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Faccia da Straniero: Un'Analisi del Significato Attraverso la Musica e la Letteratura

Il tema "Quella faccia da straniero" è stato al centro di un convegno nazionale organizzato da "Psichiatria Democratica" a Castel Volturno. Il convegno verteva sulle politiche dell'immigrazione, in particolare sull'accoglienza e sull'integrazione.

L'Esperienza Personale dell'Emigrazione

Milano, estate 1969. Ricordo un mese di agosto quasi torrido. Da poco più di due mesi e per la prima volta, mi trovo nella laboriosa città del Nord, mèta di tanti emigranti provenienti dal Sud.

Ci sto per lavoro, per aver vinto un concorso indetto dal Banco di Napoli assieme ad altri dieci coetanei tutti di Napoli e dintorni. Milano la ricordo in quegli anni non molto ospitale. Ho in mente ancora le difficoltà per trovare una sistemazione imbattendomi, mentre cercavo casa, in cartelli con scritte chiaramente discriminatorie tipo “fittasi solo a giovane settentrionale” oppure “fittasi a famiglie con massimo due figli”.

Il termine terrùn nei confronti dei meridionali non si usava solo per scherzare, ma non di rado anche in maniera offensiva. Per chi arrivava dal Sud si cercava di stare insieme, era un modo per sentirsi più forti e più pronti a replicare. Così facevamo noi neoassunti.

Di conseguenza i fine-settimana si stava spesso insieme per il tempo che si poteva. Tra di noi c’era chi sapeva suonare la chitarra e qualcuno anche l’armonica a bocca. Conosceva a memoria tutte le canzoni di Fabrizio De Andrè, dei Beatles, dell’Equipe 84 e di tanti altri gruppi.

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Così uno dei passatempi preferiti era ritrovarsi la sera, soprattutto il sabato, a piazza Duomo sotto il monumento a Vittorio Emanuele II a intonare le canzoni del momento: la guerra di Piero o la ballata dell’Eroe, d’impronta fortemente antimilitaristico, di Fabrizio De André o Hey Jude o Love me do dei Beatles, per citarne solo alcune.

L'Influenza di Georges Moustaki e "Lo Straniero"

C’era poi una canzone, uscita proprio quell’anno che ci prese in particolar modo al punto da intonarla, durante quell’estate, ogni qualvolta ci incontravamo sotto lo sguardo protettivo della Madunina. Si trattava de Lo straniero, titolo originale Le métèque, di Georges Moustaki, un brano che spopolò in Francia varcando ben presto la frontiera.

Quando nel febbraio del 1969 appare alla tivù francese nella trasmissione Discorama e intona Le Métèque, il brano che nella versione italiana prenderà il titolo di Lo straniero, nessuno si aspetta quanto sta per accadere. Nel giro di 48 ore la canzone sbanca gli ascolti e inizia una vertiginosa scalata alle classifiche di vendita di tutt’Europa. Georges Moustaki è ormai una star di primo piano che per un decennio almeno incarna davvero l’immagine dello straniero.

Moustaki con il suo straniero ci conquistò tutti. Non ne avevamo mai sentito parlare prima, eppure aveva composto canzoni per Edith Piaf, Dalila, Yves Montand…In lui ci vedevamo un po’ immedesimati, in particolar modo io che venivo da un’isola. Ci affascinavano le sue origini, il suo girovagare, il vagabondare che vedevamo un po’ in ognuno di noi, i tanti mestieri fatti, dal giornalista al cameriere, dal pianista da piano bar al cantante. Non dimentichiamo che siamo negli anni creativi del movimento studentesco.

Riporto l’introduzione di un’intervista, che è quasi un testamento, fatta a Moustaki da Daniela Gross nell’ottobre 2011 e pubblicata il giorno della sua morte, il 23/5/2013, da Moked, il portale dell’ebraismo italiano.“Quando nel febbraio del 1969 appare alla tivù francese nella trasmissione Discorama e intona Le Métèque, il brano che nella versione italiana prenderà il titolo di Lo straniero, nessuno si aspetta quanto sta per accadere. Nel giro di 48 ore la canzone sbanca gli ascolti e inizia una vertiginosa scalata alle classifiche di vendita di tutt’Europa. Georges Moustaki è ormai una star di primo piano che per un decennio almeno incarna davvero l’immagine dello straniero. Uno straniero di gran fascino, artista e giramondo, affamato di vita e d’amori. Un personaggio che non è frutto di un accurato marketing ma rispecchia appieno la sua vocazione di cittadino del mondo. Nato ad Alessandria d’Egitto, da una famiglia ebraica originaria di Corfù il cui cognome originario è l’italianissimo Mustacchi, trapiantato a Parigi da ragazzo, Georges Moustaki è uno straniero che coniuga le sue identità in un mosaico colorato e privo di tormenti. “Sono ebreo, sono greco, sono francese, mi sento a casa in Italia: la mia è una pluridentità”, racconta nell’intervista che si può leggere tutta cliccando su “Georges Moustaki: Ho cantato con questa faccia da straniero”

