Referendum Cittadinanza Stranieri in Italia: Come Funziona
L’8 e il 9 giugno 2025 gli elettori italiani saranno chiamati a esprimersi su un quesito che potrebbe modificare sensibilmente l’accesso alla cittadinanza per chi risiede stabilmente in Italia. È una consultazione popolare prevista per l’8 e 9 giugno 2025. Il referendum in programma l’8 e 9 giugno ha riacceso il dibattito sulla normativa sulla cittadinanza, che fa capo principalmente alla legge n. 91 del 1992.
Cos'è il Referendum Cittadinanza?
Attraverso il referendum cittadinanza, i cittadini italiani saranno chiamati a decidere se abrogare la norma che richiede dieci anni di residenza legale per ottenere la cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri extracomunitari. Il quesito referendario ha ricevuto l’approvazione della Corte di Cassazione e ha superato il vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale, aprendo così la strada al voto popolare.
Il cuore della questione è proprio questo: è giusto mantenere un requisito di dieci anni di residenza per acquisire la cittadinanza italiana? Oppure un periodo più breve, come i cinque anni proposti, sarebbe più equo e coerente con i principi di inclusione?
Il referendum abrogativo, come previsto dall’articolo 75 della Costituzione italiana, permette ai cittadini di richiedere l’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge. Perché si possa procedere con il voto, è necessario che vengano raccolte almeno 500.000 firme di elettori oppure che cinque Consigli regionali ne facciano richiesta. Nel caso del referendum cittadinanza, entrambe le verifiche sono già avvenute con esito positivo.
Resta ora da superare l’ultima soglia: quella del quorum. Affinché il referendum sia valido, è necessario che si rechi alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto. In tal caso, il referendum cittadinanza sarà dichiarato non valido e la norma attuale resterà in vigore. È necessario che si rechi a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto per rendere efficace il risultato.
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Cosa Cambia con il Referendum?
Il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno propone di dimezzare da dieci a cinque anni il periodo di residenza richiesto agli stranieri extra-Ue maggiorenni per ottenere la cittadinanza italiana. L’8 e 9 giugno 2025 si vota per modificare i requisiti di residenza per ottenere la cittadinanza italiana. Attualmente sono richiesti 10 anni di residenza legale; il referendum propone di ridurre a 5 il perido di residenza.
Se il referendum cittadinanza dovesse approvare l’abrogazione della norma attuale, l’effetto giuridico diretto sarebbe la modifica del requisito di residenza per gli stranieri extracomunitari che intendono richiedere la cittadinanza italiana. In termini tecnici, si tratterebbe di un intervento abrogativo che inciderebbe sull’art. 9, comma 1, lettera f), della legge n. 91/1992, riducendo il termine da dieci a cinque anni. Dal punto di vista del sistema giuridico, questa modifica potrebbe determinare un aumento significativo delle domande di cittadinanza da parte di persone che, pur risiedendo da anni in Italia, non hanno ancora maturato il requisito decennale.
In termini tecnici, si tratterebbe di un intervento abrogativo che inciderebbe sull’art. 9, comma 1, lettera f), della legge n. 91/1992, riducendo il termine da dieci a cinque anni.
Se il confronto europeo lascia pochi margini agli oppositori della proposta referendaria, uno degli argomenti più utilizzati è quello dell’alto numero di acquisizioni di cittadinanza registrato in Italia negli ultimi anni. I numeri parlano ogni anno di un cospicuo contingente di nuovi cittadini (214.000 nel 2023, 217.000 nel 2024). Il motivo risiede però non in un presunto liberalismo, ma nella spinta demografica di oltre cinque milioni di residenti, molti dei quali entrati in Italia nella prima decade di questo secolo e regolarizzati grazie alle sanatorie dei governi a guida Berlusconi (quella varata a seguito della legge Bossi-Fini nel 2002 e quella dovuta a Maroni nel 2009). Prima o poi, magari dopo aver subito ritardi e dinieghi, alla fine maturano i requisiti e se lo desiderano riescono a intraprendere il percorso di acquisizione della cittadinanza.
Impatto sui Minori Stranieri
Uno degli aspetti più discussi del referendum cittadinanza riguarda le sue ricadute sui minori stranieri, specialmente quelli nati o cresciuti in Italia. Attualmente, un minore straniero nato in Italia da genitori non italiani non acquisisce automaticamente la cittadinanza. Tuttavia, può richiederla al compimento dei diciotto anni se ha risieduto legalmente e ininterrottamente in Italia fino a quel momento. Ridurre il requisito generale di residenza da dieci a cinque anni avrebbe l’effetto di rendere accessibile la cittadinanza anche ai genitori in tempi più brevi. E quando uno dei genitori diventa cittadino italiano, anche i figli minori conviventi ottengono automaticamente la cittadinanza, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 91/1992.
