Straniero: Significato Etimologico e Connotazioni
La parola straniero, sia come aggettivo che come sostantivo (straniera), deriva dal latino extraneus, che significa "estraneo, esterno". Questo termine latino è affine al francese antico estrangier, derivato da estrange, che significa anch'esso "estraneo".
Il termine "straniero" si riferisce a chi proviene da altri paesi o nazioni. Può indicare chi emigra, chi impara una lingua straniera, o chi ha usi e costumi diversi. In particolare, si riferisce a una persona che appartiene a uno stato estero, ma che gode dei diritti civili attribuiti ai cittadini dello stato ospitante, a condizione di reciprocità e nel rispetto delle leggi speciali.
Connotazioni Ostili e Letterarie
La parola "straniero" può avere una connotazione ostile, alludendo a popolazioni nemiche o avverse. Si pensi a espressioni come "eserciti stranieri", "l'invasione straniera" o "languire sotto il dominio straniero". In senso letterario, "straniero" può significare estraneo, come nel sentirsi straniero in patria o in casa propria.
Inoltre, in senso più soggettivo, "straniero" si riferisce a un luogo o ambiente non conosciuto, non familiare, con cui non si hanno legami o rapporti affettivi, come nel caso di "trovarsi a vivere in un mondo estraneo".
L'Etimologia di Hospes e il Concetto di Ospitalità
La parola ospite deriva dal latino hospes, -ĭtis, che aveva il doppio significato di ‘colui che ospita e quindi albergatore’ e di ‘colui che è ospitato e quindi forestiero’. Questo significato è comune alla parola greca xénos e si è tramandato in quasi tutte le lingue romanze.
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L’etimologia del termine latino hospes risulta spesso incerta nei più comuni dizionari della lingua italiana e, se vengono date delle spiegazioni, esse risultano parziali e non rispondono pienamente alla nostra domanda. Ad esempio, il Devoto-Oli 2012 e il Sabatini-Coletti 2008 fanno risalire la voce a un più antico *hostipotis, composto da hŏstis ‘straniero’ e pŏtis ‘signore, padrone’, cioè ‘signore dello straniero’, ma non dicono niente di più.
L’etimologico di Nocentini approfondisce invece la questione e rimanda all’indoeuropeo *ghos(ti)-potis ‘signore dello straniero’ cioè il padrone di casa che esercitava il diritto di ospitalità nei confronti del forestiero, composto da *ghostis ‘straniero’ e *potis ‘signore’. Hospes in origine è dunque il “padrone di casa” che dà ospitalità al forestiero; i rapporti che si istauravano tra chi accoglieva e chi era accolto erano così stretti - legati anche al fatto che chi era ospitato si impegnava a sua volta a ricambiare l’ospitalità - che, sin dai tempi più antichi, hospes ha indicato anche la persona accolta in casa d’altri. La reciprocità del patto di ospitalità è dunque all’origine del doppio significato della parola ospite.
Riconoscendo questa “squisita umanità degli antichi”, anche Leopardi nello Zibaldone scriveva: “di tal genere è ancora quella tanta ospitalità esercitata dagli antichi con tanto scrupolo, e protetta da tanto severe leggi, opinioni religiose ecc. quei diritti d’ospizio ecc. affinità d’ospizio ecc.
La Parola Hostis: Da Straniero a Nemico
Vale la pena soffermarsi un po’ di più sulla parola hostis che, insieme a potis ‘signore’, è all’origine di hospes. Tra i termini comuni al vocabolario preistorico delle lingue dell’Europa, questo ha un interesse particolare: hŏstis del latino corrisponde al gasts del gotico e al gostĭ dell’antico slavo, che presenta inoltre gos-podĭ ‘signore’, formato come hospes. Ma il senso del gotico gasts e dell’antico slavo gostĭ è ‘ospite’, quello del latino hŏstis è ‘nemico’.
Benveniste ricorda, infatti, che hostis è usato nella Legge delle XII tavole con il valore arcaico di ‘straniero’, ma riporta anche un’interessante testimonianza di Sesto Pompeo Festo (II secolo d.C.) da cui si ricava che il termine hostis indicava colui a cui erano riconosciuti gli stessi diritti del popolo Romano (quod erant pari iure cum populo Romano). A conferma di ciò Festo ricorda anche che il verbo hostire aveva lo stesso significato di aequare (con valore simile si trovano hostire in Plauto, hostus in Varrone e il nome della dea Hostilina in sant’Agostino).
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Si ricava dunque che il significato originario di hostis non era quello di ‘straniero’ in generale, né tanto meno di ‘nemico’, ma quello di ‘straniero a cui si riconoscono dei diritti uguali a quelli dei cittadini romani’, a differenza del peregrinus che indica invece ‘colui che abita al di fuori del territorio’. Il legame di uguaglianza e reciprocità che si stabilisce tra un hostis e un cittadino di Roma conduce alla nozione di ospitalità.