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Giornalista, abile pianista e scrittore, in seguito anche pittore e attore, George Moustaky, il cui vero nome era Giuseppe Mustacchi, conobbe proprio a Parigi, nei primi anni ’50, il celebre cantautore Georges Brassens per il quale sembra nutrisse un’immensa stima, e successivamente,nel 1958, ebbe anche la fortuna di incontrare la famosissima Edith Piaf, impareggiabile cantante ed interprete musicale francese, alla quale propose molte canzoni proprie.

Questa canzone fu ripresa e reinterpretata in italiano anche da Dalida nel 1961. La canzone conquista il primo posto della classifica di vendita italiana rimanendoci per svariate settimane.

Il Senso di Estraneità nella Letteratura

Se c'è un autore che più o meno tutti, concordemente, pongono all'inizio della letteratura moderna, questi è Baudelaire. Charles Baudelaire viene dunque considerato il fondatore della poesia moderna. Gustave Flaubert, invece, sta all'origine della moderna concezione del romanzo.

È fatale che ne nasca un senso di estraneità nello scrittore. Che sente di non far parte, di non essere membro di una società che lo mette sotto processo. Baudelaire esprime in vari testi il suo senso di estraneità rispetto al mondo che lo circonda.

Ma quello in cui questo sentimento è dichiarato a più chiare lettere e in modo splendidamente poetico è senz'altro il poemetto in prosa L'étranger (Lo straniero), uscito la prima volta su rivista nell'agosto del 1862. "Qui aimes-tu le mieux, homme énigmatique, dis? - Eh! - J'aime les nuages... les nuages qui passent... là-bas... "Uomo enigmatico, dimmi, chi ami di più? - Amo le nuvole... le nuvole che passano... laggiù..."

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Come a dire ai lettori: guardate, cari miei, che io, questo sono: uno straniero. Uno senza famiglia, senza amicizie, senza patria, senza Dio, senza soldi e amante unicamente della bellezza, sì, ma della bellezza perennemente cangiante, mutevole, imprevedibile, fragilissima - la bellezza delle nuvole in fuga sull'orizzonte. Uno straniero, cioè un poeta. Ossia uno che scrive senza mandato sociale.

Baudelaire non ha mai scritto un best-seller, in effetti. Per questo, per questa mancanza di riconoscimento da parte della società in cui vive, egli, il letterato, può identificarsi solo con i reietti, i respinti, le figure sociali dell'emarginazione: la prostituta, il povero, il vagabondo, il pervertito, il dandy... Ma anche nell'opera maggiore di Baudelaire, le Fleurs du mal, ci sono varie poesie che esprimono la stessa idea di fondo, a cominciare dal celebre Albatros, l'uccello marino che è metafora dello scrittore, come lui principe delle nuvole (prince des nuées) e però esiliato sulla terra (exilé sur le sol), dove è oggetto dello scherno e degli scherzi dei perfidi marinai, che si divertono a stuzzicarlo quando cammina impacciato sul ponte della nave.

Solo chi è escluso può vedere cose che a tutti gli altri sfuggono. Il punto di vista dello straniero è un osservatorio privilegiato.

Lo Straniero di Camus e Altri Autori

Non riassumerò ora la trama de Lo straniero di Camus; è troppo nota; basti dire che il protagonista, l'insignificante impiegato Mersault, viene condannato a morte per aver ucciso un uomo senza un perché preciso. Forse solo "perché c'era troppo sole", su quella spiaggia nei pressi di Algeri dove avvenne il delitto, l'inspiegabile delitto. Ma l'impiegato dalla vita insulsa, chiuso nella sua cella, in attesa dell'esecuzione capitale, diviene metafora della condizione umana nella sua interezza. Una condizione segnata dall'assurdo.

