Morte di un commesso viaggiatore: un riassunto
Morte di un commesso viaggiatore è un'opera che esplora la vita di Willy Loman, un uomo ormai giunto quasi al termine di una lunga carriera come commesso viaggiatore di una importante società, ma ad un tratto tutto sembra cadergli addosso.
La sua vita, costellata di rate e di cambiali, vede uno dei figli (Happy) che conclude poco e forse si sposerà presto, mentre l'altro (Biff), da sempre in urto con il padre (che tutto aveva puntato sulle possibilità di sportivo), dopo vari vagabondaggi è rientrato deluso a casa, ma non ha né lavoro, né prospettive.
La moglie di Willy - Linda - è una donna dimessa, querula e assillata dalle preoccupazioni quotidiane. Willy continua pervicacemente a credere nel proprio lavoro e nelle buona relazione che, a suo dire, ha stabilito da anni con la clientela, ma in realtà è un fallito, perduto dietro ad impossibili sogni di modesti successi.
Il crollo avverrà quando Howard Wagner, il titolare della società in cui da trentacinque anni Loman lavora, lo licenzia da un giorno all'altro. Loman è ormai un uomo invecchiato ed usurato, che aveva tentato di proiettare tutto se stesso nei due figli, senz'altro sfortunato (mentre al più spericolato suo fratello le cose sono andate molto bene) e tanto orgoglioso da rifiutare, a lavoro perduto, la mano offertagli dal vecchio amico Charley, che negli ultimi tempi ha praticamente provveduto, una settimana dopo l'altra, al suo sostentamento.
Il prediletto Biff, dopo l'ennesima, amara disputa con il padre, lascia per sempre la famiglia.
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Dustin Hoffman - che era stato Willy Loman anche a Broadway - si carica di vissuto, di improvvisi smarrimenti, di frustrazioni, di memorie. Più aderenti ai personaggi, però, mi sembra risultino Kate Reid che è la moglie; ma soprattutto John Malkovich e Stephen Lang che sono rispettivamente i figli Diff e Happy.
La recitazione di Dustin Hoffrnan offre una recitazione a dir poco da manuale per la gamma sottilissima con cui esprime, di Willy Loman, ogni sfumatura di orgoglio e di ostentata sicurezza nel coltivare il suo sogno mentre tutto gli crolla addosso. I suoi rifiuti di sentire e di guardare in faccia la realtà, rotti via via da lampi di coscienza che si ostina subito a respingere, testimoniano un talento, una versatilità e una sensibilità che nessun altro attore diremmo in grado di spartire con altrettanta superba maestria.
John Malkovich nel ruolo del figlio Biff, con una recitazione tesa ed interiorizzata al tempo stesso, spicca nel concerto, perfettamente intonato, degli altri interpreti. Ma sono almeno da citare anche Stephen Lang, Kate Reid e Charles Durning, che conferisce la giusta esuberanza all'amico di successo. Accuratissime le ambivalenti scenografie del prestigioso Tony Walton e adeguati ai nodi del dramma gli interventi delle musiche di Alex North.
L'intelligenza di Schlondorff evita sia il realismo sociale puro, sia la parabola psichiatrica, l'identificazione cioè di Willy Loman come vittima schizofrenica di una vana corsa al successo e del fallimento familiare.
Non si può che ammirare anche il Biff di John Malkovich, attor giovane in rapida ascesa dopo 'Le stagioni del cuore' e 'Urla del silenzio': quel giovanotto stritolato dalla responsabilità di un fallimento che non è il suo, dall'obbligo di ripagare il padre di una vita grigia, costretto per forza a diventare il numero uno senza volerlo e poterlo fare, ha la grinta degli "eroi bruciati" classici del cinema Usa (Dean, Clift, forse Dillon), e al tempo stesso raggiunge una certa fissità quasi astratta, da perdente.
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