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No, formalmente il quesito non modifica la normativa specifica per i minori. Tuttavia, l’eventuale accesso alla cittadinanza da parte di uno dei genitori può estendersi anche ai figli minorenni conviventi, ai sensi dell’art. 14 della legge n. 91/1992. Con la vittoria del Sì, secondo le stime del Centro Studi e Ricerche Idos [2], i primi beneficiari sarebbero almeno 284 mila bambini/e e adolescenti, che seguirebbero la condizione giuridica dei genitori naturalizzati.
La stessa attesa riguarda, di conseguenza, i figli più piccoli o adolescenti, che nel frattempo, per anni, frequentano le scuole e condividono le altre esperienze dei coetanei italiani, ma senza avere diritti di cittadini e cittadine. Si può arrivare ad attendere anche 13-14 anni dall’inizio della residenza regolare dei genitori. Una vita, per un minorenne.
Posizioni Politiche
Il dibattito attorno al referendum cittadinanza ha acceso le opinioni pubbliche, politiche e giuridiche, dividendo il Paese su una questione tutt’altro che tecnica. Dal punto di vista dei promotori, accorciare il tempo necessario per la richiesta della cittadinanza da dieci a cinque anni renderebbe più coerente l’accesso ai diritti con la reale appartenenza alla comunità. Dall’altra parte, i contrari alla riforma mettono in evidenza il rischio di una “cittadinanza facile” concessa a soggetti che non avrebbero ancora dimostrato un sufficiente livello di integrazione. Alcune forze politiche hanno espresso il timore che una riduzione del tempo di attesa possa trasformarsi in una sanatoria generalizzata, senza garanzie reali sull’adesione ai valori costituzionali.
Per il Sì si sono schierate tutte le opposizioni, anche se con alcuni distinguo. Riccardo Magi, segretario di +Europa, è stato uno dei promotori e tuttora guida lo schieramento dei politici a favore. Nel corso dei mesi, si sono poi aggiunti anche gli altri partiti a sinistra. Quindi il Partito democratico, Avs, Azione e Italia viva.
Il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte è stato uno degli ultimi a esprimersi: “Siamo convinti”, ha detto a metà maggio, “che nel nostro Paese lo ius scholae sia la soluzione. Lo abbiamo presentato anche in questa legislatura. La formazione e la scuola consentono un percorso di integrazione culturale. Il dimezzamento da 10 a 5 anni ci lascia un po’ perplessi, riteniamo che non sia agevole da convincere la maggioranza, rischiamo di affossare una battaglia giusta. Lasciamo libertà di voto, a titolo personale voterò sì”. Un’adesione, ma con alcuni distinguo.
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Tutta la maggioranza è invece contraria e, anzi, sta invitando direttamente all’astensione, scatenando numerose polemiche. La voce che ha fatto più discutere è quella di Ignazio La Russa, presidente del Senato, che ha detto: “Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa”. Ma non è solo. Anche il ministro degli Esteri di Forza Italia Antonio Tajani, nonostante proprio gli azzurri sul tema siano sempre stati i più sensibili (a destra), ha detto di essere per “un astensionismo politico”.
Come Votare
Il referendum cittadinanza si terrà nelle giornate dell’8 e 9 giugno 2025, in concomitanza con il secondo turno delle elezioni amministrative nei comuni in cui è previsto il ballottaggio. I seggi saranno aperti dalle ore 7:00 alle 23:00 di domenica 8 giugno e dalle 7:00 alle 15:00 di lunedì 9 giugno. Potranno votare tutti i cittadini italiani maggiorenni iscritti nelle liste elettorali. Gli stranieri residenti in Italia non hanno diritto di voto, anche se saranno tra i soggetti direttamente interessati da un’eventuale modifica normativa.
Domenica 8 e lunedì 9 giugno 2025 sono in programma cinque referendum abrogativi. I risultati dei referendum saranno validi solo se sarà raggiunto il quorum, cioè se voterà la maggioranza degli aventi diritto di voto. In altre parole, l’affluenza dovrà essere superiore al 50 per cento, altrimenti i risultati dei referendum saranno nulli. I seggi resteranno aperti domenica dalle ore 7 alle 23 e lunedì dalle 7 alle 15.
