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Impatto della guerra in Ucraina sul turismo in Italia

La situazione per il turismo italiano torna a complicarsi. Fino a poche settimane fa infatti l’allentamento della morsa della pandemia, grazie soprattutto alla diffusione dei vaccini, e le conseguenti riaperture programmate di buona parte dei mercati fondamentali per il nostro incoming avevano fatto ben sperare gli operatori in un 2022 di ripresa più sostenuta.

La ripartenza rischia oggi di essere più lenta del previsto per quanto sta accadendo in Europa: le conseguenze della guerra riguarderanno probabilmente anche il turismo incoming verso il nostro Paese, al netto degli effetti già visibili sui costi dell’energia e delle materie prime che incideranno verosimilmente sui prezzi dei servizi turistici e della mobilità più in generale, aggravando così la situazione.

Il conflitto russo-ucraino è una crisi geopolitica di vasta portata che ha avuto e sta tutt'ora avendo ripercussioni significative in diversi settori in ogni parte del mondo. Il conflitto russo-ucraino ha avuto inizio nel 2014, quando la Russia ha annesso la Crimea e sono scoppiati scontri armati nell'est dell'Ucraina tra forze filo-russe e forze ucraine. L'Italia è una delle principali destinazioni turistiche al mondo, in grado di intercettare turismo culturale, artistico ed enogastronomico ed il conflitto russo-ucraino ha condizionato pesantemente i flussi verso il nostro Paese.

Se da una parte, il turismo incoming “di prossimità”, ovvero quello tra Paesi all’interno dell’Unione, potrebbe risentire meno degli eventi, quello di lungo raggio è maggiormente a rischio, sia per le azioni dirette intraprese in questi giorni (le sanzioni contro la Russia e, specularmente, l’inserimento dell’Italia nella lista dei Paesi ostili) sia per una percezione che può diffondersi velocemente nel resto del mondo sull’insicurezza del Vecchio Continente.

Se il nostro incoming ha - per fortuna in questo momento storico - una forte componente di corto raggio, visto che il 67% delle presenze straniere nel 2019 riguardavano turisti provenienti da altri Paesi dell’Unione europea, tendenza accentuatasi in pandemia (78% nel 2020), ciò non vuol dire che gli altri mercati più lontani siano marginali.

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Nel 2019 gli Usa rappresentavano con 16,3 mln di presenze il nostro principale mercato extraeuropeo (il 7% dell’incoming) con una spesa che si aggirava attorno ai 5,5 mld di euro (il 13% della spesa incoming): nel decennio 2010-2019 ha avuto una crescita media annua del 5% per le presenze e del 7% per la spesa, più alta di quella dell’incoming complessivo nel nostro Paese (rispettivamente +3% e +5%).

La Russia, sempre nel 2019, rappresentava il secondo Paese - parzialmente extraeuropeo - per importanza (5,8 mln di presenze, il 3% dell’incoming italiano) con una spesa di circa un miliardo di euro (il 2% del totale). L’istituto di statistica, nel documento sul Def, ha ricordato che i cittadini russi sono da tempo quelli con la maggiore capacità di spesa per viaggiare. Il conflitto Mosca-Kiev ha frenato quindi il flusso di presenze e denaro dalla Russia in Italia. Con un settore appena avviato verso la ripresa, la mancanza del turismo russo rischia di assestare un ulteriore duro colpo all’economia italiana.

Per quanto riguarda le regioni preferite per il soggiorno, i russi sceglievano in primo luogo il Veneto (17% delle presenze totali) e in seconda battuta Emilia-Romagna, Lazio e Lombardia (tutte con il 13%). Per quanto riguarda la spesa turistica, il 20% era effettuata in Veneto, il 19% in Emilia-Romagna, seguita da Lazio e Lombardia (entrambi al 15%). Nel 2020 presenze russe e statunitensi si sono attestate su numeri (pur bassi) simili: circa un milione.

