La Legge per gli Stranieri in Italia: Un Quadro Generale
Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998 (cosiddetta “legge Turco - Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero. Successivamente, sono intervenute numerose modifiche - tra cui quelle apportate dalla legge 189/2002 (la cosiddetta "legge Bossi-Fini") - che hanno modificato il testo unico, pur non alterandone l'impianto complessivo. Norme regolamentari, di attuazione del testo unico, sono contenute nel D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, come modificato dal D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, emanato in attuazione della legge 189/2002.
Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazione in senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici). I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).
Il testo unico non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989 (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di provvedimenti di recepimento della normativa comunitaria. La condizione giuridica degli stranieri cittadini di stati membri dell’Unione europea è stata disciplinata con il decreto legislativo 30/2007 sempre di derivazione comunitaria (dir. 2004/38/CE).
Ingresso e Soggiorno in Italia
I cittadini stranieri possono entrare sul nostro territorio per turismo, studio, ricongiungimento familiare e lavoro. Per entrare in modo regolare in Italia è necessario il passaporto o altro documento di viaggio e il visto di ingresso (per visita e/o turismo, per lavoro, per studio e/o ricerca, per famiglia, ecc.), che va richiesto all'ambasciata o ai consolati italiani nel Paese d'origine o di residenza stabile del cittadino straniero extracomunitario. L'ingresso in Italia è consentito con visti per soggiorni di breve durata, validi fino a 3 mesi, e per soggiorni di lunga durata che comportano la concessione di un permesso di soggiorno (di lunga durata) con motivazione identica a quella del visto.
Il cittadino straniero può entrare in Italia se è in grado di documentare il motivo e le condizioni del soggiorno, oltre alla disponibilità di mezzi sia per mantenersi durante il soggiorno sia per rientrare nel Paese di provenienza, tranne i casi di ingresso per motivi di lavoro. Non è ammesso in Italia chi non soddisfa questi requisiti, o è considerato una minaccia per la sicurezza nazionale o di uno dei Paesi con cui l'Italia ha siglato accordi per la libera circolazione delle persone tra le frontiere interne.
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Il mancato rispetto di queste procedure, o una permanenza oltre i 3 mesi o il termine minore indicato eventualmente nel visto, pongono lo straniero nella condizione di irregolare, e ne comportano l'espulsione, salvi i casi di forza maggiore previsti dalla legge. I cittadini stranieri espulsi non possono rientrare in Italia, tranne che abbiano un'autorizzazione speciale o sia terminato il divieto di ingresso. Non sono ammessi in Italia gli stranieri segnalati per gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale, e di tutela delle relazioni internazionali. Lo straniero che raggiunge in modo irregolare l'Italia viene respinto alla frontiera oppure, se già entrato nel territorio nazionale, viene espulso, a meno che non debba essere trattenuto in uno dei centri per l'immigrazione per accertarne identità e/o nazionalità.
Accesso al Mercato del Lavoro
L'ingresso in Italia per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale, e di lavoro autonomo, deve avvenire nell'ambito delle quote di ingresso (articolo 21 T.U.) stabilite nei decreti periodici (di solito annuali), i cosiddetti 'decreti-flussi', emanati dal presidente del Consiglio dei ministri sulla base dei criteri indicati nel documento programmatico triennale sulle politiche dell'immigrazione (articolo 3).
I cittadini di Paesi non Ue possono accedere al mercato del lavoro italiano:
- direttamente in Italia, se presenti sul territorio ed in possesso di regolare permesso di soggiorno che abiliti al lavoro, oltre ai requisiti previsti dalla legge; il datore di lavoro - tramite il sistema informatico di invio delle Comunicazioni Obbligatorie - dovrà compilare un unico modello di comunicazione di assunzione del lavoratore non comunitario in formato elettronico
- dall'estero, nell'ambito delle quote d'ingresso annualmente stabilite con il decreto flussi. La richiesta per l'assunzione di un lavoratore non comunitario può essere presentata agli Sportelli Unici per l'Immigrazione, da parte di un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente residente in Italia e può essere presentata solo dopo la pubblicazione del decreto di programmazione dei flussi sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
- dall'estero, al di fuori delle quote stabilite dal decreto flussi, per alcuni casi particolari di ingresso. Riguardano lavoratori altamente qualificati, dirigenti, lavoratori specializzati e lavoratori in formazione, in posizione di distacco presso consociate in Italia, ricercatori, professori universitari, infermieri, lavoratori dello spettacolo, etc.
In Italia l'immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all'Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro. In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale, il decreto annuale sui flussi, il decreto sull’ingresso degli studenti universitari.
Il documento programmatico sulla politica dell’immigrazione viene elaborato dal Governo ogni tre anni ed è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari. Esso contiene un’analisi del fenomeno migratorio e uno studio degli scenari futuri; gli interventi che lo Stato italiano intende attuare in materia di immigrazione; le linee generali per la definizione dei flussi d’ingresso; le misure di carattere economico e sociale per favorire l’integrazione degli stranieri regolari.
