La Morbosa Attrazione per i Viaggi: Un'Analisi Profonda
(IStock/Natalija Grigel) La "morbosa attrazione per i viaggi" può essere interpretata come un desiderio intenso e spesso irrefrenabile di esplorare nuovi luoghi e culture. Questo fenomeno, a volte definito wanderlust o poriomania, può avere radici psicologiche complesse e manifestarsi in modi diversi.
Possibili Cause e Manifestazioni
La passione per i viaggi può derivare da una varietà di fattori, tra cui:
- Insoddisfazione personale: Il viaggio può rappresentare una valvola di sfogo per alleviare insoddisfazioni nella vita quotidiana.
- Ricerca di novità: Il desiderio di rompere la routine e sperimentare nuove avventure può alimentare l'attrazione per i viaggi.
- Componente biologica: Alcune ricerche suggeriscono che un gene specifico, il recettore della dopamina D4, potrebbe essere responsabile dell'amore per il viaggio e l'avventura.
Le persone affette da questa "sindrome" possono manifestare:
- Incapacità di rimanere a lungo in un solo luogo.
- Avversione per la vita routinaria.
- Senso di frustrazione e malessere quando impossibilitate a viaggiare.
Wanderlust: Desiderio Irrefrenabile di Vagabondare
Il termine wanderlust è di origini tedesche e deriva dall’unione di due parole: “wandern” e “lust”, ovvero “camminata” e “desiderio” e significa letteralmente “desiderio di vagabondare”. Tuttavia, non si tratta di un semplice desiderio, bensì identifica l’impulso a viaggiare e a non stare mai fermi in un solo posto. Per alcuni è una fissazione, un’ossessione o magari anche la valvola di sfogo per alleviare insoddisfazioni personali. Generalmente non si tratta di una malattia, in quanto categorizza una condizione generale, tuttavia nei casi più estremi, porta ad un forte senso di frustrazione e malessere, nel momento in cui si è impossibilitati a viaggiare. Chi ne soffre sta male fisicamente e psicologicamente quando non può viaggiare.
Alla base di questa sindrome ci sarebbe una forte componente biologica, in quanto della voglia di viaggiare sarebbe responsabile un gene specifico: una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Evolution and Human Behaviour ha rivelato che il recettore della dopamina D4 sarebbe il responsabile dell’amore per il viaggio e l’avventura e che questo gene sarebbe presente solo nel 20% della popolazione mondiale.
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Segnali di Wanderlust
Uno dei primi indizi è che gli individui “wanderluster” non riescono a star fermi in un solo luogo per lunghi periodi, non amano la vita routinaria e vogliono sempre essere in movimento. Non c’è un motivo ben preciso ma si è felici e soddisfatti solo se si viaggia, altrimenti le giornate sembrano tutte uguali e noiose.
Il Superuomo e il Fascino della Decadenza
Per comprendere meglio questo concetto, necessario è il riferimento al primo dei romanzi della fase del superuomo, intitolato “Il trionfo della morte”, ancora una volta vi è l’attrazione morbosa esercitata dalla morte, caratteristica del Decadentismo. Il protagonista di questo romanzo è Giorgio Aurispa, che incarna la figura del superuomo.
Claudio cantelmo vuole procreare con una delle tre donne di cui si parla in questo romanzo, per generare un erede dell’impero romano, che sappia far ritornare la forza dell’impero romano. È riportato il pensiero di Claudio che disprezza la borghesia, egli si sente un individuo superiore e non si limita come il personaggio esteta all’esaltazione della bellezza ma aggiunge anche l’azione, che può portare alla sconfitta di quel mondo borghese, sopraffatto dall’ossessione del denaro, si oppone dunque a una Roma in preda agli speculatori, quindi con la bellezza e con l’azione l’intellettuale ritrova il proprio compito, non solo la difesa della bellezza ma anche l’azione, trasmettere cioè la grandezza della stirpe latina attraverso la procreazione.