Nonostante ciò, per quanto riguarda il segmento del lusso il viaggiatore russo ha ancora un’importanza notevole, soprattutto se si guarda al turismo dello shopping che ha come centri principali Milano e Roma: secondo Global Blue, nel 2021 lo scontrino medio ha superato i 1.200 euro.

Infine, la Cina con 5,4 milioni di presenze e una spesa di quasi 700 milioni di euro nel 2019 era il terzo Paese extraeuropeo più importante. In questo caso la crescita nel decennio 2010-2019 è stata molto sostenuta: +15% per presenze e spesa. Le presenze cinesi in Italia si concentravano perlopiù nel Lazio (26%) e in Veneto (19%), seguito da Lombardia e Toscana (entrambe 18%) coerentemente con la spesa che vedeva al primo posto il Lazio (23%), Toscana e Veneto (entrambe 17%) e Lombardia (15%).

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Dai dati Infodata generali sul turismo in Italia senza fare differenziazioni di provenienza dei visitatori, il Bel Paese ha subito meno danni dall’impatto del Covid-19 nel mese di agosto 2021. Il calo delle notti trascorse dai turisti negli hotel nel 2020 è stato del 7,7%.

Oltre alla diminuzione del flusso turistico diretto dalla Russia e dall'Ucraina, il conflitto ha anche avuto effetti indiretti sull'industria turistica italiana, l'instabilità geopolitica ha infatti generato incertezze tra i turisti internazionali, che possono essere più cauti nel pianificare viaggi verso l'Europa, compresa l'Italia. Inoltre, le sanzioni internazionali e le tensioni politiche stanno influenzando l'economia italiana con conseguenze negative sulla fiducia dei consumatori e sulle prospettive economiche del Paese.

L'industria turistica italiana sta adottando diverse strategie per mitigare gli effetti negativi del conflitto tra cui la diversificazione delle fonti di flusso, cercando di attrarre visitatori provenienti da altre aree geografiche e promuovendo l'Italia ai connazionali.

Il Touring Club Italiano, attraverso il proprio Centro Studi, fa il punto sulle conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina per il mercato turistico italiano. Il settore turistico italiano, storicamente robusto e resiliente, si trova oggi di fronte a situazioni che necessitano una attenta analisi; il turismo è infatti, influenzato da vari fattori geopolitici e sociali.

Il conflitto in Israele e Palestina continua ad essere una fonte di instabilità nella regione del Medio Oriente. Questo non solo riduce il numero di turisti provenienti direttamente da queste aree, ma causa anche una diminuzione dei voli e delle rotte aeree sicure, penalizzando così i flussi turistici da altre parti del mondo che utilizzano scali in queste zone.

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Parallelamente a queste tensioni, le imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti tra Donald Trump e Joe Biden stanno catalizzando l'attenzione di milioni di americani. Durante i periodi elettorali, gli americani tendono a ridurre i viaggi internazionali, concentrandosi sugli sviluppi interni. Un'ulteriore complicazione deriva dall'atteso Giubileo a Roma. Sebbene questo evento religioso attiri tradizionalmente milioni di pellegrini, potrebbe paradossalmente ridurre l'attrattiva per i turisti alto-spendenti. L'Italia deve affrontare con attenzione queste dinamiche globali per mitigare l'impatto negativo sui flussi turistici. È cruciale diversificare i mercati di origine dei turisti, promuovendo maggiormente il paese in regioni meno affette da questi conflitti. La situazione richiede una strategia di marketing flessibile e adattabile, in grado di rispondere rapidamente ai cambiamenti geopolitici e sociali.

