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La Canzone "Alghero": Storia e Significato

Giuni Russo, come Alice o Antonella Ruggero, ha saputo identificare la propria vita con l’arte, dedicandosi completamente alla musica. La sua vita è stata contraddistinta da un continuo viaggiare sul crinale, tra sentieri solitari e incomprensioni con discografici che non capivano il suo desiderio di ricerca musicale.

Il suo canto ha saputo esplorare le differenti dimensioni della bellezza e della sofferenza, come se fossero compagni di pari dignità e di uguale rispetto. Anzi sembra che nel dolore ella abbia trovato quella «goccia di splendore» a cui ha sempre anelato.

Gli Inizi Musicali di Giuni Russo

Giuni Russo nasce a Palermo nel 1951, da famiglia numerosa, penultima di dieci figli, e vive di mare e di pesca, essendo suo padre pescatore. Sin da bambina si contraddistingue per una voce fuori dal comune, stupenda e intima, che lei coltiva prendendo lezioni di canto. Studia il repertorio partenopeo attraverso successi come «I’ te vurria vasà». Le lezioni di canto le permetteranno di cogliere la bellezza della canzone popolare, ma anche di confrontarsi con la musica colta, verso la quale manterrà sempre un sentimento di rispetto e di curiosità.

Giuni comincia a farsi conoscere nella città di Palermo e a partecipare a diverse manifestazioni canore, come «Castrocaro», in cui si posiziona al primo posto. Grazie a questa vittoria, avrà la possibilità di uscire dai confini della Sicilia e farsi conoscere in tutta Italia. Sull’onda del successo, partecipa anche al Festival di Sanremo, ma le attese e le speranze si infrangono per l’esito negativo del concorso canoro.

La sua vocalità tuttavia non passa inosservata; molti addetti ai lavori riconoscono la particolarità della sua voce e le propongono la partecipazione a manifestazioni estive, quali «Festival-Bar», il «Cantagiro» e «Un disco per l’estate». Pur riscuotendo buoni giudizi, Giuni non riesce tuttavia a «sfondare» nel mercato musicale.

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Il riconoscimento di una voce così particolare, potente e ampia e nello stesso tempo il non riuscire a entrare a pieno titolo nel mercato discografico conducono la cantante a mettere in discussione la propria scelta di vivere di musica.

Nel periodo in cui vive a Milano, capitale della musica e degli studi discografici, Giuni conosce Antonietta Sisini, che all’epoca suonava con una band nei locali, con la quale stringe un inseparabile sodalizio che durerà tutta una vita. Insieme condivideranno la scrittura delle canzoni, i successi, le delusioni, le tournées, la ricerca esistenziale, la malattia e il ricordo.

Presso lo studio di registrazione di Alberto Radius, chitarrista che aveva suonato insieme alla PFM, alla Formula 3, Giuni conosce Franco Battiato, con cui stringe un’amicizia profonda, fatta di rispetto, collaborazione, assonanza di intenti e ricerche musicali. Sigillo di questo periodo di collaborazione è l’album «Energie», nel quale sono contenute canzoni importanti come «Lettera al Governatore della Libia», «Il Sole di Austerlitz» e «Una vipera sarò». L’intervento di Battiato in questi brani si vede in modo particolare nella costruzione delle melodie, nella ricerca lessicale, che ben si amalgama con la voce di Giuni, e in alcuni aspetti degli arrangiamenti musicali.

Sempre in collaborazione con il cantautore catanese, nasce la celebre «Un’estate al mare», che diventerà la colonna sonora dell’estate del 1982: un brano in apparenza gioioso e scanzonato, con un ritmo ballabile e un ritornello orecchiabile, ma il cui testo rispecchia situazioni di vita fragili e misere, in cui eros e thanatos si confrontano, mentre una paura di affogare fa da controcanto all’estate, tempo di feste e di divertimenti.

Grazie al grande successo di questo brano, la fama di Giuni comincia a diffondersi per la penisola; e anche il successivo album, intitolato semplicemente «Vox», che contiene un altro brano di successo, «Sere d’agosto», sarà apprezzato dal pubblico e presentato nell’edizione del «Festival-Bar». L’album successivo, «Mediterranea», è scritto interamente a quattro mani con Antonietta Sisini, e prevede una lunga tournée, che attraverserà tutta l’Italia e che contribuirà a far conoscere al pubblico l’intensa vocalità di Giuni Russo.