In un dato momento dunque hostis ha indicato ‘colui che è in relazione di compenso’ e di scambio nei confronti del civis e quindi, in ultima analisi, l’ospite. Più tardi, quando alle relazioni di scambio tra clan e clan sono subentrate le relazioni di inclusione o di esclusione dalla civitas, hostis ha assunto un’accezione negativa e ha preso il significato classico di ‘nemico’ (da cui deriva, per esempio, la parola italiana ostile), e in tal senso la storia di hostis riassume il cambiamento che le istituzioni romane hanno attraversato nei secoli.
In conseguenza del vuoto semantico lasciato da hostis si è dovuto pertanto ricorrere a un nuovo termine per indicare la nozione di ospitalità e si è creato, come già detto, partendo dalla stessa parola hostis, il termine hospes.
Un lettore, un po’ infastidito dalla polisemia di ospite e preoccupato che nella lingua comune non ci sia una parola per indicare ‘colui che ospita’, propone di usare due termini diversi come nella lingua inglese, che ha host per ‘ospitante’ e guest per ‘ospitato’ (da notare che entrambi i termini derivano dalla stessa radice indoeuropea *ghostis, anche se host passa attraverso il francese antico (h)oste). Ci suggerisce, come sostantivo per indicare chi ospita, il termine ospitante (o addirittura trimalcione). Ma in realtà, come spesso accade nei fatti di lingua, sarà probabilmente l’uso alla fine a trovare da solo la soluzione. E a ben guardare, quando è necessario distinguere tra i due significati di ospite, l’italiano ha già preso delle decisioni e mette a disposizione un ventaglio di scelte. Se per ospite ormai si intende comunemente ‘colui che è ospitato’, per indicare ‘colui che ospita’ invece, in relazione al contesto e al grado di formalità, si può oggi già scegliere tra: il forse troppo letterario ospitatore (cfr. GDLI), il padrone di casa o semplicemente l’amico che mi ospita.
Peregrino: Un Sinonimo Sottile
Peregrino è una voce dotta recuperata dal latino peregrinus ‘forestiero, straniero’, derivato dell’avverbio peregre ‘fuori della città’, composto di per- ‘attraverso’ e ager ‘campo’. Siamo davanti all’allotropo, al fratello di ‘pellegrino’: in questo la prima ‘r’ è stata dissimilata in ‘l’ e raddoppiata per via popolare.
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‘Peregrino’ viene invece recuperato per via dotta direttamente dal latino, conservandosi più vicino all’originale (secondo alcuni nel Cinquecento, ma altri ne annotano l’ingresso in italiano già nel Trecento). E mentre ‘pellegrino’ vive essenzialmente come sostantivo descrivendo il viandante, ‘peregrino’ è un aggettivo, e piuttosto sottile. L’immagine che ci porta ai suoi significati è delle più suggestive: la città, o il villaggio, con tutto intorno i campi. Entro la cerchia dei campi c’è la città, cioè il domestico, il noto, il consueto, il comune; al di là dei campi c’è il fuori città, e quindi si apre l’ignoto, e da là arriva lo strano, l’originale, il raro, lo straniero.
Si capisce subito che siamo quasi su immagini archetipiche - quasi ricami sulla divisione primaria fra dentro e fuori. Ovviamente il pellegrino è colui che viaggia in terre straniere, mentre il peregrino raccoglie in maniera più limpida quei caratteri generali.
Nell’uso attuale il peregrino è soprattutto il singolare, il bizzarro: posso fare un’ipotesi tutt’altro che peregrina sulle cause di un litigio, il collega in riunione tira spesso fuori idee peregrine, e l’interpretazione ironica di un testo fatta dall’attore può sembrare peregrina. Non è un originale armonico: conserva un che di fuori posto, se non addirittura di alieno, o di sbagliato. E non è nemmeno un bizzarro assoluto: può essere peregrina anche l’opinione grigia e assennata, se non è pertinente.
C’è una città, c’è una situazione con la sua consuetudine, e c’è ciò che arriva da fuori, il peregrino: lo straniero e lo strano sono sempre relativi. Poi in letteratura il peregrino è diventato anche il forestiero (sento che hai un accento peregrino ma non lo riconosco, di dove sei?) e il raro, il prezioso, l’esotico in quanto antitetico al comune e al domestico (alla festa ci sono musiche peregrine, casa sua è piena di soprammobili peregrini raccolti in viaggio).
Sono significati minoritari e poco spendibili, certo; ma fanno capire quale sia la profondità e versatilità di pensiero che la chiave del peregrino schiude.
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