Il conflitto che si allarga sempre di più affossa un settore cruciale per il Pil di molti Paesi dell’area. Della Giordania in primis, con Petra svuotata. Il pericolo fa cambiare meta, ma per Natale gli italiani non rinunciano all'EgittoGareth Johnson, travelblogger con il nome di streetfoodguy, non ci poteva credere: quando all’inizio di settembre è andato a Petra, la perla turistica della Giordania, l’ha trovata quasi vuota. Le sue foto e i suoi video mostrano uno dei posti più “instagrammati” al mondo come nessuno lo ha mai visto, in tempi normali: neanche un turista davanti ai templi scavati nell’arenaria rosa dai Nabatei nel primo secolo avanti Cristo; il blogger che sale in perfetta solitudine sulla gradinata che porta alle rovine di un edificio; una manciata di persone a spasso per sentieri e canyon.

Per chi ha passato l’estate nelle mete turistiche europee, a combattere con l’overtourism e con l’insofferenza che ne deriva da parte degli abitanti delle mete più ambite, immagini come queste sembrano una beffa. E in effetti sono l’altra faccia della medaglia: se i turisti a Venezia o a Firenze sono diventati una marea ingestibile, è anche perché molte mete fino a ieri amatissime sono uscite dalla competizione.«Petra vuota mi ha ricordato la visita al sito di Angkor Wat durante il Covid», scrive il blogger. In questo caso, però, a far sparire le folle di visitatori non è stata un’epidemia, ma una guerra sanguinosa che, a partire dalla risposta all’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023, Israele ha allargato da Gaza ad altri Paesi vicini.

Non alla Giordania, però: non è solo streetfoodguy a considerarla «completamente sicura», ma anche il sito “Viaggiare Sicuri” del ministero degli Esteri che consiglia soltanto di evitare assembramenti, soprattutto vicino alle moschee, e di tenersi informati perché i voli possono essere annullati all’improvviso. Queste avvertenze risalgono all’inizio di ottobre, però da tempo i viaggiatori in ansia si erano diretti verso altre mete: già un anno fa Ludovico Scortichini, ceo del tour operator Go World e membro del board nazionale di Astoi Viaggi Confindustria, denunciava «l’80 per cento di cancellazioni sui viaggi nel Mar Rosso» e un calo di prenotazioni in generale verso il Medio Oriente, che in tempi normali «incide per un 12-13 per cento» sui fatturati delle aziende di viaggio italiane.

In vista delle vacanze di Natale però il trend sta cambiando: parlando alla fiera Ttg Travel Experience di Rimini, il presidente di Astoi Confindustria Viaggi Pier Ezhaya ha detto che «l'inverno è partito molto bene, per il momento registriamo rialzi del 12-15%». La ripresa riguarda in particolare l'Egitto, che «nonostante i problemi geopolitici del Medio Oriente, sta tornando ai livelli del periodo pre-Hamas, con una vitalità sorprendente. Forse oggi è più chiaro che l'Egitto non ha nulla a che fare col conflitto ed anche per questo sta riprendendo il suo ciclo normale».

Il calo dei visitatori sta però mettendo in ginocchio interi Stati del Medio Oriente, che sui ricavi turistici costruivano buona parte del Pil. A partire dalla Giordania, che grazie ad anni di investimenti mirati aveva allargato il ventaglio delle proposte. Non solo archeologia romana e preromana e il fascino dell’Oriente, ma anche il relax di lusso, il trekking e soprattutto il turismo religioso: diversi luoghi importanti per la Bibbia e i Vangeli si trovano nel territorio dell’attuale Giordania. Secondo la banca dati worlddata.info, nel 2021 il Paese aveva accolto oltre 2 milioni di turisti (prima del Covid aveva superato i 5 milioni) per un incasso di oltre 3 miliardi di dollari (il 7,4 per cento del Pil).

Il turismo era una voce importante anche per il Libano: nel 2019 (prima del Covid e anche della disastrosa esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020) due milioni di visitatori avevano coperto il 17 per cento del Pil. Il flusso turistico si è interrotto subito dopo l’attacco di Hamas, per paura che la rappresaglia israeliana si allargasse a Beirut: già alla fine del 2023 il quotidiano L’Orient-Le Jour denunciava che le compagnie di assicurazioni consideravano il Libano un Paese in guerra.