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Il decreto sui flussi è lo strumento attuativo del documento programmatico, con cui il Governo stabilisce ogni anno, sulla base delle indicazioni contenute nel documento programmatico triennale e dei dati sull’effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali, elaborati da un’anagrafe informatizzata tenuta dal Ministero del lavoro, le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per motivi di lavoro. In esso sono previste quote riservate per i cittadini provenienti da Paesi a forte pressione migratoria con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi specifici di cooperazione in materia di immigrazione. Il decreto è adottato entro il 30 novembre di ciascun anno, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
Contrasto all'Immigrazione Clandestina
Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina. Gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso sono considerati “clandestini”, mentre sono ritenuti “irregolari” gli stranieri che hanno perduto i requisiti per la permanenza sul territorio nazionale. Secondo le norme vigenti, tali immigrati devono essere respinti alla frontiera o espulsi.
L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale è considerato un reato punibile con una ammenda o con l’espulsione. Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva. Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa.
Quando l’espulsione non può essere immediata, gli stranieri devono essere trattenuti presso appositi centri di identificazione ed espulsione (CIE), nuova denominazione dei centri di permanenza temporanea ed assistenza - CPTA, per il tempo strettamente necessario alla loro identificazione ed espulsione.
Accordi Bilaterali
Uno degli strumenti che hanno reso possibile una efficace azione di contrasto all’immigrazione clandestina è stato la stipulazione, da parte del Governo italiano, di una serie di accordi bilaterali in materia di immigrazione (l’ultimo con la Libia). Si tratta, innanzitutto, degli accordi di riammissione degli stranieri irregolari, previsti dal testo unico sull’immigrazione, volti ad ottenere la collaborazione delle autorità del Paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non regolari, espulsi dall’Italia o respinti al momento dell’attraversamento della frontiera.
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Integrazione degli Stranieri Regolari
Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati. Innanzitutto, agli stranieri sono garantiti, alla stregua dei cittadini italiani, i diritti fondamentali di libertà ed eguaglianza fissati dalla prima parte della nostra Costituzione. Tra questi, espressamente destinato agli stranieri, il diritto di asilo (art. 10 della Cost.).
Inoltre, una serie di disposizioni contenute in leggi ordinarie provvedono a fissare contenuti e limiti della possibilità degli stranieri di godere dei diritti propri dei cittadini e dall’altro a promuovere l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati. In primo luogo, la legge prevede, in presenza di determinate condizioni, la concessione agli stranieri della cittadinanza (per naturalizzazione, per nascita o per matrimonio), quale massimo strumento di integrazione e di possibilità di godimento dei diritti garantiti dall’ordinamento.
L’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione presuppone la permanenza regolare e continuativa nel territorio nazionali per dieci anni ed è subordinata alla decisione, in larga parte discrezionale, dell’amministrazione pubblica. Per quanto riguarda i diritti civili, agli stranieri è garantito il diritto alla difesa in giudizio (art. 17 testo unico). Inoltre, è prevista una serie di strumenti volti al contrasto della discriminazione razziale.
Diritti Fondamentali e Tutela Giuridica
“Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.” [dlgs 286, art. 2, c. 1]. I diritti fondamentali della persona umana sono dunque riconosciuti allo straniero che abbia o non abbia un permesso di soggiorno, che sia in regola o no. Si tratta del diritto alla vita e alla salute, del diritto di asilo, del diritto alla libertà di manifestazione del pensiero, alla protezione della maternità, della famiglia e dell’infanzia: quei diritti universali per cui si può dire che tutti gli uomini sono uguali - godono di una “uguaglianza formale”, come dicono i giuristi.
Agli stranieri, comunque, viene sempre riconosciuta la cosiddetta “tutela giurisdizionale”, cioè la corretta applicazione delle norme giuridiche vigenti. A cominciare [art. 2, c. Altrettanto importante è il richiamo della legge alla Organizzazione internazionale del lavoro, OIL, la cui Convenzione è stata ratificata (cioè fatta propria) dall’Italia, che [art. 2, c. 3] “garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”.
È ovviamente prevista a favore dello straniero [c. 7 dell’art.2] la protezione diplomatica nelle forme regolate dal diritto internazionale: “ogni straniero presente in Italia ha diritto di prendere contatto con le autorità del Paese di cui è cittadino e di essere in ciò agevolato da ogni pubblico ufficiale interessato al procedimento”; e ogni pubblico ufficiale ha l’obbligo di informare la rappresentanza diplomatica o consolare del Paese a cui lo straniero appartiene nel caso in cui siano stati adottati nei suoi confronti “provvedimenti in materia di libertà personale, di allontanamento dal territorio dello Stato, di tutela dei minori, di status personale, ovvero in caso di decesso dello straniero o di ricovero ospedaliero urgente, e hanno altresì l’obbligo di far pervenire a tale rappresentanza documenti e oggetti appartenenti allo straniero che non debbano essere trattenuti per motivi previsti dalla legge”.
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