Non vi è più il riferimento ai palazzi fatati del poema ariostesco, ora ci sono riferimenti a Dante, quindi l’estetismo in questo brano è proprio la sovrapposizione tipica di ricordi letterari e artistici alla realtà: mentre si sta criticando la vita contemporanea della città di Roma, c’è un richiamo a Dante. Il protagonista afferma che gli tornano alla memoria gli argomenti danteschi.
È da condannare la borghesia, il conformismo borghese della Roma del tempo e si rivendica la superiorità della aristocrazia con distacco, ritrovando anche un ruolo per l’intellettuale (il primo compito è difendere la bellezza, nella fase del superomismo però questa difesa della bellezza si associa all’azione improntata alla forza: “voi possedete la suprema scienza, e la suprema forza del mondo, il verbo”; con “verbo” si fa riferimento alla parola, quindi assume notevole importanza l’istruzione per il dominio sulle masse, quindi se gli intellettuali sono esseri superiori grazie alla parola devono dominare il mondo, contro l’uguaglianza.
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Il Caso dei Mursi e l'Ossessione per l'Esotico
Origine e significato delle deformazioni labiali delle donne mursi dell’Etiopia meridionale. Segni distintivi, indossati con fierezza dalle donne che fanno a gara per ostentare il modello più elegante, i piattelli labiali sono un enigmatico rompicapo per gli studiosi occidentali e un’attrazione irresistibile per i turisti.
Per spiegare come siano venuti al mondo i circa dodicimila componenti della comunità, i Mursi narrano che una donna raccolse un corpo che galleggiava sul fiume dentro un’arnia di corteccia, e lo nascose nella capanna. Era un ragazzo: appena maturò, la mise incinta. La gravidanza fu subito evidente e le altre donne vollero sapere come una tal cosa le crescesse nel ventre. A quanto pare, le altre donne sperimentarono la procedura, ma senza successo. Come risolsero la faccenda non ci riguarda: interessante è l’uso, da parte delle donne mursi, di terra e dolore nell’antropopoiesi, la fabbrica della persona fisica e culturale.
Non a caso, il loro più noto elemento distintivo è il piattello labiale (dhebi), un disco in terracotta (più raramente legno) inserito nel labbro inferiore. Ingombro e peso sono tali che, per mangiare e bere, occorre sfilarlo. Eppure camminano fiere, a testa alta, consce della propria bellezza. «Il mento deve oscillare avanti e indietro - dice un’anziana - in modo sottilmente sensuale, per far sentire lo zes zes».
Per le ragazze puberi, il processo che porta al piattello labiale parte dalla madre o da un’altra donna del villaggio; costei incide il labbro inferiore della ragazza all’età di 15-16 anni: da allora in poi è una bansanai (“in età da marito”). Il taglio, doloroso di per sé, viene tenuto aperto da un inserto in legno fino a che non guarisca. È la ragazza a decidere quanto il labbro debba essere deformato: sta a lei inserire ogni notte legni sempre più grandi per un periodo di parecchi mesi.
Come riferisce l’antropologo David Turnton, presente tra i Mursi dal 1969, «Nga Mokony e le sue tre amichette continuarono a farsi segare sezioni di rami, che poi intagliavano nella giusta forma con un coltellino». Considerando che, per gestire piattelli così grandi, occorre rimuovere gli incisivi inferiori - con una lama e senza piangere -, le ragazze mursi devono essere motivate al massimo.
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Esiste un campionario dei piattelli labiali. I tipi principali sono: rosso (dhebi a golonya), marrone (a luluma), nero (a korra) e creta naturale (a holla, “bianco”). I piattelli rossi, coperti dalla corteccia profumata di un albero di foresta, si ottengono sui carboni ardenti. I piattelli “bianchi” sono in terracotta, ma non sfregati con l’erba, che tinge di nero; il bruno si ottiene dalla combustione di una pianta medicinale che aiuta la cicatrizzazione delle ferite. Oltre a quelli in terracotta, esistono i rari piattelli di legno (burgui), fatti esclusivamente dagli uomini mursi.