In Israele, secondo l’Ufficio di Statistica nazionale, il turismo è crollato di oltre il 75 per cento, ma per l’economia locale era una voce meno importante che per i Paesi vicini: i 5 milioni di turisti del 2019 avevano coperto solo il 2 per cento del Pil. Era però una voce importantissima per i palestinesi cristiani di Betlemme o - tornando in territorio israeliano - di Nazareth, che per il 72 per cento vivevano di turismo, e per il soft power di Israele: i giovani occidentali che si affollavano sulle spiagge di Tel Aviv come se fossero a Barcellona erano del tutto immemori di essere a una decina di chilometri dalla Striscia di Gaza, «la prigione più grande al mondo», secondo lo storico angloisraeliano Ilan Pappé.

Ancora più importanti per l’immagine di Israele erano i pellegrinaggi dei cristiani americani: i fedeli della «Bible belt» che, ha ricordato Pappé in un’intervista per i podcast Tlon, sono diventati i maggiori sostenitori, senza se e senza ma, della cosiddetta unica democrazia del Medio Oriente, «mentre i giovani ebrei americani sono sempre più tiepidi». Quei pellegrini oggi sono spariti: all’inizio di settembre l’arrivo di un gruppo di cattolici senegalesi è stato un tale evento che a riceverli c’era il presidente Isaac Herzog in persona.

L’Opera Romana Pellegrinaggi ha organizzato quest’anno solo un pellegrinaggio a Pasqua. Prima dell’allargamento del conflitto a Libano e Iran, erano state aperte le prenotazioni per un altro viaggio a Natale, «ma solo e unicamente se si potrà fare in condizioni di sicurezza». Ai pellegrini orfani della Terra Santa l’Orp propone - non per ripiego, ma perché è la terra dei primi cristiani, ha spiegato l’ad don Remo Chiavarini - la Turchia: che continua ad attirare visitatori, così come la Tunisia, che però piange la scomparsa dei turisti russi, numerosi e spesso anche danarosi.

Sì, perché anche la guerra tra Russia e Ucraina ha un forte impatto sul turismo: se quella in Medio Oriente incide sulle mete appetibili, l’invasione russa ha fatto crollare il numero dei viaggiatori. Quanto vale(va) davvero il turismo russo in Italia? Non lo sappiamo. Di certo molto più dello scarso miliardo di euro di spesa citato dai media in questi giorni, ma non esageriamo. Nei momenti di crisi tutti i limiti delle statistiche del turismo italiano vengono a galla. Così l’infodemia di dati e previsioni, come nel caso dei turisti cinesi due anni fa, dilaga in rete, alimentando le immancabili strumentalizzazioni politiche.

Vale la pena menzionare alcuni casi eclatanti. Non importa se la fonte è un “cuggino” dell’assessore o se si tratta solo di un refuso di battitura. Quando invece sono citate le due statistiche ufficiali (2019) alcuni scambiano presenze per arrivi. Tutti, ma proprio tutti, insistono nel citare la spesa secondo Banca d’Italia pari a 984 milioni di euro (in quanto unico dato disponibile), insieme al numero degli arrivi secondo ISTAT pari a 1,7 milioni (tra le due rilevazioni è sempre il più alto). Pere con mele. Con i loro “bachi”. Innanzitutto la spesa va letta in relazione agli arrivi della stessa indagine di Banca d’Italia.