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Grazie a questi successi, sembra che la cantante palermitana abbia trovato finalmente un orizzonte musicale definito, all’interno del quale possa esprimersi. Tuttavia il suo animo ribelle non la spinge a soffermarsi sul momento presente, ma la inclina a intraprendere altri percorsi musicali, quasi comprenda che la musica non può essere legata a un codice preciso, a canoni definiti e statici.

La Ricerca Musicale come Espressione dello Spirito

Anche all’apice del successo, Giuni non dimentica mai che la musica è costante ricerca, è inquietudine, movimento continuo: ciò che è raggiunto, o meglio inciso, è soltanto un passaggio che serve per volare più in alto e altrove. Questa impostazione mentale però fatica a essere compresa nell’ambito lavorativo, e cominciano i tanti diverbi con i vari produttori e le case discografiche, che preferiscono ingabbiare l’artista in uno stile preciso, riconoscibile al primo ascolto. Seguono periodi non facili di incomprensioni, alimentate da leggende perfide sul carattere della musicista, scontrosa e arrogante, e un conseguente ostracismo che diventerà pane quotidiano.

Antonietta e Giuni non desistono dall’intento di portare la musica leggera su altri lidi, e pensano di poter nuovamente riprendere il loro cammino da Roma, cercando di elaborare provini musicali che vadano su linee compositive innovative. Nel 1986 intraprendono un viaggio in Terra Santa, che costituirà una svolta esistenziale nella vita delle due artiste. Visitano la fortezza di Masada, le zone del Mar Morto, Gerusalemme, il Santo Sepolcro. È un viaggio che diventa un passaggio, un attraversamento silenzioso, durante il quale l’artista capirà il senso del cadere e della sofferenza per la musica stessa. La sua ricerca musicale diventerà espressione dello spirito, sempre più intima, e nello stesso tempo sempre più incompresa all’esterno.

Questa chiarezza di intenti maturerà nel tempo, come deduciamo da un altro suo successo di questo periodo: il brano «Alghero», dal ritmo scanzonato e frivolo, che diventerà la colonna sonora dell’estate; e qualche anno dopo Giuni è sulle vette delle classifiche con la canzone «Adrenalina», cantata in duetto con Donatella Rettore. Questi brani di grande successo non sono i suoi preferiti, come possiamo evincere da una confidenza fatta da lei a Franco Battiato: «Lo so che non fanno parte della mia linea di ricerca, ma devi capire che ci sono stata costretta».

Il suo animo comincia a condurla per altri sentieri, e così si interessa della musica popolare ottocentesca, delle romanze e delle arie da camera. Si dedica completamente a un ascolto dettagliato, a una ricerca filologica delle partiture e delle interpretazioni, passando dalle grandi interpreti, come Montserrat Caballé e Maria Callas, e prendendo lezioni di canto da Lia Guarini, che è stato un punto di riferimento per tutti coloro che volevano apprendere i segreti del canto.

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Giuni e Antonietta non intendono pubblicare un lavoro retrò, dal gusto antico, ma tentare un esperimento molto complesso: rileggere con sonorità moderne, grazie alla competenza del musicista Alessandro Nidi, musiche scritte nell’Ottocento. L’idea sottesa è il delicato connubio tra antico e moderno, la contaminazione di stili, la sperimentazione musicale, forse l’accostamento ardito.

Il lavoro ha un percorso travagliato, ma, grazie ancora una volta all’intervento di Franco Battiato, viene pubblicato con il curioso titolo «A casa di Ida Rubinstein», nome di una mecenate, vissuta nella Parigi della Belle Époque, dalla vita contraddittoria, ma dalla grande passione per l’arte e la musica, la cui casa era frequentata sempre da grandi artisti. Come spesso accade per i cantanti di musica leggera che, quando provano a cimentarsi in ambiti «alti e altri», fanno fatica a essere compresi e accettati, questo lavoro passa piuttosto sotto silenzio rispetto ai grandi successi estivi di Giuni. Tuttavia vengono organizzati numerosi concerti in luoghi significativi della cultura italiana, come il Palazzo Reale e la Villa Reale di Monza, durante i quali Giuni viene accompagnata dall’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano.