Un mondo che possa essere spiegato, sia pure con cattive ragioni, è un mondo familiare; ma viceversa, in un universo di colpo spogliato d'illusioni e di luci, l'uomo si sente uno straniero, e tale esilio è senza rimedio, perché privato dei ricordi di una patria perduta o della speranza di una terra promessa.

Anche il protagonista de L'idiota (1869), l'epilettico principe Myschkin, è, a ben guardare, uno straniero, e non solo in via metaforica. Ha soggiornato a lungo in Svizzera. Torna in Russia non come si torna in patria ma piuttosto come si entra in un paese estero. E ci rimane per poco. Quanto a Kafka, tutta la sua opera, si sa, non è che una lunga, articolata, compatta variazione sul tema dell'estraneità. Culminata, due anni prima della morte, nel Castello (1922), l'ultimo romanzo incompiuto, postumo come gli altri due. Chi più dell'agrimensore K. incarna il ruolo dello straniero, dello Straniero? Nessuno. K. è l'archetipo dello straniero. L'essenza stessa della figura. Viene da fuori. E, per tutta la durata del romanzo, combatte per farsi accettare, per farsi ricevere dagli impenetrabili funzionari del Castello, per farsi adottare dai sudditi del Castello. Invano.

Il Caso di Ungaretti

C'è però un poeta italiano del Novecento, molto noto, in cui la particolarità biografica si riflette nei testi in modo inequivocabile. Ungaretti era nato a Alessandria d'Egitto da genitori italiani (nel 1888); la sua formazione fu in lingua francese; le sue prime poesie le scrisse in francese; poi passò all'italiano; ma non sapeva bene se era francese o italiano.

Tutta la sua opera, nella prima fase, esprime questo senso d'inappartenenza. E, nella raccolta coeva Derniers Jours, le stesse cose sono espresse in francese: sans maison/sans famille/sans amours/sans amis... que vient-il faire ici. Che ci viene a fare qui? La frase tipica, che tutt'oggi viene rivolta agli stranieri, il poeta se la rivolge da sé. A ben guardare, nella letteratura italiana, il caso di Ungaretti non è poi così isolato come si potrebbe a tutta prima pensare.

Nel 1987 uno studioso dell'università di Roma, Roberto Mercuri, pubblicò, nella Letteratura italiana Einaudi, un lungo saggio sulla Genesi della tradizione letteraria in Italia. Esaminando le cosiddette "tre corone", cioè i tre scrittori che fondano l'espressione letteraria nel Bel paese (anche dal punto di vista linguistico), Dante-Petrarca-Boccaccio, rilevò che in essi l'elemento di spicco unificante è proprio il senso dell'esilio e dell'erranza.

Castel Volturno: Un Esempio di Accoglienza e Integrazione

Castel Volturno, Caserta. Un luogo dove su 40 mila abitanti, oltre la metà sono stranieri, dei quali 15mila “irregolari”. Proprio in questa piccola New York italiana, dove ogni giorno persone di 68 nazionalità diverse mescolano le loro vite, Psichiatria Democratica (PD) ha scelto di tenere quest’anno il convegno nazionale di studi, Quella faccia da straniero, il volto nuovo della migrazione.

In momenti densi di significato si sono confrontati sul tema esponenti dell’associazione fondata da Franco Basaglia, uomini delle istituzioni, studiosi, giornalisti, il mondo della scuola e quello dell’associazionismo. Come ha ricordato il sindaco di Castelvolturno, Dimitri Russo, la stessa cittadina campana che ha ospitato il convegno “continua ad essere una polveriera”, perché “ancora c’è un solco profondo tra la comunità locale e gli immigrati” e “la tolleranza è un filo sottile che potrebbe spezzarsi in qualsiasi momento”.

Tuttavia, il “terremoto demografico si è rivelato anche occasione di incontri, possibilità di riscatto e apertura di spazi di vita per interi nuclei familiari”, ha commentato Antonello D’Elia, presidente nazionale PD. In questo senso, Castelvolturno, luogo simbolo di tante contraddizioni, è diventata per due giorni ancora di più terra di frontiera, offrendo l’occasione a tutti di spostare lo sguardo più in là rispetto ai tanti luoghi comuni sulle migrazioni.

Tabella: Dati Demografici di Castel Volturno

Dati Valore
Popolazione Totale 40.000
Stranieri Oltre la metà
Immigrati Irregolari 15.000
Nazionalità Rappresentate 68

Conclusioni

Questo seminario ha rappresentato un atto di coraggio di Psic...

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