Per votare è necessario presentarsi al proprio seggio con un documento d’identità valido e la tessera elettorale con spazi disponibili. Si vota tracciando un segno sulla casella del “Sì” se si è favorevoli all’abrogazione della norma oggetto del quesito. Il segno non deve essere necessariamente essere una “X”: basta che sia chiara l’intenzione dell’elettore di votare per una delle due possibilità. Se il voto non è espresso in modo chiaro e univoco, la scheda rischia di essere annullata.
Si possono ritirare tutte e cinque le schede, alcune, una sola o nessuna. Se non si ritira nessuna scheda, pur presentandosi al seggio, l’elettore è registrato come “non votante” per tutti i quesiti e non contribuisce al raggiungimento del quorum per nessuno dei cinque referendum. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che farà così, cioè andrà al seggio ma non ritirerà nessuna scheda. In questo modo, Meloni ha ammesso di fatto che non voterà ai referendum, nonostante abbia fatto intendere il contrario.
Voto dei Fuorisede
In via sperimentale, ai referendum dell’8 e 9 giugno potranno votare nel comune dove sono domiciliati, e non in quello di residenza, gli elettori che sono fuorisede da almeno tre mesi per motivi di studio, lavoro o cure mediche. La richiesta per votare da fuorisede doveva essere presentata entro lo scorso 5 maggio. Secondo i dati più aggiornati del Ministero dell’Interno, questa richiesta è stata presentata da circa 70 mila fuorisede.
Residenti all'Estero
Ai referendum possono votare anche i cittadini italiani residenti all’estero e iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) per un periodo di almeno tre mesi, che comprenda le date del referendum. Gli iscritti all’AIRE dovevano presentare una richiesta al proprio comune italiano di residenza entro il 7 maggio, ed entro il 25 maggio hanno ricevuto dal consolato italiano del Paese in cui vivono il plico con le schede del referendum.
La Cittadinanza in Europa: Un Confronto
L’eventuale vittoria del “sì” al referendum modificherebbe sensibilmente la normativa italiana, una delle più restrittive in Europa. In Francia, per diventare cittadini serve aver vissuto per cinque anni nel paese senza interruzioni, avere un impiego o una fonte di reddito stabile e superare un esame di lingua e uno di storia francese. Anche in Germania, dopo la riforma del 2024, per diventare cittadini servono cinque anni di soggiorno nel paese. In precedenza, gli anni di residenza richiesti erano otto.
In Spagna sono necessari dieci anni di residenza, che si riducono ad appena due per le persone nate nei paesi dell’America Latina in cui si parla spagnolo, o in altri paesi parzialmente ispanofoni come le Filippine e la Guinea Equatoriale. Tanto l’ammissione di nuovi immigrati, quanto la loro successiva integrazione e inclusione nella comunità dei cittadini rimangono fermamente nelle mani dei governi nazionali, salvo una base limitata di regole comuni su cui Bruxelles è riuscita a fare breccia, come quelle relative alla proibizione di discriminazioni e all’accesso -almeno teorico- alla maggior parte dei diritti sociali.
Sotto l’ombrello del persistente primato della regolazione nazionale, nell’accesso alla cittadinanza si è diffusa nella maggioranza dei paesi dell’UE a 15 la condizione dei cinque anni di residenza, su cui si è recentemente allineata la Germania, raggiungendo Francia, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Irlanda, Lussemburgo. Appena più restrittive sono Austria e Finlandia, che richiedono sei anni. Fuori dall’UE, la regola dei cinque anni vale nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
Anche laddove i tempi sono superiori - come in Spagna, in Danimarca e in Grecia-, vigono significative eccezioni: in Spagna per esempio i tempi sono ridotti a due anni per gli immigrati che provengono da antichi possedimenti spagnoli, (dall’America latina alle Filippine), nonché per i discendenti degli ebrei sefarditi espulsi nel lontano 1492.
Questa tendenza moderatamente liberale trova un contrappeso nelle richieste d’integrazione civica: dagli inizi di questo secolo si osserva una tendenza a domandare agli immigrati di dare prova di adesione politica e culturale alle norme delle società ospitanti. La conoscenza della lingua e di aspetti basilari della storia, delle istituzioni e delle leggi fondamentali ne è il banco di prova. Gli esami per misurare queste conoscenze vengono applicati a diversi stadi del percorso d’integrazione (in Italia per esempio bisogna superare un test per ottenere il permesso di lungo soggiorno), ma trovano il coronamento nelle verifiche necessarie per ottenere la cittadinanza.