Tanto la cantante coltiva la passione per la ricerca musicale, quanto il medesimo atteggiamento viene rivolto verso lo spirito, con appassionanti letture di mistici come san Giovanni delle Croce, santa Teresa d’Avila e sant’Ignazio di Loyola. In questa sua ricerca dell’anima, Giuni ha occasione di fare, presso una casa di spiritualità delle Suore del Cenacolo di Milano, gli Esercizi spirituali, che la condurranno ad aderire in maniera intima e appassionata alla spiritualità carmelitana.

La vita della cantante è determinata da un coinvolgimento totalizzante; musica e vita divengono dimensioni che si abbracciano, come si evince dal suo desiderio di far coincidere la profondità spirituale e l’analisi dei testi biblici. Di questo periodo è l’intimo canto «La sposa», liberamente ispirato all’elogio della sapienza del Siracide; e «La sua figura», delicato brano ispirato a san Giovanni della Croce; come pure la canzone «Moro perché non moro», concepita, durante la Quaresima, nella chiesa di Valledoria in Sardegna.

La sensibilità, l’onestà e la professionalità della cantante si rivelano proprio durante l’elaborazione di quest’ultimo brano. Quasi temendo di non essere all’altezza di cimentarsi con un testo mistico, Giuni chiede di essere ricevuta per un confronto dalle Carmelitane Scalze che risiedono a Milano. Questo episodio sarà l’occasione di un’intensa relazione di amicizia, di rispetto e di crescita della cantante, che per il resto della sua vita considererà il convento delle suore Carmelitane come un faro nella notte.

Cantare la Vita Attraverso la Musica

Nel 1999, dopo alcuni accertamenti medici, le viene diagnosticato un tumore, che, nonostante la gravità, non diventerà mai per lei motivo di ripiegamento su se stessa, ma, al contrario, motivo per assaporare quella vita-in-musica sempre più desiderata e amata. Giuni partecipa alla rassegna musicale «La Musica dei Cieli», con cantanti e musicisti provenienti da diverse parti del mondo, che si confrontano con la musica sacra di diverse religioni. Questa nuova direzione musicale, che è la più autentica nell’ultima fase della vita della cantante, viene registrata nel cd «Signorina Romeo», in cui trovano spazio canzoni quali «Il Carmelo di Echt» (ispirata alla figura di Edith Stein), «Nomadi» e «Vieni» (liberamente tratta dal poema del mistico sufi Jelaluddin Rumi).

Nel 2003 Giuni decide di presentare al Festival di Sanremo una canzone che era stata già scartata dalla giuria nel 1997, «Morirò d’amore», ma che questa volta viene accettata immediatamente. Sul palco dell’Ariston, con coraggio e determinazione, canta senza nascondere i segni della malattia, mostrando nel volto una serenità frutto di un rapporto immediato con lo spirito e una voce che è ancora al culmine della sua presenza.

La sua ultima fatica musicale è rivolta alla musica napoletana, attraverso un commento sonoro per un progetto di un film muto degli anni Venti, ritrovato negli Stati Uniti, per la regia di Roberto Leone Roberti (padre di Sergio Leone). Si tratta di classici della canzone partenopea, come «Torna a Surriento», «Marechiare», «O sole mio», «Santa Lucia luntana», «Serenatella a mare», «Fenesta che lucive», che Giuni fa suoi con facilità e immediatezza. Lei stessa dichiara: «Sono brani appartenenti a una tradizione non siciliana, che in realtà non avrei dovuto conoscere, ma era come se li avessi già dentro di me e, a mano a mano che guardavo il documentario, riaffioravano naturalmente. Alcuni di essi erano canzoni che avevo ascoltato da mia madre quando ero piccola».

Sono canzoni del Sud, intrise di gioia per la vita, ma anche venate di nostalgia e tristezza per una condizione di incompiutezza o di lontananza, che incontrano l’indole della cantante: i testi e le toccanti melodie rispecchiano quel coraggio di un cantare la vita attraverso la musica, accettando il rischio di affrontare le burrasche e i naufragi, ma avendo la speranza di approdare a un porto sicuro e protetto.

Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 2004, Giuni Russo muore a Milano e, come suo intimo desiderio, viene accolta nel convento delle Carmelitane Scalze di Milano, luogo dove aveva scoperto l’importanza della Parola e del silenzio.