In caso contrario, se si considerano gli arrivi di ISTAT, l’”incesto statistico” partorisce un “mostro” con una spesa pro capite pari a 553 euro. Una spesa che non coincide con l’archetipo del turista russo “big spender”, mito che, in base ai dati della UNWTO, l’Organizzazione mondiale del turismo, è forse da ridimensionare. La Russia nel 2019 era il 6º mercato mondiale per spesa all’estero ( 5º nel 2013 ) per poi scendere al 13º posto nel 2020, dietro anche a India ( 9º) e Italia (11º). Il quasi miliardo di Banca d’Italia è sempre “ingigantito” dalle contestuali dichiarazioni degli operatori del Tax Free Shopping, che ci ricordano quanto i Russi siano amanti del lusso, con lo scontrino medio tra i più alti, etc etc . Ma sono due cose diverse.

Palazzo Koch non considera acquisti di beni di lusso come risulta evidente nella descrizione della spesa per motivazione di viaggio. Secondo una stima competente e più che attendibile la spesa dei turisti russi per acquisti Tax Free Shopping tre anni fa da sola valeva più di un miliardo di euro, a cui va aggiunto l’ importo speso nei negozi, artigiani, shopping mall e altro, ma senza questa agevolazione. Il miliardo in questione è generalmente attribuito tout court ai turisti russi per vacanza, motivo che in realtà peserebbe circa il 65%. ISTAT non pubblica dati specifici sulle presenze dei turisti dall’Ucraina. Sarebbe interessante analizzare questo dato , anche in considerazione del fatto che l’ Italia ospita la maggior comunità di ucraini in Europa, fatta eccezione per i paesi limitrofi.

Come più volte detto il dato degli arrivi di ISTAT non è attendibile: se il signor Boris visita Roma, Firenze e Venezia, spendendo due notti in ciascuna città, risulterà come tre arrivi e 6 presenze in Italia. Il dettaglio dei pernottamenti in base alla scelta dell’ alloggio evidenzia un maggior peso delle case in affitto (23 %) in relazione a quello a totale mercati (16 %). Per definizione i pernottamenti di Bankitalia dovrebbero essere sempre superiori alle presenze di ISTAT. Se questo è vero a totale Italia, anche qui, se si scende nel dettaglio di regioni e località più visitate le sorprese non mancano.

Difficile considerare attendibili gli importi di spesa calcolati per buona parte delle regioni, inclusa la Lombardia, visto che si riferiscono a volumi di presenze ben inferiori a quelli registrati da ISTAT per i soli esercizi ricettivi. La scarsa attendibilità di questi dati è più stridente per il mercato russo o quello cinese , ma riguarda tutta la spesa dei turisti esteri in italia. Nel ranking UNWTO 2019 la spesa pro capite del turista Internazionale in Italia si posizionava al 22° posto in Europa! L’ Italia era già fuori dal “radar” dei turisti russi.

La meta di vacanze preferita dai russi è la Turchia, che nel 2021 per la prima volta ha superato l’Italia nel ranking mondiale delle destinazioni con più numero di turisti, collocandosi al quarto posto. Nel 2019 la Turchia ha registrato 7 milioni di turisti russi, scesi a 2 nel 2020 e risaliti a 4,7 nel 2021 (Banca d’ Italia ne ha contati 239 mila). Se l’elevata dipendenza dal turismo russo è fonte di preoccupazione in Turchia, è interessante notare che qualcuno parli di “un mercato che in condizioni normali vale più di 30 miliardi di euro”! D’altra parte se gli oligarchi hanno spostato i loro yacht in Turchia, Erdogan pensa di accettare i rubli ed i due paesi stanno incrementato i collegamenti aerei, è probabile che i Russi che non soffriranno troppo la svalutazione del rublo e continueranno a privilegiare questa destinazione.

Nella lista redatta dall’associazione di tour operator russi sulle principali mete nel 2021 emerge chiaramente che i “paesi aperti “ come Egitto, Emirati, Cipro e Grecia sono stati al top delle preferenze e continueranno così anche quest’ anno. La prima conclusione è che se il turismo ricettivo italiano è sopravvissuto alla mancanza dei famosi “quasi 4 milioni” di cinesi, può farcela anche senza i russi. Ministero del Turismo ed ENIT promettono che l’hub digitale del turismo che verrà grazie al PNRR, oltre a tante altre “meraviglie” avrà una sua dashboard con nuovi dati .

