classe può determinare la necessità di un PDP per svantaggio linguistico sono i seguenti:

  • informazioni sulla situazione personale e scolastica dell’alunno;
  • Risultati di un test linguistico sulle competenze di base dell’alunno;
  • Il livello di scolarizzazione dell’alunno;
  • Durata del soggiorno in Italia /data di arrivo in Italia;
  • Lingua di origine.

Dopo il dibattito del consiglio di classe, il PDP è accettato per il tempo strettamente necessario ad un corretto recupero.

Docenti di Italiano L2 e Tutor

Dal 2016, nelle scuole nazionali sono state istituite classi speciali per insegnare l’italiano agli studenti stranieri. Questa qualifica conferma le competenze pratiche e speciali dell’insegnamento dell’italiano come Lingua Seconda.

Distribuzione degli studenti stranieri per area geografica (anno scolastico 2020/2021)

La situazione è inoltre molto disomogenea in base all'area geografica di collocazione, come illustra il report ufficiale del Ministero dell'Istruzione (fermo all'anno scolastico 2020/2021). Più di un quarto degli studenti con cittadinanza non italiana frequenta le scuole della Lombardia (oltre 220mila). Nelle regioni meridionali, invece, l’incidenza degli studenti con cittadinanza non italiana è ovunque inferiore alla media nazionale del 10,3%. A livello provinciale, le prime 10 province in elenco assorbono da sole il 39,6% del totale degli studenti con cittadinanza non italiana. Prima in assoluto è la provincia di Milano, con quasi 80mila alunni stranieri. Dopodiché troviamo Roma e Torino, con rispettivamente circa 64mila e 40mila presenze.

Regione Numero di studenti con cittadinanza non italiana
Lombardia Oltre 220.000
Provincia di Milano Quasi 80.000
Roma Circa 64.000
Torino Circa 40.000

Questo indica che buona parte degli alunni stranieri non è costituita da neo arrivati, ma da studenti che hanno già una certa familiarità con il contesto linguistico e culturale italiano. Un tema centrale è quello dell’accesso alla cittadinanza: il mancato riconoscimento giuridico per molti studenti nati e cresciuti in Italia contribuisce a rafforzare la percezione di estraneità e di “non appartenenza”. Questi ragazzi, pur essendo di fatto italiani per lingua, cultura e percorso scolastico, continuano a essere considerati “stranieri” a causa del mancato riconoscimento giuridico della cittadinanza.

Un altro elemento critico riguarda il modello culturale che sta alla base della misura ministeriale. La scuola italiana tende ancora a ragionare in termini di “normalità” e “eccezione”: l’alunno “medio” - implicitamente italiano, italofono, senza bisogni educativi particolari - viene preso come parametro, e tutte le altre situazioni diventano deviazioni da normalizzare con interventi specifici. Ma questa concezione è ormai superata: la realtà delle classi italiane è plurale per definizione, fatta di storie, lingue, competenze e ritmi di apprendimento diversi.

La soluzione proposta da molti pedagogisti è quella di investire nella formazione continua di tutti gli insegnanti, rendendoli capaci di lavorare in contesti multiculturali e multilingua, cooperando, ma senza delegare unicamente il compito a figure esterne o aggiuntive. Il decreto del novembre 2024 rappresenta un primo passo solo se inserito in un progetto più ampio. Se davvero si vuole costruire una scuola inclusiva, è necessario andare oltre il linguaggio dell’emergenza e riconoscere la complessità delle nostre classi come un dato di fatto da cui partire per riconoscerne il valore.

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