Un Percorso Musicale Eclettico

«Amavo la ricerca vocale», dice Giuni Russo ad Amanda Lear in un’intervista, e questo suo pensiero è il filo rosso che ci permette di cogliere più profondamente la sua sensibilità. Per tutta la vita ella ha inseguito un sogno musicale, mutevole, non lineare, spesso inafferrabile, che l’ha condotta a percorrere strade facili e immediate, così come sentieri impervi e ripidi, che non lasciavano spazio al respiro, procurando vertigine e dubbio.

Per intuire la figura di Giuni Russo, anima fragile e decisa al tempo stesso, non si può prescindere dal suo ampio percorso discografico, che, pur rimanendo all’interno della cosiddetta musica pop, ha saputo esplorare differenti generi musicali.

«Un’estate al mare», scritta nel 1982 con la collaborazione di Franco Battiato, è forse la canzone che più l’ha resa nota al grande pubblico. Presenta un testo ambiguo, che gioca sulla contrapposizione tra le strofe amare (Per le strade mercenarie del sesso / che procurano fantastiche illusioni) e un ritornello scanzonato, estremamente orecchiabile (Un’estate al mare voglia di remare / fare il bagno al largo per vedere gli ombrelloni). Parimenti la musica contrappone le strofe, in cui prevalgono i sintetizzatori dai timbri suadenti, con parti vocali che insistono sulle note gravi, quasi monotone, al ritornello che sboccia mediante una melodia ariosa, spensierata, divertente e ironica, con arrangiamenti della più tipica della «disco dance» anni Ottanta.

Dalle caratteristiche di questa canzone, che Giuni canterà sempre durante i suoi concerti, ma dalla quale prenderà nel tempo un certo distacco, si possono intravvedere due aspetti che coesisteranno nella vita stessa della cantante: una vena introspettiva, che la condurrà a soluzioni inattese, non scontate, esistenziali, e una vena più spensierata e giocosa. Questa dualità, che spinge l’artista a percorrere soluzioni musicali estreme, è sottolineata anche dall’immagine di copertina dell’album «Energie», pubblicato nel 1981, con brani firmati insieme a Franco Battiato: la figura a mezzo di busto di Giuni Russo compare duplicata alle spalle di lei stessa.

"Alghero": Un Successo Estivo

«Voglio andare ad Alghero in compagnia di uno straniero». Nel 1986 tutti cantavano il ritornello della canzone “Alghero” che faceva registrare un altro grande successo estivo di Giuni Russo. Una di quelle canzoni che diventano la colonna sonora di un’intera estate e che poi restano come brani che hanno segnato una stagione della musica pop. Uno di quelle canzoni “leggere” che Giuni Russo sapeva rendere con voce straordinaria e grande personalità di interprete.

Il brano però ha origine qualche anno prima, lo ricorda Maria Antonietta Sisini. «Era il 1984 e durante un volo che la portava in Sardegna, diretto all'aeroporto della Riviera del Corallo, iniziò a venirle l'idea. La completammo poi insieme due anni dopo». Aggiunge qualche dettaglio Bianca Pitzorno: «Nonostante i molti impegni, i concerti, Giuni faceva avanti indietro Roma-Alghero per stare vicino alla mamma di Maria Antonietta che non stava bene. Per lei era come una madre. E proprio durante questi viaggi le venne in mente l'idea del brano dedicato alla città».

Nel 1986, "Alghero" non è stata affatto dimenticata, e lo scorso anno ha pure goduto di un nuovo momento di gloria quando Grazia Di Michele e Maurizio “Platinette” Coruzzi l’hanno proposta nella serata delle cover di Sanremo. La storia del testo è legata a un episodio dello splendido rapporto con Maria Antonietta Sisini, sarda della provincia di Sassari che di Giuni fu alter ego nel songwriting (molte le musiche ideate per le sue parole) nonché compagna di vita, e i consensi raccolti dal pezzo ebbero il gusto di una rivincita liberatoria nei confronti della CGD e di Caterina Caselli, che al tempo ne era a capo.