Ci auguriamo che non siano solo quelli relativi al travel sentiment, o al fatto che Roma e Milano siano le più cercate e che i tedeschi siano i più interessati al Bel Paese, come apprendiamo settimanalmente. Senza una seria riforma delle attuali statistiche non c’è dashboard che tenga. Servono dati tempestivi, attendibili, e che rendano giustizia all’effettivo valore economico del turismo internazionale nel Bel Paese.

Tornano i turisti e i residenti stranieri in Russia, anche se il viaggio per raggiungerla non è dei più agevoli. Russi in vacanza in Crimea malgrado la guerra: in spiaggia nonostante i droni. «È la loro mentalità»Turisti per svago, lavoro o famiglia Già nel 2023 il flusso degli stranieri in Russia era in crescita. I turisti erano aumentati di 3 volte e mezzo rispetto ai dati registrati nel 2022, l'anno dell'inizio dell'invasione dell'Ucraina. Non solo per svago, gli stranieri rientrano anche per lavoro o per raggiungere la propria famiglia, scrive The beet.

I turisti nel 2023 sono tornati in Russia da quasi ogni Paese, in particolare quelli europei sono aumentati del 30%, e i tedeschi e gli estoni sono risultati tra i più assidui. Ma i viaggiatori per svago erano solo una fetta del flusso verso la Russia. Nel 2022 i turisti erano diminuiti in totale del 30% rispetto all'anno precedente (-90% se si contano i viaggi organizzati), solo complessivamente 200 mila persone, contro gli 1,3 milioni entrati in Russia in quei mesi, per turismo, lavoro, studio e viaggi privati.

La maggior parte dei viaggiatori è entrata in Russia con un viaggio di nove ore in autobus, o tre ore di treno, dalla Finlandia o dai Baltici. Anche i voli con stop in Paesi terzi, dopo la cancellazione dei voli diretti dalla maggior parte dei Paesi occidentali, è stata complicata, soprattutto per i prezzi dei biglietti alle stelle.

Le ragioni per l'aumento del flusso sono diverse e the Beet, newsletter di Meduza, ha raccolto alcune testimonianze. Tony, per esempio, è tornato a Izhevsk, capitale dell'Udmurtia, per l'obbligo a trascorre qualche giorno ogni anno in Russia: il motivo? Deve mantenere il visto di soggiorno permanente che non vuole perdere.Accademici occidentali hanno ricominciato a partecipare a conferenze di studio, alcuni a frequentare gli archivi in Russia. Fra loro un ricercatore dell'Università di Cambridge, in Russia due volte dal 2022. «Mantenere contatti con i russi è cruciale, in modo particolare ora. I russi hanno ancora una voce e abbiamo bisogno di ascoltarla», ha detto.

Raymond, insegnante di inglese, è tornato in Russia dopo un anno dall'inizio del conflitto. E lavora anche più del solito, dato che molti suoi colleghi hanno lasciato il Paese nel frattempo.Craig, un californiano, con un figlio in Russia invece era partito perché il suo visto di lavoro era terminato proprio all'inizio della guerra in Ucraina. È tornato in Russia, e la guerra «non ha alcun impatto» sulla sua decisione di farlo, dice. «Molti dei nuovi arrivati dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti cercano solo di fuggire dai problemi dell'Occidente, il woke, il politicamente corretto». Una critica che lamentano molti occidentali ritornati in Russia. Tutti confermano di riuscire a trovare i prodotti occidentali nei negozi, così come di quelli russi. I locali di cui erano clienti abituali rimangono aperti. L'unica difficoltà è quella di inviare denaro all'estero e viaggiare, ma non è impossibile. Vivono tutti come su un'isola. «Devi avere la corazza dura» dice Craig. E hanno imparato a fortificarsi dai russi.

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