Alcune ragazze non riescono a sopportare il lungo periodo degli allargamenti progressivi del foro e, per paura di stracciare il labbro, possono decidere di non praticarvi alcuna incisione o di inserire un bottone labiale molto piccolo. Ciò, però, causa imbarazzo, in quanto «è cattiva condotta». Una fanciulla senza piattello si sentirà a disagio in presenza di ogni uomo, poiché vulnerabile se «a labbro aperto».
Il fatto mi è stato sottolineato da alcune donne anziane che additarono la fretta di una sposina nel posare a terra il garchu, piatto in vimini per la polentina di sorgo del marito, o il kedem, la zucca di caffè o latte acido. I piattelli sono portati più di frequente da ragazze non sposate, o maritate di recente, che non da donne con figli. Le occasioni principali d’uso sono: mentre si serve il cibo al marito; durante le cerimonie; alle danze; per assistere ai duelli maschili coi bastoni (donga). Le ragazze in cerca di marito, comunque, esibiranno il piattello in ogni dove e occasione.
A dimostrazione della funzione generativa del piattello labiale, una giovane sposa mursi, in attesa che il labbro si cicatrizzi perfettamente, vivrà con la madre anche per un anno prima di congiungersi sessualmente col marito. Dato che il piattello entra in gioco anche nella dote in vacche che il promesso sposo deve versare alla famiglia della ragazza, è economicamente ovvio quanto esso dimostri l’attaccamento di una ragazza al marito, alla cui morte, infatti, il piattello è gettato via e mai più inserito nel labbro deformato.
Gli antropologi hanno proposto tre teorie per l’origine del piattello labiale tra i Mursi. La prima afferma che la dimensione del piattello aumenta il valore del prezzo-della-sposa; dato che tale “cifra” è fissata in 38 vacche ben prima che la fanciulla inizi ad aprirsi il labbro, la connessione con un piattello di grandi dimensioni è ipotizzabile solo se diventa un asset in caso di asta tra due pretendenti. La seconda teoria parla di protezione dagli spiriti malvagi, ma nessuno sa definire chi siano e come stiano in relazione, neppure il kōmoru, il mago della pioggia. È stato scritto ovunque che i Mursi avrebbero appositamente reso dei “mostri” le loro donne per renderle inappetibili ai trafficanti di schiavi. Interrogati, i Mursi affermano di non aver mai sentito una storia simile.
Questo la dice lunga su come le donne forniscano un apporto evolutivo alla dinamica di popolazione: tramite una faccia-manufatto controllano la selezione epigamica, la scelta del partner - e quindi delle generazioni successive - in base alle caratteristiche esteriori. È il body fascism della chirurgia plastica, la trappola di modelli di bellezza impossibili da raggiungere senza farsi male.
La prima volta che visitai l’area dell’Omo, negli anni Ottanta, per i Mursi la fotografia era anatema. Poi si passò alla conquista dell’immagine tramite mercificazione: dapprima spille e specchietti (sic), poi i birr, la moneta locale. Le donne con il piattello labiale sono, accidenti, il nostro principale obiettivo tra i Mursi. Oggi molte ragazze si rifiutano di praticare l’incisione tout court, come segno di modernità. Tra le donne anziane ciò equivale alla perdita dell’identità culturale.
La fine delle mutilazioni corporee è progressiva e autodecisa localmente. Per quanto ci riguarda, però, dovremmo smetterla di dar corda alla morbosa ossessione per la selvaggeria perduta, che più aliena e orrifica è, più merita una fotografia, un post, una pubblicità turistica o un articolo come questo. Nonostante i precetti contro il non-uso del piattello labiale tra i Mursi, oggi è considerato accettabile, anzi indispensabile, che una vedova indossi un piattello labiale (quello originale l’ha buttato alla morte del marito) per fare due soldi posando per le fotografie dei turisti.
Bi Kalumi si chiedeva, l’ultima volta che l’ho vista: «Che succederà alla mia fotografia quando morirà mio marito? Si cancellerà da sé, il piattello labiale?
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