Dopo una lunga gavetta, avviata già nella seconda metà dei ’60 e contraddistinta da un moto ondivago alla ricerca di una direzione, nel 1981 Giuni Russo si era infatti accasata presso l’etichetta milanese, forte del sostegno di Franco Battiato (era l’epoca de “La voce del padrone”, non so se mi sono spiegato), ma la relazione era diventata ben presto conflittuale: la label voleva sfruttare l’inconsueto carisma di Giuni e la sua formidabile voce spingendola verso il pop di consumo e i suoi discutibili riti promozionali, mentre lei ambiva a qualcosa di più alto se non addirittura di sperimentale; il distacco, traumatico, maturò nel 1985, e la boicottata artista riuscì a trovare asilo solo presso la minuscola Bubble Records, che marchiò “Alghero” e il relativo LP “Giuni”, la cui gestazione era stata interrotta dal contenzioso aperto con la CGD (dal sodalizio sarebbe derivato un altro 33 giri, “Album”, nel 1987).

Davvero una bizzarra querelle, quella consumatasi nella prima metà degli ‘80, che comunque non ostacolò la diffusione di tre opere rilevanti e ricche di ottimi spunti quali “Energie” del 1981 (composto e curato in larghissima parte da Battiato e Giusto Pio), “Vox” del 1983 (sempre “benedetto”, ma più da lontano, da Battiato, e arrangiato da Roberto Cacciapaglia) e “Mediterranea” del 1984, firmato quasi interamente dalla coppia Russo/Sisini. Tra i primi due venne approntato il fortunatissimo singolo “Un’estate al mare”, scritto da Battiato-Pio e trionfatore al Festivalbar del 1982.

Impossibile, negli anni ’80 di Giuni Russo, non rilevare un’ambiguità di fondo, di sicuro figlia delle pressioni subite ma probabilmente determinata anche dall’incertezza sulla via da imboccare. Il problema si sarebbe risolto con l’impegnato “A casa di Ida Rubinstein” del 1988, ancora con Battiato come eminenza grigia, ma come i tre predecessori i due dischi per la Bubble, benché concepiti in un clima più sereno, sono in mezzo al guado fra il desiderio di soluzioni più ricercate e le solite strizzate d’occhio alla platea nazionalpopolare. Questioni secondarie che non pesano certo in negativo sulla reputazione della cantante e autrice, scomparsa per malattia nel settembre di dodici anni fa ma tenuta in vita dalle operazioni alla memoria organizzate da “GiuniRussoArte”, l’associazione fondata da Maria Antonietta Sisini, tra le quali numerosi album con incisioni altrimenti destinate all’oblio.

Il Legame di Ivan Graziani con Alghero

C’è anche tanto Alghero nel nuovo disco di inediti di Ivan Graziani dal titolo “Per gli amici“, in uscita ieri, 26 Gennaio, a distanza di 30 anni dall’ultimo Malelingue del 1994.

Tra questi, “I Marinai” brano del quale è già uscita una versione in cui Colapesce e Dimartino interagiscono con la voce di Ivan Graziani. C’è molto mare in questo nuovo disco, ed in particolare il richiamo alla “sua” Alghero è forte e si percepisce chiaramente nella canzone L’Italianina, la terza traccia del disco. Un brano di grande intensità, con una chiara impronta folk ripresa da una canzone popolare algherese, La Pastoreta (què li donarem a la pastoreta? què li donarem per anar a ballar? / Cosa le daresti all’Italianina? Cosa le daresti per accontentarla? ).

Come spiega la moglie Anna Bischi, “Ivan ha sempre avuto Alghero nel cuore e da Alghero ha tratto ispirazione anche in alcuni suoi brani. Ma in questo caso - precisa - l’influenza della lingua e dell’identità trasmessagli dalla mamma Pina è stata sublime. D’altra parte il suo legame con Alghero era talmente forte che quando girava per l’Italia o all’estero e non voleva farsi capire si metteva a parlare in algherese”.

Un omaggio alla città, la città che aveva cucita addosso per via della mamma, scomparsa lo scorso anno, e per via del tanto tempo passato ad Alghero, che amava smisuratamente, così come amava le sue tradizioni più profonde, le sue origini.

Nell’agosto del 2022 la città di Alghero ha intitolato ad Ivan Graziani, scomparso il 1 Gennaio del 1997, l’anfiteatro del Palazzo dei Congressi di Maria Pia : una targa ricorda alle migliaia di persone che ogni estate assistono agli spettacoli che quel luogo è “Anfiteatro Ivan Graziani, chitarrista e cantautore”.

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