Dalla parte dei bambini, italiani di fatto ma non di diritto. Il dimezzamento a 5 anni dei tempi richiesti per la domanda di cittadinanza parificherebbe l’Italia, sotto questo aspetto, ad altri paesi europei - tra cui la Francia, la Germania, i Paesi Bassi, la Svezia [3]. Non sarebbe ancora la riforma che chiediamo da anni: un vero e proprio ripensamento del sistema, che abbia al centro lo ius soli temperato, ossia la possibilità di diventare italiani se nati in Italia da genitori regolarmente residenti, e percorsi facilitati per chi è nato o nata qui. Riforma per la quale continueremo a impegnarci anche in futuro.
I criteri per diventare cittadini italiani sono tra i più complessi. Per fare un esempio: in Francia vige uno ius soli temperato, ovvero un bambino nato sul territorio può acquisire la cittadinanza se rispetta una serie di requisiti (tra cui la residenza di almeno 5 anni). In ogni caso, si accede al passaporto dopo cinque anni di residenza che diventano due in caso di studi nel Paese. Anche in Germania si parla di ius soli temperato e comunque ne vengono richiesti cinque di residenza (ridotti a tre in presenza di integrazione particolare). Sono dieci in Spagna, ma scendono a due per cittadini di Paesi latinoamericani, Filippine, Andorra e Guinea Equatoriale. Inoltre, i figli di genitori stranieri, dopo un anno di residenza continuativa possono diventare cittadini spagnoli se madre e padre fanno richiesta formale e se soddisfano determinati requisiti. In Portogallo, infine, servono cinque anni di residenza per accedere alla cittadinanza.
Cittadinanza: Ius Sanguinis vs. Ius Soli
Attualmente il nostro ordinamento si basa sul sistema dello ius sanguinis: si ha la cittadinanza italiana se uno dei genitori è italiano o se si viene adottati. Se si nasce in Italia da cittadini stranieri, si può chiedere la cittadinanza al compimento del 18esimo anno d’età (e solo fino ai 19) se si è risieduto ininterrottamente nel Paese.
Lo ius soli in Italia esiste già, ma ha un decorso molto lungo, più di quanto avviene nella maggior parte degli altri paesi dell’Europa Occidentale. La normativa sulla cittadinanza, L. 91/1992, rispecchia una realtà demografica e sociale ormai superata ed è imperniata sullo ius sanguinis (acquisizione per discendenza da cittadino/a italiano/a) e sulla naturalizzazione a seguito, appunto, di almeno 10 anni di residenza (5 per rifugiati e apolidi). Nel far questo, la legge non tiene conto dell’esperienza personale di bambini e bambine, adolescenti con background migratorio che vivono in Italia. Che siano nati qui, o arrivati, anche molto piccoli, al seguito della propria famiglia, i minorenni non hanno modo di acquisire autonomamente la cittadinanza italiana, sono perciò legati al destino e allo status dei loro genitori.
Statistiche sull'Acquisizione della Cittadinanza
Secondo i dati Istat, negli ultimi anni le acquisizioni di cittadinanza italiana hanno registrato un significativo aumento, superando nel 2022 e nel 2023 la soglia delle 200mila. Nel 2023 il 39,9 per cento delle acquisizioni è avvenuto per residenza. Istat riporta che il 70 per cento delle naturalizzazioni riguarda le quote per residenza o per trasmissione dei genitori ai minori.
Se oltre agli stranieri residenti (5,3 milioni a inizio 2024, pari all’8,9 per cento della popolazione) consideriamo anche i “naturalizzati”, il computo della popolazione “immigrata” aumenta sensibilmente. L’alto numero di acquisizioni di cittadinanza è uno degli argomenti citati dagli oppositori della riforma della cittadinanza.
Al contrario, il numero elevato di naturalizzazioni deriva proprio dalla rigidità della normativa che, limitando fortemente la trasmissione diretta e automatica della cittadinanza, “costringe” a farne richiesta. Per stimare il numero di stranieri non comunitari residenti in Italia da almeno cinque anni, si può considerare il dato sui permessi di soggiorno. A inizio 2024 i permessi di lungo periodo (per cui è necessario il requisito della residenza di almeno cinque anni) sono 2,1 milioni.
Tabella Comparativa dei Requisiti di Residenza in Europa
Di seguito una tabella comparativa dei requisiti di residenza per ottenere la cittadinanza in alcuni paesi europei:
Paese | Requisiti di Residenza |
---|---|
Italia (Attuale) | 10 anni |
Italia (Proposto) | 5 anni |
Francia | 5 anni |
Germania | 5 anni |
Spagna | 10 anni (2 anni per cittadini latinoamericani, filippini e altri) |
Portogallo | 5 anni |
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